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LIBIA

Spari ai soccorritori, Italia umiliata in mare

Non contenti di aver sparato (a febbraio) contro un'unità della Guardia Costiera italiana, gli scafisti libici, questa volta, usano una nave della loro guardia costiera per intimidire l'equipaggio di un nostro rimorchiatore. Hanno sparato colpi in aria per accelerare il trasbordo dei clandestini e riprendersi il barcone.

Esteri 16_04_2015
Sbarchi

In febbraio gli scafisti spararono su una motovedetta della Guardia Costiera italiana per farsi restituire il barcone su cui avevano preso il mare centinaia di clandestini. Martedì è stata invece una motovedetta della Guardia Costiera libica, al soldo dei trafficanti di esseri umani, che ha esploso colpi in aria per accelerare il trasbordo di 250 immigrati sul rimorchiatore italiano Asso 21 con l’obiettivo, ancora una volta, di mettere le mani sul barcone. Una bagnarola che rivedremo presto nelle acque del Canale di Sicilia carico di africani diretti in Italia con la complicità della nostra flotta e di quella della missione europea Triton.

"Gli scafisti hanno sparato in aria e non al nostro equipaggio né ai migranti" ha detto Mario Mattioli, armatore del rimorchiatore Asso 21 in un'intervista a Radio 24. "Il nostro rimorchiatore è stato chiamato a fare questa operazione di salvataggio di 250 migranti - ha aggiunto Mattioli - e a un certo punto, mentre era in corso il trasbordo, è arrivato un  barchino con una certa velocità. A bordo alcune persone che hanno di fatto recuperato il barcone su cui erano stati trasportati i migranti. Hanno sparato in aria per velocizzare l'operazione di sbarco, è come se avessero voluto dire ai migranti fate in fretta". Mattioli ha spiegato che "il fatto è avvenuto in acque internazionali", sostenendo che era impossibile una reazione dell'equipaggio del rimorchiatore.

“Noi siamo civili, a bordo della  Asso 21 ci sono 12 persone. Noi rispondiamo in primis per la  coscienza che ha chiunque opera in mare, e deve salvare vite umane in pericolo. Teoricamente non voglio dire che non li dovremmo salvare, potrebbe sembrare una affermazione terribile, ma da cittadino italiano dico che questo flusso migratorio non può essere risolto attraverso l'utilizzo di imbarcazioni civili. Immaginate 12 persone di equipaggio a dover gestire 250 migranti, molti dei quali malati, e non abbiamo di certo un medico a bordo".

Con il barcone al traino, la motovedetta libica ha navigato verso casa guardata a vista da un elicottero della Marina italiana e dalla fregata lanciamissili Bergamini, gioiello tecnologico da mezzo miliardo di euro, ma impotente di fronte alla beffa compiuta dalla piccola unità libica che ha giustificato il suo comportamento con la necessità di non lasciare in mare una imbarcazione abbandonata e pericolosa per la navigazione.

Certo anche l’Asso 21 avrebbe potuto rimorchiare il barcone in Italia dove sarebbe stato sequestrato e distrutto ma se i militari libici hanno addirittura sparato in aria per prenderne il possesso significa che per loro costituiva un ricco bottino. Considerata la penuria di imbarcazioni di cui soffrono i trafficanti libici e che un barcone da 250 posti può fruttare a viaggio oltre mezzo milione di euro si può ben comprendere “il senso del dovere” le motivazioni dell’equipaggio libico.

Un po’ meno l’arrendevolezza di un’Italia che non usa mai la forza per rispondere a minacce, aggressioni e attacchi terroristici rischiando così di incoraggiare i trafficanti/miliziani/terroristi ad alzare il tiro considerata l’elevata esposizione a queste minacce degli equipaggi italiani militari e civili impegnati a ridosso delle coste libiche.

Certo in base al diritto internazionale, se la fregata Bergamini avesse bloccato la motovedetta libica avrebbe compiuto un atto di guerra. Ma di guerra contro chi? Lo Stato libico non esiste e quella motovedetta della Guardia Costiera risponde al “governo” di Tripoli non riconosciuto dalla comunità internazionale e pieno zeppo di gruppi islamisti, dai Fratelli Musulmani ai salafiti sostenuti da Qatar e Turchia.

“Il Bergamini, appena informato dell'evento, si è immediatamente diretto verso l'area e individuava via radar il natante, ne monitorava e seguiva i movimenti anche con un elicottero ripristinando la  necessaria cornice di sicurezza" ha spiegato la Marina militare. La nave da guerra “ha così proseguito nell'attività di pattugliamento in corso non riscontrando le condizioni per dare seguito ad ulteriori azioni, mentre la il barchino veloce entrava  nelle vicine acque territoriali libiche. Sulla vicenda sono in corso ulteriori accertamenti per chiarire tutte le dinamiche" ha concluso il comunicato della Marina.

Di fatto, con un po’ di coraggio, l’Italia avrebbe potuto fare di più per impedire l’ennesima beffa consumata sotto i nostri occhi ma occorrerebbe dare ai militari  regole d’ingaggio più aggressive che certo l’attuale governo, come i precedenti, non avrebbe la capacità politica di autorizzare.

Del resto l’Operazione Mare Sicuro (nome infelice che rischia di venire sbeffeggiato  ancor più di “Mare Nostrum”) ha dimostrato con questo episodio di non essere in grado di esprimere una credibile deterrenza nei confronti delle bande libiche mentre l’assistenza riservata ai 10 mila immigrati clandestini portati in Italia negli ultimi giorni induce ormi tutto a considerare che le navi italiane e le poche europee dell’operazione Triton concretamente non fanno altro che proseguire l’opera di accoglienza umanitaria perpetrata da Mare Nostrum.

Ieri il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, ha condannato senza appello Triton affermando che "il dispositivo non è sufficiente. In 90 giorni ha salvato 1.700 persone, nello stesso periodo la nostra Guardia Costiera ne ha salvate 17 mila, dieci volte di più". Il problema che sembra sfuggire anche un politico attento e preparato come Pistelli è che nella gara a chi porta più immigrati sulle nostre coste l’unica a perdere è l’Italia perché senza respingimenti il flusso non avrà mai fine e perché non siamo in grado sul piano finanziario e sociale di accogliere queste masse e non si è mai visto uno Stato aiutare così alla luce del sole criminali e terroristi ad arricchirsi pur sapendo chi lucra sui traffici di esseri umani.

Del resto i flussi di immigrazione clandestina potrebbero ancora più intensi, se i trafficanti disponessero di un numero adeguato di barconi. Molti report hanno segnalato un boom di furti di imbarcazioni in tutti i porti del Mediterraneo meridionale e orientale, crimini tesi ad alimentare le esigenze dei trafficanti di uomini mentre indiscrezioni riferiscono di una frenetica attività in atto nei piccoli cantieri navali sulla costa tunisina che un tempo realizzavano pescherecci con scafo in legno e ora si limiterebbero a varare il più rapidamente possibile spartani barconi commissionati dalle “cosche” libiche.