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CHIESA

Si fa presto a dire accoglienza. Ma che fatica

Si fa presto a dire accoglienza e carità. Le parole di Papa Francesco che ha invitato le parrocchie a farsi carico di una famiglia di profughi hanno prodotto reazioni positive di Diocesi, vescovi e parroci. Ma che cosa comporta per le parrocchie ospitare profughi? E quanto le parrocchie italiane sono in grado di fare fronte a questo bisogno? Ci sono cose importanti da capire, di cui le dichiarazioni di accoglienza dei vescovi non sempre mostrano consapevolezza. 

Ecclesia 09_09_2015
Una mensa della Caritas per gli immigrati

Si fa presto a dire accoglienza e carità. Le parole di Papa Francesco che ha invitato le parrocchie a farsi carico di una famiglia di profughi hanno scatenato una reazione positiva da parte di Diocesi, vescovi e parroci. Tutti d'accordo, da Torino a Palermo sulla necessità di dare all'invito di Francesco un'attuazione immediata e concreta. Una celerità di risposte positiva e soprattutto una concordanza di vedute onorevole che mostra come la Chiesa italiana, quando si tratta di accogliere e dare ospitalità, non sia seconda a nessuno. Tanto più che a giustificare questo rinnovato impegno c'è il Giubileo della Misericordia, che, come tutti gli Anni Santi, mette al centro le opere di misericordia corporale e spirituale.

Tutti d'accordo dunque: peccato che questa unità d'intenti non si trovi mai in altre questioni, più squisitamente dottrinali, che stanno animando la vigilia turbolenta del Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Ma si sa che accogliere, per la Chiesa, non è mai stato un problema, dato che da secoli la generosità di preti e istituti religiosi contribuisce a sostenere il welfare degli Stati. Ma che cosa comporta per le parrocchie ospitare profughi e richiedenti asilo? E quanto le parrocchie italiane sono in grado di fare fronte a questo bisogno? Per capire come scendere nel dettaglio e dare attuazione alla speranza di papa Bergoglio, bisogna però fare alcuni distinguo, non sempre evidenti nelle dichiarazioni di accoglienza date alla stampa dai vescovi. Non tutti i migranti sono profughi. O meglio: non tutti i migranti che arrivano in Italia con i barconi della disperazione otterranno alla fine del percorso di identificazione, il riconoscimento dello status di rifugiato internazionale. I dati del Viminale dimostrano infatti che solo il 20% dei richiedenti asilo sbarcati in Italia con l'operazione Mare Nostrum otterranno il sospirato riconoscimento. Gli altri saranno considerati migranti per motivi economici, che potranno appellarsi ai tribunali ordinari nei tre gradi di giudizio e dunque resteranno clandestini sul territorio nazionale per molti anni. Sostenuti dallo Stato.

Ci sono poi diversi ostacoli giuridico amministrativi per aderire all'invito del Papa, che ad oggi, secondo le convenzioni internazionali risulta inattuabile. A patto che non si intenda, come ha fatto qualcuno, l'invito del Papa all'accoglienza come un invito generico a mettere in campo quella rete di solidarietà che la Chiesa, per altro sta già facendo, parrocchie comprese, anche per altri tipi di povertà, come alcune Caritas si sono affrettate a specificare. Ma se stiamo alla richiesta letterale di ospitare in parrocchia profughi, cioè richiedenti asilo, l'appello incontra fin da subito alcune problematiche, non solo interpretative. Il primo ostacolo è che sono pochissime le famiglie che approdano in Italia. La stragrande maggioranza sono singoli, alcuni di questi richiedenti il ricongiungimento famigliare, ma non sono tanti i nuclei di padre, madre e figli al seguito. Pochissimi i profughi siriani ad esempio, che scappano da una guerra, ma che, come visto, scelgono altre vie.

