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DOPO LA SCISSIONE NEL PD

Tra Renzi e legge elettorale, tutti i partiti in subbuglio

Mentre l’ex sindaco di Firenze intende condizionare il Conte-bis, nelle file di Forza Italia pare aumentare il malcontento di Mara Carfagna. Intanto Gianni Letta starebbe pensando ad andare in soccorso del governo, per neutralizzare Renzi. Tutte operazioni trasformistiche che si legano alla legge elettorale, con le solite divisioni di convenienza tra chi vuole il proporzionale e chi il maggioritario.

Politica 19_09_2019

Se perfino un politico navigato come Dario Franceschini arriva ad ammettere in privato (mentre una telecamera nascosta lo immortala) che la scissione di Matteo Renzi «is a big problem», significa che la scelta separatista dell’ex premier rischia di terremotare l’intero quadro politico, e non solo la sinistra.

Al Senato il Conte-bis ha una maggioranza di 10 senatori e il nuovo gruppo renziano di “Italia viva” a Palazzo Madama ne conta 12, tra cui la fuoriuscita senatrice di Forza Italia, Donatella Conzatti. Questo lascia presagire che quel “Conte stai sereno” pronunciato da Renzi all’indomani dell’annuncio della sua uscita dal Pd somiglia tanto all’“Enrico stai sereno” che lo stesso Matteo pronunciò nei riguardi di Enrico Letta prima di farlo cadere come premier.

L’ex sindaco di Firenze intende diventare la quarta gamba dell’alleanza di governo (dopo Pd, Movimento Cinque Stelle e Leu) e risultare quindi determinante in ogni votazione. La pattuglia renziana potrebbe presto ingrossarsi con arrivi dalle fila del centrodestra berlusconiano. Si vocifera di raduni più o meno “carbonari” organizzati dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, sempre più insofferente alla linea forzista di appiattimento sulla Lega e desiderosa di smarcarsi al centro con una formazione tutta sua. La gran parte dei parlamentari forzisti sarebbe in fermento e, non vedendo alcun futuro nel partito azzurro, potrebbe cedere alle sirene renziane o a quelle di Giovanni Toti, che ha già varcato il Rubicone e deciso di staccarsi da Forza Italia per dar vita a un nuovo partito.

Ma c’è anche un’altra scuola di pensiero che vedrebbe un manipolo di senatori azzurri in transito verso una non ben precisata compagine di “responsabili”, chiamati a sostenere il governo sempre e comunque. Si tratterebbe di una pattuglia post-berlusconiana orchestrata dal sapiente Gianni Letta per neutralizzare i possibili ricatti renziani sull’esecutivo. Il ragionamento del principale suggeritore del Cavaliere sarebbe più o meno il seguente: Matteo fa le bizze, bisogna fare in modo che i suoi voti non siano più decisivi per la tenuta del governo, ed ecco quindi che ad andare in soccorso del Conte-bis potrebbero esserci altri inquilini di Palazzo Madama.

Queste operazioni trasformistiche, dettate più che altro dalla disperazione, visto che gran parte dei parlamentari attuali non verrebbe più rieletta in caso di elezioni anticipate, si legano inscindibilmente alle discussioni sulla legge elettorale.

I proporzionalisti sono più numerosi dei sostenitori del maggioritario. Riformare il sistema di voto in senso proporzionale consentirebbe agli scissionisti di tutti gli schieramenti di sopravvivere anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere e di rapido ritorno alle urne. Se Massimo D’Alema, Pierluigi Bersani e Roberto Speranza non vedono l’ora di chiudere la fallimentare esperienza di Leu per ritornare sotto le ali protettive del Pd, tanto più ora che i renziani se ne sono andati, chi ha già dato vita o intende dar vita a nuove formazioni politiche, come Toti e Carfagna da una parte e Renzi dall’altra, teme di essere fagocitato dai partiti maggiori in caso di varo di una legge elettorale maggioritaria e quindi oppone resistenza.

È vero che il governatore della Liguria, pur avendo una neonata e modesta formazione politica, dice di preferire il maggioritario, al fine di garantire al Paese stabilità e governabilità, ma è altrettanto innegabile che perfino Forza Italia, in caduta libera, e altre formazioni neocentriste che dovessero costituirsi nei prossimi mesi premono per un ritorno al proporzionale, vissuto come garanzia di equa rappresentanza per tutti. Ovviamente ci sarebbe da fissare la soglia di sbarramento, e c’è chi la vorrebbe al 3% e chi la vorrebbe più alta, per frenare la frammentazione.

Peraltro anche dentro il Pd c’è una forte spaccatura tra chi, come Romano Prodi e Walter Veltroni, è rimasto fedele alla logica bipolare e quindi preme per un maggioritario secco e chi, come lo stesso segretario Nicola Zingaretti, appare più possibilista sul proporzionale e agnostico sulla ricetta da adottare, proprio perché non vuole spaccare il suo partito e frammentare ulteriormente il centrosinistra.

A favore del proporzionale sono certamente i Cinque Stelle, che hanno perso tanti voti nell’ultimo anno e mezzo e che, in caso di maggioritario, sarebbero costretti a intrupparsi in uno schieramento più grande, alleandosi con il Pd e le altre forze di sinistra o addirittura con la Lega.

Il Carroccio, invece, avrebbe tutto da guadagnare in caso di riforma elettorale in senso maggioritario. Nei sondaggi, anche i più prudenti, il partito di Matteo Salvini è saldamente il più votato con circa il 34% dei consensi e in un sistema in cui vince chi arriva primo conquisterebbe la maggioranza dei seggi. Ecco perché tutti gli altri partiti potrebbero coalizzarsi in Parlamento per scongiurare questa eventualità e approvare una legge proporzionale pura o una riforma del Rosatellum che consenta comunque anche ai piccoli di continuare ad avere una rappresentanza in Parlamento.

Una cosa è certa. Nessuno parli del “bene del Paese” perché ogni leader è portato a difendere la legge elettorale che gli conviene di più, non quella che assicura stabilità, governabilità e democraticità. La storia politica dice questo.