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MEDIO ORIENTE

Siria, gli Usa pronti a una seconda Libia

Damasco consente l'ispezione di un team dell'Onu nell'area dove sarebbe stata provocata una strage con le armi chimiche. Per gli Stati Uniti è "troppo tardi". Ma pare che Washington, con Parigi e Londra, stia cercando un pretesto per un intervento militare. Risultato: la Siria in mano ad al-Qaeda.

Esteri 26_08_2013
esplosione in Siria

Alla fine Damasco ha ceduto, forse in seguito alle pressioni di Mosca, consentendo l’accesso ai sobborghi di Damasco del team di esperti dell’Onu incaricato di investigare sul presunto uso di armi chimiche. Le ispezioni inizieranno oggi nella zona di Ghouta, teatro del presunto attacco denunciato dai ribelli il 21 agosto ma l’organizzazione francese Medici senza frontiere ha già fatto sapere di aver rilevato presso gli ospedali della zona 3.500 persone che presentavano “sintomi neurotossici", di questi 355 sono morti. Cifre emerse da quanto raccontato da medici locali poiché Msf non ha proprio personale in loco. Le ispezioni dell’Onu potrebbero trovare ostacoli dal fatto che l’area colpita è sotto il controllo dei ribelli ma gli Stati Uniti hanno già fatto sapere di considerare l’apertura di Damasco tardiva e poco credibile.

"Se il governo siriano non aveva nulla da nascondere e voleva dimostrare al mondo di non avere fato uso di armi chimiche in questa circostanza, avrebbe dovuto far cessare gli attacchi nella zona e consentire un accesso immediato dell'Onu cinque giorni fa", ha affermato un alto funzionario dell'Amministrazione Usa citato dal Wall Street Journal. A questo punto, ha aggiunto il funzionario, l'offerta giunge "troppo tardi per essere credibile" anche perché "le prove disponibili sono state inquinate in maniera significativa a seguito dei continui bombardamenti del regime e di altre azioni intenzionali avvenute negli ultimi cinque giorni".

Washington sembra certa delle responsabilità del regime di Bashar Assad. Ci sono ''pochi dubbi'' sull'uso di armi chimiche da parte del regime siriano contro i civili ha scritto l'Associated Press citando un anonimo esponente dell’Amministrazione Obama , secondo il quale la valutazione dell'intelligence americana fornita alla Casa Bianca si basa sul numero riportato delle vittime, i sintomi di chi è stato ucciso e le testimonianze.”

Damasco continua a negare l’impiego di armi di distruzione di massa e sul piano militare resta inspiegabile il motivo per cui Assad avrebbe dovuto autorizzare l’uso di tali armi per uccidere poche centinaia di civili o oppositori. Un suicidio politico che potrebbe scatenare un intervento internazionale che non ha comportato nessun vantaggio militare. Più che lecito quindi avere dubbi sulle responsabilità reali dell’attacco chimico anche se la questione è ormai politica. Se Washington ha deciso di attuare un intervento militare in Siria l’attacco chimico, vero o no, costituisce un ottimo alibi, una “pistola fumante perfetta per giustificare l’azione. I russi sembrano aver compreso che Obama intende comunque agire e hanno messo in guardia gli Stati Uniti dal non ripetere "gli errori del passato" scatenando una guerra in Siria che avrebbe "conseguenze devastanti" in Medio Oriente con un chiaro riferimento a quanto accaduto in seguito agli interventi in Iraq e Libia.

La questione delle armi chimiche desta qualche sospetto anche perché giunge in concomitanza con forti incrementi degli aiuti ai ribelli. Dalla Turchia stanno affluendo 20 convogli di armi dirette ai ribelli (400 tonnellate ) fornite da sauditi ed emirati del Golfo, una delle forniture più massicce dall’inizio della guerra civile. Ankara ha smentito mentre un alto funzionario di un Paese del Golfo ha confermato la notizia alla Reuters sottolineando che l'invio di armi è aumentato all'indomani dell'attacco chimico nei sobborghi sunniti di Damasco. Giustificazione ridicola poiché la consegna di un simile carico di armi, per di più attraverso canali non ufficiali, non si improvvisa certo in pochi giorni.

Un’altra strana coincidenza riguarda la mobilitazione in battaglia nel sud della Siria dei primi reparti dell’Esercito Siriano Libero addestrati ed armati dai consiglieri militari statunitensi e dalla Cia in Giordania, subito dopo Ferragosto. Il rafforzamento delle milizie ribelli sembra quindi coincidere con l’iniziativa statunitense tesa a giustificare un intervento esterno nel conflitto sostenuto a quanto pare da Francia, Gran Bretagna (la Germania invece si oppone) e dai Paesi della Lega Araba, pronti a muovere anche in assenza di un mandato dell’Onu, bloccato dal prevedibile veto russo, con il pretesto di proteggere i civili dalle armi di distruzione di massa di Assad.

Il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, mantiene toni prudenti affermando che prima di un eventuale intervento militare “gli Stati Uniti continueranno a raccogliere elementi di intelligence sul presunto impiego di armi chimiche” confermando però la messa a punto dei piani per diverse opzioni militari che Obama avrebbe già valutato durante il week end. L’opzione militare più morbida è quella già in atto che prevede un robusto rafforzamento degli aiuti militari ai ribelli, probabilmente da abbinare a raids di rappresaglia condotti con i missili da crociera Tomahawk imbarcati su quattro navi della Sesta Flotta del Mediterraneo che potrebbero colpire sedi governative e comandi militari siriani ma che non influirebbero sull’andamento del conflitto.

Per azioni a più ampio respiro occorrerebbe invece più tempo e il supporto degli alleati. Come nel caso dell’imposizione di una no-fly zone che impedisca il volo ai jet e agli elicotteri di Assad che richiederebbe lo schieramento di velivoli in Turchia e Giordania ma anche pesanti incursioni preventive per azzerare le consistenti difese aeree di Damasco gestite con la collaborazione di tecnici russi. Un’azione del genere comporterebbe il rischio che Assad ordini attacchi di rappresaglia contro i Paesi vicini con le centinaia di missili balistici presenti nel suo arsenale e forniti da Russia, Iran e Corea del Nord. Come in Libia due anni or sono, la no-fly zone potrebbe venire rafforzata da un blocco navale e dall’impiego dei jet in raids contro le truppe governative in appoggio diretto ai ribelli.

Opzioni che comporterebbero dure e imprevedibili reazioni russe, cinesi e iraniane. L’opzione dell’invasione della Siria è finora esclusa da molte fonti statunitensi ed è in effetti impensabile che Obama schieri in Siria consistenti contingenti di truppe ma non è poi così improbabile che statunitensi ed europei offrano un ombrello aereo e d’intelligence a una forza d’invasione turco-araba. Tutte ipotesi teoriche ovviamente anche se il principale punto oscuro di un intervento internazionale è rappresentato dall’aspetto politico. Far cadere Assad per consegnare la Siria a chi? Al caos? Ad al-Qaeda?