Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Agnese da Montepulciano a cura di Ermes Dovico
SOCIAL NETWORK

Surrogato di finzioni o specchio dei tempi?

C'è chi accusa facebook di inibire le capacità comunicative dei ragazzi, eppure si adatta perfettamente alla comunicazione moderna.

Articoli tematici 09_08_2011
facebook

Il 27 maggio 2001 Giovanni Paolo II divulgò un messaggio in occasione della 35a Giornata delle Comunicazione Sociali. In questo messaggio il pontefice invitava i cattolici a non “aver paura di lasciare aperte le porte delle comunicazioni sociali a Cristo affinché la Sua Buona Novella possa essere udita dai tetti del mondo!“.

Eppure questa fiducia non può essere cieca, perché “il rapporto fra la realtà e i mezzi di comunicazione sociale è divenuto sempre più intricato”. Uno studioso dei media, il cattolico Marshall McLuhan scrisse a questo proposito una frase ad effetto che divenne molto nota: “Il medium è il messaggio”. Ossia il mezzo di comunicazione stesso comunica, di più: plasma la nostra mente, dà ad essa una forma, in due parole: ci cambia. L'aformisma di McLuhan sembra aver trovato oggi una conferma più che mai attuale.

La baronessa Greenfield, professoressa di farmacologia sinaptica al Lincoln College di Oxford, e direttore della Royal Institution, ha tenuto una audizione presso la Camera dei Lord, impegnata a discutere sulla regolamentazione di internet per i bambini. Secondo lady Greenfield gli attuali social network (facebook, twitter...) sarebbero dannosi per il cervello dei bambini perché “sono privi di narrativa coerente e di significati di lungo periodo. Come conseguenza, per la metà del ventunesimo secolo la mente umana potrebbe diventare infantile, caratterizzata da periodi di attenzione brevi, sensazionalismo, incapacità di empatia e un senso di identità traballante”. Secondo la ricercatrice, questo fenomeno potrebbe essere collegato all'aumento vertiginoso, osservato negli ultimi dieci anni, delle vendite di metilfenidato (nome commerciale Ritalin), prescritto in caso di deficit di attenzione e iperattività.

I moderni social network, inoltre, fornirebbero “costante rassicurazione, e la sensazione di essere ascoltato, riconosciuto, importante”. Tutte cose belle e necessarie, ma al prezzo delle mortificazione delle capacità comunicative dei ragazzi: risposte immediate, non meditate, senza le finezze comunicative di un dialogo, una lettera o una mail.

A questo punto – non so a voi – a me viene in mente il libro “Segmenti e bastoncini”, di Lucio Russo il quale, commentando l'evoluzione (o l'involuzione) della scuola italiana dopo la riforma Berlinguer, scriveva: “Innanzitutto il sapere da trasmettere va diviso in «pillole», la cui dimensione non deve superare una «videata» di computer (o il contenuto di una lavagna luminosa). In secondo luogo l'informazione va tradotta, per quanto possibile, in figure con brevi didascalie. Inoltre il testo deve essere completato da brevi messaggi (evidenziati come tali dal colore, dalle dimensioni e spesso dal nome stesso di «messaggi») contenenti le «istruzioni per l'uso» del testo stesso [...]”.
Quindi, forse, è il mondo che si sta rimbambendo, e facebook è semplicemente uno “specchio dei tempi”, uno strumento adatto alle comunicazioni contemporanee. Forse davvero un po' povere e banali.

Comunque sia: lo studio della baronessa Greenfield basta per demonizzare gli attuali social network? Non credo. Come insegnava Giovanni Paolo II nel messaggio sopra citato, dobbiamo sforzarci di pensare “alla capacità positiva di Internet di trasmettere informazioni e insegnamenti di carattere religioso oltre le barriere e le frontiere“. Basti pensare ai profili facebook dei diversi collaboratori de La Bussola Quotidiana, che sono utili strumenti per veicolare buoni messaggi.

Possiamo però approfittare di questo periodo estivo per riscoprire altri mezzi per sentirci “ascoltati, riconosciuti, importanti”: fare sport, frequentare amici, visitare in compagnia luoghi culturalmente significativi, o magari semplicemente gradevoli. Potrebbe essere un modo per soddisfare i nostri legittimi bisogni sociali senza necessariamente rimbambire.