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GOVERNO

Tav, il treno della discordia investe i 5Stelle

Dopo l'ennesima batosta elettorale locale in Sardegna, i pentastellati si fanno un esame di coscienza e vedono che non possono più cedere su questioni per cui sono stati eletti. Fra queste la più vistosa è la battaglia contro la Tav. Ma il ministro Tria ha dichiarato che è indispensabile. E anche l'elettorato leghista la vuole. Chi prevarrà?

Politica 27_02_2019
Manifestazione No Tav nella Val di Susa

Dopo l’ennesima sconfitta alle elezioni regionali in Sardegna, è tempo di riflessioni nel Movimento Cinque Stelle, che per frenare l’emorragia di consensi non può certamente rinunciare ai suoi storici cavalli di battaglia. Uno di questi è senz’altro la Tav, sulla quale i grillini hanno sempre fatto le barricate e ora intendono confermare la loro linea oltranzista. Senza aver fatto i conti, però, con i vincoli internazionali assunti dai precedenti governi e ormai non più aggirabili.

E’ un po’ la stessa situazione del gasdotto Tap in Puglia. Lì i pentastellati, dopo aver promesso in campagna elettorale che mai e poi mai l’opera si sarebbe realizzata, hanno dovuto ammettere con i loro elettori di averli presi in giro e si sono inventati la storia delle penali da pagare in caso di rinuncia all’opera stessa. Elettoralmente nel Salento e nel resto della Puglia i sondaggi li danno già in calo vistoso, proprio a causa di quel clamoroso dietrofront, per cui vorrebbero evitare che l’ennesima sconfessione della loro linea politica comporti un crollo di consensi anche in Piemonte. Peraltro in Puglia Luigi Di Maio e soci hanno dovuto rimangiarsi le promesse fatte e confermare gli impegni assunti dal governo precedente anche sul fronte dell’Ilva, dopo essersi dichiarati a più riprese favorevoli alla chiusura e riconversione degli impianti, al fine di preservare la qualità dell’aria e dell’ambiente.

Tornando al Piemonte, per rinnovare l’amministrazione di quella regione si voterà il 26 maggio, in concomitanza con le elezioni europee, e quindi tradire la fiducia dei piemontesi sulla Tav potrebbe provocare un effetto a catena, con una sonora sconfitta anche nelle urne per Strasburgo. Sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio lo sanno e quindi devono cercare di trovare la quadra senza scontentare i rispettivi elettorati. Che peraltro hanno posizioni antitetiche sulla Tav. I fedelissimi del Carroccio vogliono che l’opera si realizzi; la base del Movimento Cinque Stelle assolutamente no. E le parole pronunciate lunedì dal Ministro dell’Economia Giovanni Tria, proprio all’indomani dell’ennesima sconfitta elettorale grillina, questa volta in Sardegna, rappresentano la classica benzina sul fuoco delle divisioni tra gli alleati di governo.

Tria, parlando dell’alta velocità Torino-Lione, ha detto: «Non mi interessa l'analisi costi-benefici. Il problema non è la Tav, il problema è che nessuno verrà mai a investire in Italia se il Paese mostra che un governo che cambia non sta ai patti, cambia i contratti, cambia le leggi e le fa retroattive. Questo è il problema, non la Tav». E ha aggiunto: «Bisogna portare avanti l'economia italiana». Parole che non sono affatto piaciute agli esponenti Cinque Stelle dell’esecutivo. Irritato il vicepremier, Luigi Di Maio, che è certamente tra quelli che non si strapperebbero i capelli se il Ministro Tria si dimettesse. Ancora più dura la replica del collega Danilo Toninelli, Ministro delle Infrastrutture: «Tria ha dimenticato che c'è un contratto di governo, lui dovrebbe ricordarlo, si atterrà a quello che c'è scritto». Ma la base leghista,  che comprende anche gli imprenditori del nord che in massa hanno manifestato nei mesi scorsi in piazza a Torino in favore della Tav, non sa come chiedere all’alleato pentastellato di cedere anche su questo punto, anzi immagina che ciò non sia possibile, visto e considerato che i sondaggi danno il movimento fondato da Beppe Grillo in caduta libera un po’ ovunque.

I compromessi possibili sono due. Il primo si chiama referendum. Sarebbe l’ennesima fuga pilatesca dalla realtà, il classico espediente per scaricare sugli elettori le scelte più scomode che Lega e Cinque Stelle non sono in grado di prendere senza litigare. Far esprimere i piemontesi su un’opera così importante, magari facendoli votare in concomitanza con regionali ed europee, potrebbe risultare un’altra dimostrazione dell’incapacità dell’esecutivo Conte di governare e di mediare tra posizioni molto distanti. La seconda ipotesi è quella di rivedere il progetto, magari ottenendo più fondi dall’Europa. «In 15 giorni si dovrà decidere sui bandi, con i 5 Stelle si troverà una soluzione e non c'è stato nessuno scambio», ha fatto sapere nei giorni scorsi il viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, a margine di un convegno sulle grandi vie di comunicazione all'Unione Industriali di Torino. «Il tema - rimarca Rixi - è che i bandi erano stati bloccati ben prima della mozione: noi stiamo cercando di sbloccarli e di fare in modo di non perdere risorse, di fare l'opera, e di avere una contribuzione maggiore da parte dell'Unione Europea. Ci sono molte opere su questa direttrice che devono essere fatte prima del 2030 per dare il massimo senso a questa infrastruttura e credo che per il Movimento 5 Stelle possa essere interessante poter dire agli italiani che riusciamo a portare a casa più risorse per spendere meno e fare di più».

Dunque la seconda ipotesi potrebbe consistere in una “mini-Tav”, con maggiori aiuti finanziari da Bruxelles. Una situazione nel complesso più digeribile da parte del popolo grillino, ancora inchiodato su posizioni ideologicamente contrarie alle grandi opere. Se invece i francesi dovessero mettere alle strette il governo italiano, e ciò potrebbe accadere già nei prossimi giorni, non si escludono evoluzioni clamorose. Come farebbe infatti in quel caso a rimanere in piedi un esecutivo spaccato su un tema così importante? Chi cederebbe tra Lega e Cinque Stelle?