Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
YOU'RE FIRED!

Trump licenzia Tillerson in piena crisi con la Russia

Con il solito metodo, un messaggio laconico affidato a Twitter, il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato al mondo, in tempo reale, il licenziamento del Segretario di Stato, Rex Tillerson, sostituendolo con Mike Pompeo, direttore della Cia. E il tutto nel bel mezzo della grave crisi fra Russia e Regno Unito.

Esteri 14_03_2018
Rex Tillerson in uscita

Con il solito metodo, un messaggio laconico affidato a Twitter, il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato al mondo, in tempo reale, il licenziamento del Segretario di Stato, Rex Tillerson, prima ancora di prendere la cornetta per annunciarglielo di persona. Che Trump sia avvezzo a metodi brutali, lo si sa dai tempi del reality show che conduceva, The Apprentice, dove ha reso celebre l’esclamazione “You are fired!”, sei licenziato, detta a muso duro ai giovani apprendisti imprenditori. Detta al capo della diplomazia americana (la carica di Segretario di Stato è l’equivalente americano del nostro ministro degli Esteri) è una “bomba” per tutto il mondo. Cosa ci sarà mai dietro? Probabilmente niente. Trump aveva fatto capire in molti modi, da mesi, quali fossero le sue intenzioni nei confronti di un ministro con cui c’era poca o nessuna intesa. Ma il momento scelto, all’apice della crisi fra Regno Unito e Russia, è a dir poco delicato.

Trump e Tillerson stavano litigando, a distanza, da mesi. Il secondo aveva anche privatamente dato dello “stupido” al presidente, lo scorso ottobre (e siccome la sfera privata non esiste più, nell’amministrazione, lo hanno saputo tutti). Il suo licenziamento era dato talmente per scontato che giornalisti e insider avevano coniato il termine "Rexit" per la sua prossima uscita di scena. Tuttavia la diplomazia Usa è stata colta di sorpresa, quando la notizia è stata appresa su Twitter dallo stesso Tillerson, ancora in viaggio dalla Nigeria agli Usa, dopo una serie di visite di Stato in Africa. Il sottosegretario Steve Goldstein, con delega alle relazioni pubbliche, è stato anch'egli licenziato in tronco, dopo aver fornito ai reporter dettagli sul licenziamento (mai annunciato allo stesso Tillerson, se non da vaghe voci di corridoio su una possibile repentina decisione dell'inquilino della Casa Bianca), una versione dei fatti non conforme con quella diffusa dalla Casa Bianca. Ieri pomeriggio il presidente ha dichiarato ai reporter di aver deciso sulla sorte del suo ministro dopo averci pensato a lungo, a causa della divergenza di vedute su tutti i dossier fondamentali della politica estera, dall’Iran alla crisi con la Corea del Nord. “Mi sono trovato bene con Rex (Tillerson, ndr), ma aveva davvero un’altra impostazione mentale, un modo diverso di pensare – ha commentato il presidente, subito dopo l’annuncio del licenziamento – Quanto all’accordo con l’Iran, io penso sia terribile, ma credo che a lui vada bene. Non la pensavamo proprio allo stesso modo. Con Mike, Mike Pompeo, abbiamo invece un modo affine di pensare. Penso che ci troveremo molto bene”. Mike Pompeo, direttore della Cia, è stato dunque nominato successore di Tillerson alla guida di Foggy Bottom, sede del ministero degli Esteri di Washington.

E al posto di Pompeo? Alla guida della Cia, con un altro colpo di scena, Trump ha nominato la prima donna direttrice della storia dell’agenzia, Gina Haspel, trentatré anni di carriera alle spalle, ex vicedirettrice di settori molto delicati dell’intelligence, quali le operazioni clandestine e coperte, e soprattutto del controspionaggio e dell’anti-terrorismo. E’ in quest’ultimo ruolo che la Haspel ha anche supervisionato l’attività di uno dei carceri segreti americani, in Tailandia, dove si praticava anche l’annegamento simulato (waterboarding) sui sospetti terroristi catturati sul campo. Per questo, con uno dei paradossi tipici della presidenza Trump, la prima donna direttrice dell’intelligence è la meno amata in assoluto dai Democratici e dall’opinione pubblica di sinistra. I Democratici, con l’appoggio di alcuni Repubblicani (fra cui il senatore John McCain, contrario ai metodi dell’anti-terrorismo dei tempi di Bush) lungi dal festeggiare un traguardo raggiunto dal femminismo, si dicono pronti a dar battaglia fino all’ultimo voto per bloccare la sua nomina.