Il secondo problema è: chi stabilisce che si tratta di profughi? Le parrocchie non possono fare questo. L'istituzione dello status di rifugiato è sancito dalla convenzione di Ginevra del 1951. In Italia per poter dire che il migrante arrivato è profugo, serve un pronunciamento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, la quale dipende dal Ministero degli Interni. Spetta ad essa definire lo status, che poi in caso di diniego potrà essere impugnato fino al terzo grado di giudizio. Nel frattempo, mentre la commissione analizza la pratica dei singoli migranti, questi vengono accolti all'interno di un sistema chiamato Sprar (Sistema di protezione per i rifugiati e richiedenti asilo) che provvede a sostenere economicamente la loro permanenza sul territorio nazionale. Per farlo, le Prefetture emettono dei bandi cui partecipano varie realtà, cooperative sociali, imprese specializzate nell'accoglienza e anche la stessa Caritas Italiana, che ricevono dallo Stato 34 euro cad/die per la loro gestione. Ogni migrante, secondo gli ultimi bandi prefettizi, costa allo Stato 34 euro al giorno. Anche quelli che poi non otterranno lo status di rifugiato internazionale.

Le parrocchie dunque non potrebbero di loro spontanea iniziativa accogliere profughi come si farebbe nel caso di clochard, già nel territorio italiano e bisognosi di aiuti, ma devono dipendere dalle assegnazioni delle Prefetture e non da un'iniziativa privata. La domanda da porsi è: le parrocchie italiane possono accedere ai bandi Sprar? Teoricamente sì, ma la gestione di un immigrato comporta anche pratiche burocratiche che esulano dalla mera assistenza di vitto e alloggio. Queste, secondo le disposizioni dei vescovi che hanno commentato l'invito del Papa, potrebbero essere gestite dalle Caritas diocesane che, verosimilmente, potrebbero partecipare ai bandi, come hanno già fatto e fanno tuttora, vincerli e poi sistemare nelle parrocchie, come chiesto dal Papa, ma con l'ok delle Prefetture, i vari richiedenti asilo. Ma si tratta di un'attività che comporta oneri ingenti per lo Stato, è bene non dimenticarlo, perché se l'invito del Papa va nel senso più genuino della carità cristiana, questa non può prescindere dalle regole giuridico amministrative, le quali comportano comunque un esborso notevole per le casse statali, rimpinguate da aiuti dell'Ue.

Non bisogna poi dimenticare che, come in tutte le attività dove si beneficia di esborsi ingenti da parte del pubblico, bisogna controllare con 12 occhi la correttezza formale dell'accoglienza e della partecipazione ai bandi. Il caso di Mafia Capitale insegna. Dunque: occorre un surprlus di controllo da parte della Chiesa per capire a chi ci si affida a nome delle comunità cristiane per vincere i bandi: la serietà della Caritas dovrebbe mettere al riparo da sorprese, ma teoricamente le parrocchie potrebbero incoraggiare anche realtà private operanti nel sociale a prendere in carico un gruppo di profughi. Da lì a far scattare un business che non piacerebbe né al Papa né ai fedeli il passo potrebbe essere molto breve. 

Se le modalità di accoglienza non sono dunque ancora chiare, ma vanno costruite ad hoc per permettere alle parrocchie di rispondere all'invito del Papa, quel che è certo è che la carità fatta dalle comunità cristiane, sempre ammesso che il Papa volesse riferirsi ai profughi tout court, e non ad altre povertà presenti sul territorio, avrà una spesa della quale beneficeranno comunque quelle realtà sociali e imprenditoriali che non da oggi vivono di quei 34 euro al giorno. Si tratta poi di capire come possano conciliarsi questi aspetti amministrativi con i numeri forniti da monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Questi ha calcolato che se le parrocchie italiane sono 27mila le parrocchie, la capacità di accoglienza potrebbe essere di 100mila persone. Un dato che, parametrato all'Europa, che ha 100 mila parrocchie, potrebbe allargare la capacità di accoglienza a 400mila profughi. Sempre a carico del sistema di finanziamento pubblico statale.

C'è poi un ulteriore interrogativo, che come comunità cattoliche sarebbe il caso di porsi: quali profughi o famiglie prediligere? Sempre ammesso che la Prefettura possa dare una qualche possibilità di scelta, dato che nei bandi questo non è contemplato? Cristiane, come auspicato da Aiuto alla Chiesa che Soffre o di altre religioni, come sconsigliato laicamente dallo stesso cardinal Biffi nel celebre discorso proprio alla Fondazione Migrantes del 2000?