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TRADUZIONI AL MESSALE/IL CASO ARGENTINA

Un pronome può lasciare il Padre nostro al suo posto

Anche la traduzione del messale argentino ha scatenato una disputa liturgica come nel caso del Padre Nostro italiano. Colpa della sostituzione del pronome vosotros con ustedes. Ma proprio quel caso dimostra che l’attuale Congregazione, per quanto riguarda la concessione della recognitio al nuovo Messale in lingua italiana, preveda un’indulgenza analoga a quella concessa ai sacerdoti argentini a quanti sentiranno in coscienza di avere difficoltà ad utilizzare la nuova traduzione del Padre nostro.

Ecclesia 04_12_2018

Dopo ben sedici anni di lavoro, vede finalmente la luce la terza edizione italiana della traduzione del Messale Romano, approvata durante la 72° Assemblea Generale della CEI. In attesa della recognitio della Sede Apostolica, si sono già sollevate molte perplessità soprattutto sulla scelta della variazione del Padre nostro. Ma c’è stato un altro “Messale 3.0” che ha innescato notevoli polemiche: si tratta della traduzione in spagnolo fatta in Argentina, ed in uso anche in Bolivia, Cile, Paraguay e Uruguay del Messale Romano, promulgato nel 2009-2010. La doppia data non è un errore: dovrete leggere interamente l’articolo per capirne la ragione.

Dicevamo che si è trattato di un Messale controverso. Sicuramente, benzina sul fuoco è stato il fatto che Segretario e membro della Commissione liturgica episcopale della Conferenza Episcopale Argentina (CEA), che pare girasse tutto il Paese per convincere i riluttanti sull’obbligatorietà del nuovo Messale, fu don (all’epoca) Cristian Gramlich, ridotto poi nel 2014 allo stato laicale, in seguito all’accertamento di casi di pedofilia. Cosa ci facesse un prete in una commissione liturgica di soli vescovi non è dato saperlo; ma il problema è che dell’allora “don” giravano parecchie voci di comportamenti non proprio sacerdotali al Collegio Carmen Arriola de Marín già prima del 2004, anno in cui il Vescovo di Sant’Isidro, Mons. Alcides Jorge Pedro Casaretto, decise di prendere “provvedimenti”: lo spostò e lo nominò parroco di Santa Rita e Direttore pastorale del collegio Giovanni XXIII a Boulogne. Niente male. Giusto per completezza: Mons. Casaretto è stato nominato lo scorso anno per indagare sulla situazione disastrosa in Honduras, legata al Vescovo ausiliare della Diocesi Tegucigalpa (il cui titolare è il Cardinal Maradiaga), Mons. Juan José Pineda Fasquelle.

Nel 2012 il nuovo Vescovo, mons. Oscar Ojea, lo rimosse dagli incarichi e nel 2014 arrivò la sentenza definitiva della Santa Sede. Per farla breve, Gramlich era un po’ il factotum del lavoro di traduzione del Messale: fece parte della prima Commissione, nominata da Mons. Alfonso Delgado, fu il responsabile di una revisione completa del lavoro compiuto da detta commissione, fu coordinatore dell’ultima revisione, promotore in Argentina presso i sacerdoti e i fedeli del nuovo Messale e compilatore del Messale Romano quotidiano ad uso dei fedeli. Insomma: non un personaggio proprio periferico… E il tutto quando già gravavano su di lui pesanti accuse.

Ma il vero motivo del dissenso è però da cercare all’interno dello stesso Messale, ed in particolare in una infelice scelta di traduzione: l’utilizzo del pronome ustedes in sostituzione di vosotros. In realtà, è tutto il Messale ad essere pervaso da un linguaggio piuttosto familiare, con l’effetto immediato di desacralizzazione, contrariamente alle indicazioni di Liturgiam Authenticam, 27, che richiede di “sviluppare gradualmente in ogni lingua vernacola uno stile sacro, che sia riconosciuto anche come linguaggio propriamente liturgico. Così può accadere che un certo modo di parlare, ritenuto piuttosto obsoleto nell'uso quotidiano, continui a essere conservato nel contesto liturgico”. Una traduzione liturgica non deve assorbire qualsiasi tipo di modifica della lingua, ma deve essere come un classico, capace a sua volta di plasmare e condizionare una cultura: “perciò non c'è da meravigliarsi se può differire alquanto dal linguaggio ordinario” (n. 47).

Dunque, ustedes e vosotros significano entrambi “voi”, ma, nell’uso dello spagnolo così com’è parlato in Argentina, mentre il primo appartiene al registro familiare ed informale, il secondo è espressione propria del registro formale e letterario. Difficile trovare un corrispondente in italiano e dunque difficile capire lo shock che provocò questa innovazione. Quando il 15 maggio la CEA interrogò l’Academia Argentina de Letras, su richiesta della Congregazione per il Culto Divino, quest’ultima rispose appunto che ustedes (vos al singolare) appartiene al linguaggio utilizzato correttamente e pertanto può essere utilizzato nelle conversazioni e nella predicazione. Nel contempo, però, fece notare che non sarebbe stato adeguato per la traduzione della Sacra Scrittura. I pronomi (singolare) e vosotros (plurale), pur essendo perfettamente comprensibili per qualsiasi argentino, non si trovano però mai nel linguaggio di tutti i giorni, ma appartengono esclusivamente ad un registro più elevato, come quello letterario e religioso, ma anche in generale in contesti più formali.

