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MOSTRA DEL CINEMA

Tutt'altro che favoloso. Leopardi affonda a Venezia

La 71esima Mostra del Cinema di Venezia ha riservato qualche piacevole sorpresa anche se è mancato “il film” protagonista e si è premiato ancora una volta l’esercizio di stile, ben costruito certo, ma per nulla emozionale. Deludente il film su Leopardi di Mario Martone, dove il poeta ne esce piuttosto malconcio.

Cinema e tv 11_09_2014
Elio Germano interpreta Leopardi

La 71esima Mostra del Cinema di Venezia ha riservato qualche piacevole sorpresa anche se è mancato “il film” protagonista e si è premiato ancora una volta l’esercizio di stile, ben costruito certo, ma non abbastanza emozionale da attirare il pubblico in sala. 

Leone d’Oro a Roy Andersson in concorso con A Pigeon sat on branch reflecting on existence, film conclusivo di una trilogia sull’essere umano iniziata anni fa con i titoli Songs from the second floor (2000) e You, the living (2007). Inquadrature fisse e frontali, macchina da presa a debita distanza dai personaggi, profondità di campo e scenografie monocromatiche sono elementi portanti del film del regista svedese che ha per protagonisti uomini tragicomici, depressi e rassegnati alla propria esistenza, osservati nella loro banale quotidianità all’interno di bar, negozi, sale da ballo o condomini. Con sottile umorismo nero, Andersson segue le vicende di due venditori di curiosi quanto improponibili oggetti di Carnevale, interrogandosi sull’esistenza umana per giungere, in molti casi, alla stessa triste conclusione reiterata nel film da un ritornello ricorrente e comune a tutti i personaggi, che impegnati in conversazioni telefoniche, affermano puntualmente: «Sono contento di sapere che vada tutto bene», quasi a voler dire che la felicità risiede sempre altrove e lontano da noi. Un film stilisticamente perfetto che poggia su un certo pessimismo e cinismo per descrivere un’umanità sola e abbandonata a se stessa. 

Molto più apprezzato da critica e stampa, The Look of Silente di Joshua Oppenheimer, premiato con il Gran Premio della Giuria.  Dopo The Act of killing, il regista americano torna a indagare il genocidio indonesiano degli anni ‘60 con questo nuovo toccante documentario adottando, in quest’ultimo caso, il punto di vista uno dei parenti delle vittime dell’Olocausto. 

Leone d’argento invece a Andrei Konchalovskij per il suo The Postman’s White Night, un film che risente di una certa lentezza e segue i viaggi di un postino in un villaggio della Russia. L’uomo rappresenta l’unico reale legame con gli abitanti di questo desolato villaggio sulle rive Lago Kenozero. 

Nonostante le critiche positive risulta piuttosto deludente anche il Leopardi del Giovane Favoloso di Mario Martone. L’ottima prestazione dell’attore italiano Elio Germano nei panni del poeta non basta a salvare un film che sembra diviso in due parti. Dopo un avvio convincente, in cui si dà spazio al rapporto di Giacomo con il padre rigido Monaldo, si perde il filo della narrazione e il poeta di Recanati diviene un vero e proprio cliché, un personaggio pessimista, piegato dal peso della malattia - così tanto da essere scambiato da alcuni giornalisti stranieri per il Quasimodo di Notre Dame - e dall’ambigua identità sessuale come sottolineato dal regista nella scena in cui Leopardi osserva di nascosto l’amico Ranieri uscire dalla vasca da bagno. 

Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher e Adam Driver, i due protagonisti di Hungry Hearts di Saverio Costanzo, la storia dell’incontro e del matrimonio tra Jude e Mina, una coppia che entra in crisi in seguito alla nascita di un bambino indaco soprattutto a causa delle ossessioni della madre che si convince di poter nutrire la creatura attraverso una rigida dieta vegana. Giocando con i diversi generi cinematografici, dalla commedia all’horror, Saverio Costanzo si interroga con tensione e cura su quelle manie e pericolose psicosi degli esseri umani che, se spinte all’estremo, di rendono prigionieri delle convinzioni. Non è un caso che il bambino non abbia un nome e che per tutto il film venga chiamato con diversi appellativi, un modo per snaturarlo della sua identità di essere umano e ridurlo sempre più a un giocattolo da possedere e custodire con un’insana parsimonia. 

