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LE MOSSE DI TRUMP

Unesco e Nuclear Deal, doppio assalto all'Iran

Prima viene annunciato il ritiro degli Usa dall'Unesco, decisione che fa saltare la candidatura del Qatar (alleato dell'Iran) alla guida dell'agenzia Onu. Poi Trump rimette in discussione l'accordo sul nucleare iraniano, rimandandolo al Congresso. Così si rafforza l'asse mediorientale Usa-Israele-sunniti per isolare l'Iran.

Esteri 14_10_2017
Trump nella campagna contro l'accordo sul nucleare iraniano

Gli Usa, due giorni fa, si sono ritirati dall’Unesco e Trump ha rimesso in discussione il trattato sul nucleare di Teheran del 2015, de-certificandolo e rimandandolo al Congresso. Benché si tratti di operazioni diversissime in due ambiti che apparentemente non hanno alcun nesso fra loro, entrambe le mosse paiono rispondere alla stessa logica: isolare l’Iran e saldare l’alleanza con Israele e i paesi arabi sunniti.

Il ritiro degli Usa dall’Unesco non è affatto una mossa eclatante come è stata spesso commentata in questi giorni. Non è una novità: già Ronald Reagan, nel 1984 ritirò gli Usa dall’agenzia Onu che tutela il patrimonio artistico e culturale mondiale. Fu solo George W. Bush a riportare gli Stati Uniti nell’Unesco, nel 2002, sostenendo che i pregiudizi anti-occidentali fossero ormai cosa del passato. Il problema Unesco era dunque sempre lo stesso e riemerse anche nel 2011, quando la maggioranza votò per ammettere la Palestina come Stato membro e gli Usa (allora c’era ancora il democratico Barack Obama) decisero di sospendere i finanziamenti. Si tratta dunque di una storia di strappi e c’è poco di nuovo nella decisione di Donald Trump di ritirare gli Usa entro il 31 dicembre 2018, con più di un anno di preavviso, dunque.

Il momento in cui è stato fatto l’annuncio, piuttosto, è stato strategico. Infatti è avvenuto a 48 ore dall’elezione del nuovo direttore dell’Unesco. Il pretesto ufficiale per la protesta americana è la risoluzione Unesco, con cui il Muro Occidentale di Gerusalemme, il più sacro dei luoghi sacri ebraici, è stato definito solo con il suo nome musulmano. In generale, nell'annuncio, viene condannato il "continuo pregiudizio anti-Israele" dell'agenzia Onu. Ma la tempistica dell'annuncio suggerisce che l’obiettivo della protesta americana è, plausibilmente, una persona in particolare: la maggioranza dei membri dell’Unesco, al primo turno, aveva votato per Hamad bin Abdulaziz Kawari, del Qatar. Personaggio controverso di un paese controverso, giusto per usare termini diplomatici. Kawari, infatti, che nel 2010 fece designare Doha capitale della cultura araba, ospitò nel suo salone del libro una serie impressionante di titoli antisemiti, fra cui anche il Mein Kampf e i Protocolli dei Savi di Sion. Nella prefazione da lui firmata nel volume Jerusalem in the Eyes of the Poets, Kawari scrive che Israele è “responsabile per la guerra civile in Libano, per la prima e la seconda Guerra del golfo, per l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, per il caos in Sudan e in Egitto”. Il Qatar, del cui governo Kawari è un esponente, è tuttora isolato dagli altri paesi arabi sunniti, per il suo rapporto speciale con l’Iran e per l’ambiguità dimostrata nei rapporti con i gruppi jihadisti, oltre che per il suo appoggio esplicito al movimento dei Fratelli Musulmani, attualmente inviso sia all’Egitto che all’Arabia Saudita.

Con l’annuncio del ritiro degli Usa dall’Unesco, la candidatura di Kawari è saltata in tempo record. La nuova direttrice, eletta ieri, è francese: Audrey Azouley. Ad esultare per la vicenda è stato prima di tutto il governo Netanyahu in Israele. In questo modo, gli Usa (che non hanno ancora spostato l’ambasciata a Gerusalemme, come Trump aveva promesso in campagna elettorale) hanno ancora una volta rassicurato il loro principale alleato in Medio Oriente. Non solo: colpendo l’ambizione del Qatar, hanno contribuito ulteriormente al suo isolamento nel mondo arabo. E hanno lanciato un messaggio trasversale anche all’Iran, protettore regionale dell’emirato del Golfo.

Nella stessa logica si spiega anche la conferenza stampa di Trump, ieri, in cui è stato annunciato un drastico cambio di rotta sull’accordo nucleare con Teheran. E’ bene ricordare, prima di tutto, che Trump non aveva e non ha la possibilità di cestinarlo completamente, visto che si tratta di un patto multilaterale, in cui è coinvolta l’Ue (e in prima persona l’Alta Rappresentante Federica Mogherini), oltre alla Russia e alla Cina. Prevede la graduale fine delle sanzioni economiche all’Iran in cambio di una sua sospensione del programma atomico. Dopo il 2025, dieci anni dopo la firma, l’Iran avrebbe anche il permesso di riprendere il programma anche nel suo aspetto più ambiguo e controverso: l’arricchimento dell’uranio, procedura dopo la quale potrebbe anche costruire testate nucleari. La fine di questo “Nuclear Deal” è stata una delle prime promesse di Trump in campagna elettorale. Adesso, sebbene non lo abbia cestinato del tutto, lo ha rimesso in discussione, rimandandolo al Congresso. Il presidente statunitense denuncia il mancato rispetto dell’accordo da parte dell’Iran. Le accuse sono pesanti: il regime di Teheran avrebbe aumentato la produzione di acqua pesante (altra procedura sospetta di bomba atomica: l’acqua pesante si usa per ottenere plutonio, materiale fissile adatto alle testate nucleari), di aver aggressivamente perseguito una politica di boicottaggio delle ispezioni internazionali, di aver proseguito nel programma missilistico e di aver destabilizzato la regione mediorientale con l’invio all’estero della Guardia Rivoluzionaria.

Come nel suo discorso alle Nazioni Unite, Trump non usa mezzi termini per condannare l’Iran. Lo definisce un “regime fanatico”, con una Guardia Rivoluzionaria per “diffondere morte, distruzione e caos”. Anche in questo caso, assieme alle preoccupazioni espresse dalla Mogherini e dal Cremlino, le congratulazioni arrivano in giornata dal governo Netanyahu. E, in questo caso, anche dall’Arabia Saudita. Si è trattato, dunque, di un rafforzamento dell’asse Usa-Israele-sunniti, ormai sempre più evidente e saldato dalla comune ostilità nei confronti dell’Iran.