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ELEZIONI

Svezia, la sinistra festeggia. Ma in realtà ha perso

Con pronostici che davano la destra dei Democratici Svedesi al primo posto, i risultati delle elezioni hanno fatto tirare un sospiro di sollievo alla sinistra. Ma c'è poco da festeggiare. Metà degli svedesi ha cambiato partito e gli SD sono un terzo incomodo in un sistema finora blindato. E il motivo è chiaro: il sistema svedese è in crisi.

Esteri 10_09_2018
La conta dei voti in Svezia

Il grande Nord, quello pulito, quadrato, duro, s'è raschiato la gola. In uno scenario ipotizzato fino allo strenuo, in una situazione all'italiana, il bipolarismo tradizionale svedese si è infranto con la nascita del "terzo incomodo", la destra dei Democratici. 

Il 41% degli svedesi ha cambiato partito dalle ultime elezioni nel 2014. Un elettore su cinque che aveva votato i Socialdemocratici nel 2014 ha votato per la destra dei Democratici. I pronostici erano tali che i socialdemocratici hanno dovuto gioire per il peggior risultato della loro storia. I Democratici di Åkesson hanno sfiorato il 18%, e, insieme ai moderati - intorno al 29% - hanno pescato voti, per la prima volta, sia tra gli operai che tra imprenditori e agricoli.

Era un voto dall'esito incerto fin dalla vigilia quello che si è svolto domenica in Svezia, dove 7,4 milioni di elettori sono stati chiamati a rinnovare i 349 seggi del parlamento, le assemblee di 20 contee e 290 assemblee municipali. Non si sa ancora il governo che si verrà a formare. Bisognerà aspettare il dialogo tra le forze politiche dei prossimi giorni, e sarà comunque una sciarada. E forse ai democratici svedesi con il loro risultato storico converrebbe restare fuori dal governo e monopolizzare l'opposizione. Intanto, il leader degli Svedesi Democratici, Jimmie Akesson, ha salutato così i suoi sostenitori, "abbiamo aumentato i nostri seggi in parlamento e faremo in modo di avere un enorme peso su ciò che accadrà in Svezia nelle prossime settimane, mesi ed anni".

I seggi, aperti domenica mattina alle 8, hanno confermato che quelle del 9 settembre 2018 sarebbero state le elezioni politiche più accese e incerte della storia recente del Paese scandinavo. La campagna elettorale è stata incentrata quasi esclusivamente sull'immigrazione: il vero problema della Svezia scoppiato come un bubbone da cinque anni a questa parte. 

I socialdemocratici sono stati il primo partito per quasi un secolo, ma la politica delle porte aperte e del welfare ostinato dalla "culla alla tomba" anche per gli immigrati, ha portato a una vera e propria "inversione a u" del modello imposto. 

La Svezia, si sa, ha puntato da sempre su quel particolare sistema di welfare per cui ogni cittadino è assistito dallo Stato e si vede garantiti servizi ed un livello di assistenza elevatissimi. Il sistema previdenziale è talmente solido che ogni cittadino in uno stato di potenziale difficoltà viene sempre assistito, l'istruzione è quasi completamente gratuita, l'assistenza sanitaria è universale. Il modello però, ovviamente, impone un'elevata spesa pubblica, i cui limiti sono parzialmente colmati da una imposizione fiscale progressiva - i cittadini pagano tasse molto alte, ma in cambio lo Stato si impegna a fornire servizi gratuiti e di qualità. Allo stesso tempo va aggiunto che la Svezia ha rifiutato nel 2003 l'ingresso nell'Euro e pertanto è estranea ai diktat rigidi di Bruxelles. 

E' con questi presupposti che il Paese è considerato un vero e proprio paradiso. Ma, anche qui, si sa che il paradiso in terra è una dimensione utopica. E, per l'appunto, il modello svedese prima di essere stato bocciato, o quantomeno scardinato, dalle urne, lo è stato dalla realtà. Il sistema svedese incarna una concezione estremamente liberale sia in campo sociale che in quello economico. Ed è in virtù della stessa che la fantomatica "felicità" degli svedesi, liberi da sempre di fare e disfare ogni cosa, è in profonda crisi. La Svezia è una nazione alle prese con un individualismo forsennato: chi si ammala avrà pure le cure dello Stato, ma non conosce conforto alcuno. Gli individui sono indipendenti ed isolati. Lontani dalla felicità e profondamente inquieti. 

Inquietudine che ha toccato il suo acme quando alle politiche iper liberali su famiglia, società ed economia, è stata affiancata una estrema concezione di accoglienza. Centinaia di migliaia di persone sono entrate in Svezia, sull'onda della crisi migratoria, dall'Africa come dall'Asia. Ma se da un lato era impossibile che lo Stato reggesse economicamente la politica delle porte spalancate, l'improbabilità dell'integrazione dall'altro, ha portato alla formazione di ghetti, no go zones, periferie degradate, aumento di criminalità, violenza e povertà. 

Al punto che la Svezia è stata considerata quasi una provincia dell' Afghanistan e l'epidemia di stupri, insieme a intere città ridotte a ferro e fuoco, ha mandato in crisi il mito del multiculturalismo.
Ad ogni modo le élite sono state sfiduciate in un 'la' dato con l'elezione di Trump negli Usa che, in un bizzarro effetto domino, si sta prendendo il resto dello spartito in Europa.

I socialdemocratici sono arretrati soprattutto nelle roccheforti industriali e minerarie del Nord, i democratici svedesi sono avanzati ovunque. E se nella verde e ambientalista Svezia proprio i Verdi hanno rischiato di non entrare in Parlamento, qualcosa di molto significativo vorrà dire. Che piaccia o meno, alle élite e ai giornaloni, non c'entra né il fascismo, né il neonazismo. 

Il risultato è comunque proiettato alle europee, e potrebbe essere inteso come solo il primo tempo di una partita che una buona fetta di svedesi non pensava di poter giocare così.