Pompeo e la Haspel (se confermata) darebbero nuovo impulso alla lotta contro il terrorismo. Le nomine paiono scelte apposta per proseguire e vincere la lunga guerra in Afghanistan, altro fronte su cui Tillerson appariva troppo scettico. Contrariamente all’ex Segretario di Stato Pompeo è anche considerato un “falco” nel dossier Iran, dimostrandosi molto propenso a cestinare l’accordo sul nucleare del 2015, quello voluto da Barack Obama. Probabilmente la nuova squadra sarà anche più propensa a lavorare fianco a fianco con l’ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Haley, la pasionaria che si scontrava spesso e volentieri con il freddo pragmatismo diplomatico di Tillerson.

Il problema, però, è che il ricambio al vertice degli Esteri e dell’intelligence negli Usa giunge a “guerra in corso”. E non è una guerra qualsiasi: Regno Unito e Russia sono ai ferri corti. Il 4 marzo, a Salisbury, killer ignoti hanno avvelenato Sergei Skripal, ex agente del Gru (servizio segreto militare) russo, incarcerato in Russia per tradimento e liberato al seguito di uno scambio di prigionieri. Assieme a lui è rimasta intossicata anche la figlia Julia, di 33 anni, che stava pranzando con il padre. Entrambi sono ricoverati in gravi condizioni. I loro killer hanno usato un gas classificato come parte del gruppo di agenti nervini detti “Novichok”, armi chimiche in uso nell’esercito russo. Come se non bastasse si è aggiunta, proprio ieri, un’altra morte sospetta: è stato trovato il corpo senza vita di Nikolaj Glushkov nella sua abitazione londinese; era socio dell’ex magnate Boris Berezhovskij, altro rivale di Putin, morto a Londra sempre in circostanze misteriose.

In mezzo a tutta questa tensione, mentre la Casa Bianca aspettava ad accusare apertamente la Russia di Putin, Tillerson, per una volta, si dimostrava meno diplomatico e più deciso. Alla vigilia del suo licenziamento, aveva detto chiaro e tondo che l’attentato all’ex agente russo “viene dalla Russia (…) Non riesco a comprendere perché qualcuno debba fare una cosa del genere. Ma quella (il gas, ndr) è una sostanza a noi nota e non è diffusa”. Nel suo discorso di addio, Tillerson ha ribadito il concetto: “Resta ancora molto lavoro da fare per rispondere al comportamento e alle azioni preoccupanti del governo russo. La Russia deve valutare attentamente quanto le sue azioni rispondano effettivamente agli interessi dei russi e del mondo in senso lato. Continuando su questa strada, è invece facile che queste azioni portino al suo isolamento. Una situazione che è contro gli interessi di tutti”.

Si sarebbe portati a credere, dunque, che Pompeo sia stato nominato da Trump per ammorbidire le relazioni con la Russia, in un momento di alta tensione. O no? Probabilmente no. Perché anche Tillerson, al momento della sua nomina, era stato frettolosamente bollato dai media come “uomo di Putin”. Era stato addirittura decorato dal presidente russo, in tempi non sospetti, per i suoi contatti commerciali, quando era amministratore delegato della Exxon. E, dall’altra parte, Pompeo, non è noto per essere una colomba con gli avversari degli Usa. E proprio in un momento di crisi con la Russia, nel bel mezzo di una guerra di spie, Trump preferisce avere al suo fianco un ministro degli Esteri che parla la sua stessa lingua e una veterana alla testa della Cia.