A convincere critica e pubblico c’è anche il film di apertura Birdman, di Alejandro Inarritu, la storia divertente di un attore che dopo una sfolgorante carriera come supereroe, cerca di rilanciarsi attraverso il teatro. Il film è interpretato da Michael Keaton che tanti ricordano soprattutto per il ruolo di Batman. Spassosa e ben scritta la commedia di Peter Bogdanovich, She’s funny that way, con un irresistibile Owen Wilson e una brava Jennifer Aniston. In arrivo in sala a Natale, il film è un chiaro esempio di come si riesca a far sorridere con eleganza e umorismo tagliente senza far ricorso ad alcuna volgarità 

Commovente Loin des hommes con Viggo Mortensen. Ambientato in Algeria ai tempi della guerra di liberazione con la Francia, il film racconta la storia di un maestro di scuola elementare, ex militante, cui viene affidato un prigioniero arabo accusato di omicidio con il compito di consegnarlo alle autorità francesi del più vicino villaggio. Il viaggio si trasforma in un percorso che è occasione di confronto sull’identità, sui diversi sistemi morali propri di ogni essere umano, sulle possibilità e sulle scelte e fa emergere, passo dopo passo, il ritratto di una dignità umana non scontata e commovente. 

Da recuperare anche il francese Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte, già regista di Angèle & Tony, con il bravissimo Romain Paul, premiato come miglior attore emergente, alle prese con una madre malata, un padre sconosciuto con cui costruire un rapporto e la prima cotta adolescenziale. A fare da sfondo a tutto la musica classica, in particolare la sesta sinfonia di Mahler da cui derivano i colpi del titolo del film. 

Inspiegabile, tra i premiati, il riconoscimento a Sivas del turco Kaan Müjdeci. Nel film, un ragazzino undicenne, decide di prendersi cura di un cane sopravvissuto a un combattimento. Dalle premesse ci si illude di trovarsi di fronte alla nuova versione di Belle & Sebastien, ma l’illusione dura poco e il film prende una piega completamente diversa. Il rapporto tra il bimbo e il cane è privo di empatia, non suscita alcuna emozione e l’interesse del regista a concentrarsi solo sui combattimenti tra cani – tre nel corso dei 93 minuti – attraverso inquadrature in primo piano in cui si mostra la crudeltà di tale pratica e si incita alla violenza cruda che suscita fastidio e disturbo. A salvarsi, in questo caso, è solo il talentuoso ed espressivo Dogan Izci.  

Pessimo Pasolini di Abel Ferrara. Il regista americano con origine italiane ci profila un ritratto superficiale e poco convincente del poeta e romanziere concentrandosi sugli ultimi giorni della sua vita. Ne viene fuori un ritratto manchevole in tutti gli aspetti, privata di una reale riflessione su quello che fu il suo ruolo di narratore per indugiare troppo sulla dimensione più intima e privata dell’autore italiano tanto da risultare, in certi momenti, trash e volgare. 

Fischiato senza una reale motivazione Good Kill di Andrew Niccol dove Ethan Hawke interpreta Tommy Egan, pilota d’aerei che vive con la famiglia in Nevada e telecomanda i droni in Afghanistan da un container parcheggiato all’interno di una base militare. La guerra assume i contorni di un campo virtuale dove basta pigiare dei tasti per far saltare provocando la morte di pericolosi sospetti e vittime innocenti. Un film con un forte materiale narrativo, interessante soprattutto per quella che è la dimensione interiore e psicologica di un personaggio che, imprigionato in un meccanismo perverso, fa tutti i giorni i conti con la sua coscienza.  Sebbene imperfetto e a tratti prevedibile, Good Kill di Niccol suscita sicuramente una interessante riflessione su quegli aspetti inediti di una guerra che prende piede intorno a noi.