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SVEZIA

Ultime dal gender: anche i maschi possono “abortire”

La sezione giovanile del Partito liberale svedese (Luf) pare proprio che voglia candidarsi a vincere le olimpiadi delle proposte di legge più bizzarre. Dopo aver approvato una mozione per legittimare incesto e necrofilia, ora chiede che anche gli uomini possano «abortire legalmente».

Esteri 16_03_2016
Diritto di aborto anche per i maschi in Svezia

La sezione giovanile del Partito liberale svedese (Luf) pare proprio che voglia candidarsi a vincere le olimpiadi delle proposte di legge più bizzarre. Già un paio di giorni fa avevamo dato notizia che il Luf aveva approvato una mozione per legittimare incesto e necrofilia (clicca qui). Ora chiede che anche gli uomini possano «abortire legalmente». 

Non si tratta di impiantare uteri in corpi maschili e poi ricorrere all’aborto, bensì di rinunciare ai diritti e doveri paterni entro la diciottesima settimana di gravidanza della moglie, fidanzata, convivente, termine ultimo consentito per accedere all’aborto. Si tratta né più né meno della possibilità di non riconoscere il figlio prima che nasca. Nulla quindi a che vedere con l’ipotesi che sia il maschio a decidere se continuare o meno la gravidanza, decisione che potrebbe essere imposta alla donna. Il padre che sceglie di disconoscere il figlio prima della nascita non dovrà accudire il figlio, né passare gli alimenti alla madre, però non potrà vantare su di lui nessun diritto. Tale scelta è poi irrevocabile.

Tutti sono insorti e gli utenti dei social network hanno coperto di insulti questi giovani liberal qualificandoli come “misogeni”. Anche i compagni di partito più anziani non hanno risparmiato critiche al loro indirizzo e li hanno definiti «giovani idioti». Il portavoce del Luf Vast, Marcus Nilsen ha così risposto alle critiche: «Molti ci hanno accusato di misoginia, ma così non è. Questa mozione è stata portata avanti, nel nostro attuale meeting annuale, da un gruppo di ragazze. Noi pensiamo che questa cosa sia degna di essere dibattuta, ma le reazioni sono state soprattutto conservatrici, con molti che hanno visto in questa idea un attacco alla famiglia tradizionale».

Ovviamente pietra dello scandalo non è la possibilità dell’ “aborto maschile” in se stessa, bensì il fatto che in tal modo il maschio potrebbe erodere terreno all’autodeterminazione della donna. L’aborto in tutto il mondo è considerato privilegio esclusivo della madre, sfera di dominio assoluto in cui il padre è escluso. Invadere questo spazio femminile è atto sacrilego. Ma a ben vedere il “pieno diritto” all’aborto accordato alla donna non viene scalfito nemmeno un po’ da questa proposta. Anzi, come hanno fatto notare quelli del Luf, la donna ne esce ancor più tutelata. Infatti, saprà se potrà contare sul padre una volta che il piccolo avrà visto la luce. Di contro, aggiungiamo noi, constatare che il padre non vuole assumersi nessuna responsabilità e che tale decisione sarà formalizzata giuridicamente, potrebbe spingere più di una ragazza a ricorrere all’aborto. Ma potrebbe accadere anche il caso opposto, seppur statisticamente sia ipotesi meno frequente.

I giovani liberal svedesi hanno poi fatto sapere che questa proposta va nelle direzione della parità dei sessi. Insomma, loro hanno pensato ad un aborto egualitario, a un aborto aperto a tutti, inclusivo e non sessista. Un aborto gender. É per questo motivo che il Luf ha usato l’espressione «aborto maschile» e non, quella più corretta, di riconoscimento preparto (facoltà presente anche nel nostro ordinamento giuridico). Proprio perché si voleva mettere l’accento sul seguente aspetto: se l’aborto è un diritto, tutti ne devono beneficiare al di là del fatto che materialmente la procedura abortiva non può che riguardare solo la donna, perché solo lei porta in grembo il bambino. 

L’aborto maschile è davvero espressione carica di simbolismo gender: tutti devono essere uguali a tutti in tutto, non solo nei diritti ma anche nelle funzioni fisiologiche. L’aborto maschile rappresenta la volontà del superamento della condizione femminile e maschile portata alla sue estreme conseguenze. Eppure questi cliché concettuali molto (ab)usati per l’omosessualità e la cosiddetta identità di genere qui non valgono, proprio perché, come dicevamo, sull’aborto il copyright ce l’hanno solo le donne. Ma se madre e padre hanno gli stessi diritti sul figlio, in linea teorica il padre potrebbe ad esempio opporsi alla decisione di abortire della donna, facoltà che ad esempio nella nostra 194 non è contemplata, laddove il padre può dire la sua solo se la donna acconsente a fargli aprire bocca. 

Perché invece il piatto della bilancia pende a favore della donna? Perché, così da tempo ci hanno ripetuto tutti – dalle femministe giù giù fino ai radicali e ai cattolici adulterati – è la donna che porta avanti la gravidanza e questo crea un’oggettiva disparità tra madre e padre. Come si vede, se l’ottica è quella propria del diritto di proprietà –«Questo figlio è più della madre o del padre?» – non se ne esce. E l’unica conclusione è quella di carattere “industriale” che vede solo la madre avere lo ius vitae ac necis sul figlio perché ha messo a disposizione sia la materia grezza iniziale come il padre (ovocita/spermatozoo), ma poi ha aggiunto altra materia ed ha speso energia e tempo per “fabbricarlo” (gestazione). Se la prospettiva invece è quella del figlio, il suo diritto alla vita è intangibile e madre e padre non hanno altra (felice) scelta che accoglierlo.