La lunga battaglia per introdurre l’uso di ustedes nella liturgia iniziò nel 1984. La storia di questo cambiamento ha dell’incredibile e manifesta l’ostinazione, nascosta da un velo di obbedienza meramente formale (e a volte nemmeno da quello) alle disposizioni della Santa Sede, e l’incomprensione della natura della lingua liturgica da parte dei vescovi argentini. La 48° Assemblea Plenaria della CEA, pur riconoscendo maggiormente “corretto dal punto di vista letterario e più degno del linguaggio liturgico l’utilizzo del pronome vosotros” decise tuttavia di permettere l’uso di ustedes “nei dialoghi e nelle formule che il celebrante ed i fedeli devono recitare insieme”. Questa risoluzione venne dichiarata invalida dalla Congregazione per il Culto Divino il 21 maggio 1984.

Nel 1986 le Conferenze episcopali di lingua spagnola approvarono una risoluzione che distingueva i testi propriamente liturgici, nei quali occorreva utilizzare esclusivamente il pronome vosotros, dalle parti didattiche o esplicative, nelle quali era permesso l’uso di ustedes. Nell’aprile 1992, durante la sua 63° Assemblea Plenaria, la CEA alzò il tiro, approvando l’introduzione “nelle nuove edizioni dei libri liturgici l’ustedes, tranne che nella preghiera eucaristica e nella formula dei sacramenti”. La Congregazione, dopo aver consultato, come abbiamo già riferito sopra, l’Academia Argentinas de Letras, decise di non confermare questa decisione. In questa strategia di estorcere permessi per sfinimento, il 7 agosto dell’anno successivo il Presidente della CEA chiese alla Congregazione di rivedere il proprio parere negativo; la Congregazione iniziò a cedere terreno, concedendo l’uso di ustedes nei Lezionari, ma ribadendo la proibizione di introdurlo nell’Ordinario. La breccia però era stata aperta e pian piano l’uso dell’ustedes iniziò a diffondersi anche in altri parti del Rito della Messa, nonostante la formale proibizione dei Vescovi e della Congregazione. Il 18 maggio 1995 la CEA tornò alla carica per chiedere alla Congregazione la possibilità di usare il pronome ustedes nell’Ordinario, ricevendo l’ennesima risposta negativa. Nonostante ciò, la CEA presentò alla medesima Congregazione una versione dell’Ordinario della Messa con la presenza dell’ustedes. Dopo aver incassato l’approvazione dei Lezionari il 29 febbraio 1998, nel 2002 la CEA iniziava la partita per ottenere l’utilizzo dell’ustedes anche nell’Ordinario, cosa che ottenne definitivamente il 18 ottobre 2007 (introducendo, tra l’altro due registri formali diversi: l’uso del per il singolare, e dell’ustedes per il plurale).

Coloro che avevano goduto dell’eccessiva indulgenza della Congregazione, che si rivelò in ultimo una capitolazione, non furono altrettanto benevoli verso quei sacerdoti che volevano continuare ad utilizzare il vosotros. Il Decreto di promulgazione del nuovo Messale, del 13 agosto 2009 prevedeva infatti specificamente che, a partire dalla Prima Domenica di Quaresima, 21 febbraio 2010 “per la celebrazione della Santa Messa (Messale Romano e Lezionario) si dovrà utilizzare la forma verbale ‘ustedes’, essendo abrogato l’uso del ‘vosotros’, del ‘vos’ e altri”. Il seguito è veramente incredibile: “Di conseguenza, per la celebrazione lecita dell’Eucaristia a partire da questa festa si dovranno utilizzare il nuovo Messale Romano e i Lezionari, Tomi I-IV, pubblicati da questa Conferenza Episcopale”.

Il tenore del testo del Decreto manifesta la volontà di sopprimere ogni dissenso, dissenso che evidentemente non era così fievole e sporadico e che proveniva da quei sacerdoti che negli anni del braccio di ferro tra CEA e Congregazione erano rimasti fedeli alle indicazioni che provenivano da Roma; mentre invece quelli che avevano fatto le orecchie da mercante e avevano tirato dritto per la loro strada, esigevano adesso obbedienza rigorosa…

Ma qualcosa dev’essere successo, se il 3 febbraio 2010 comparve un nuovo Decreto, nel quale i due paragrafi da noi citati erano desaparecidos: nessun riferimento alla proibizione del vosotros e nessun riferimento all’uso del nuovo Messale come condizione di liceità della Messa. Sappiamo da una nostra fonte che la Congregazione inviò delle lettere personali ai Vescovi che facevano pressioni sui sacerdoti per utilizzare il pronome ustedes, domandando che non si procedesse a sanzioni contro di loro: la volontà di Benedetto XVI era quello di raggiungere una pacificazione liturgica e non la creazione di nuovi fronti conflittuali. Si tratta di lettere personali, ma ufficiali e dunque presenti in copia nell’archivio della Congregazione per il Culto; di una di queste abbiamo il numero di protocollo.

La vicenda è molto istruttiva, almeno per tre aspetti. Il primo è che la zizzania non muore mai e la tolleranza con la zizzania significa morte certa per l’erba buona; è solo questione di tempo. Il secondo è che l’Istruzione Liturgiam Authenticam esiste e continua ad essere il documento di riferimento per le traduzioni liturgiche, ma praticamente è carta straccia, dal momento che anche la Congregazione ha finito per approvare la scelta dei Vescovi argentini sull’ustedes. La terza è la speranza che l’attuale Congregazione, per quanto riguarda la concessione della recognitio al nuovo Messale in lingua italiana, verifichi se realmente siano state rispettate le indicazioni presenti nell’Istruzione e che preveda un’indulgenza analoga a quella concessa ai sacerdoti argentini a quanti sentiranno in coscienza di avere difficoltà ad utilizzare la nuova traduzione del Padre nostro.