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ANNIVERSARIO

Unione Africana, 50 anni di illusioni

Cominciano oggi i grandi festeggiamenti in tutta l'Africa per celebrare i 50 anni dell'organizzazione che doveva promuovere lo sviluppo e la stabilità del Continente. Ma tra corruzione, guerre e colpi di stato, quelle promesse sono state ampiamente tradite.

Esteri 25_05_2013
Unione Africana, 50 anni

50 anni fa, il 25 maggio 1963, i leader di 32 stati africani indipendenti firmavano ad Addis Abeba, Etiopia, il documento costitutivo dell’Organizzazione dell’Unità Africana, OUA. L’evento segnava la fine del dominio coloniale europeo in Africa. Uno dopo l’altro, negli anni successivi, tutti gli altri stati hanno ottenuto a loro volta l’indipendenza e sono diventati membri dell’OUA, a cui il 23 maggio del 1994, finito il regime dell’apartheid, ha aderito anche il Sudafrica. Nel 2002 l’OUA ha poi lasciato il posto all’attuale Unione Africana, UA, che oggi conta 54 membri, con l’ingresso nell’organismo del Sud Sudan, il più giovane stato del mondo, nato nel 2011 dalla secessione dal Sudan. Resta fuori dall’UA il Marocco, uscito dall’OUA nel 1984, in seguito all’ammissione del Sahara Occidentale che Rabat occupa dal 1976.

Nel 1963 il summit costitutivo dell’OUA si svolse in un clima di grande orgoglio e speranza. L’organismo nasceva per promuovere unità e cooperazione, difendere la sovranità e l’integrità degli stati membri, dirimerne dispute e conflitti, farsi portavoce di un continente forte abbastanza da porsi alla pari con le potenze mondiali nel contesto internazionale. Inoltre l’OUA prometteva di lottare strenuamente per sradicare qualsiasi forma di colonialismo, elevare gli standard di vita di tutti gli africani e assicurare a tutti il pieno rispetto dei diritti umani.  

I suoi fondatori erano considerati degli eroi, i padri fondatori delle loro nazioni sottratte al dominio coloniale: avevano lottato per la libertà, il mondo credeva in loro. Nell’aprile del 1963 il governo etiope aveva presentato le loro biografie in un libro intitolato “The African Summit Conference” nella cui introduzione si legge: “Le biografie illustrano le speranze, i sogni e le aspirazioni dei leader africani”. Quella di Ahmed Sekou Touré, presidente della Guinea Conakry, si conclude, ad esempio, così: “Conserva la vitalità e il dinamismo giovanili. Poiché ha dalla sua gioventù, energia e ambizione, confidiamo che nei prossimi anni renderà la Guinea più prospera che mai”. Di Milton Obote, primo ministro dell’Uganda, dice: “Il modo in cui ha gestito la difficile transizione gli ha meritato il rispetto della popolazione. (…) Obote asserisce che ogni membro dell’OUA deve combattere e vincere la formidabile guerra contro povertà, analfabetismo e malattie”.

Ma i leader africani che proclamavano unanime condivisione degli obiettivi dell’OUA erano in realtà divisi su come realizzarli, come gestire i rapporti con le ex madrepatria, con chi allearsi ora che il mondo era diviso tra est e ovest, a quale modello – democrazia o totalitarismo, economie di mercato o socialiste – ispirarsi. Altri, più antichi fattori, dividevano inoltre il continente che, molto prima della colonizzazione europea, era stato devastato e profondamente segnato dalla colonizzazione bantu e da quella arabo-islamica. Unità e cooperazione rimasero ideali irraggiungibili e, per di più, la decisione di non interferire negli affari degli stati membri rese impossibile qualsiasi intervento e l’OUA mancava d’altra parte di risorse finanziarie e militari per agire. Soprattutto, divenne presto evidente che soltanto pochi leader africani avevano realmente a cuore la missione dell’OUA. In effetti la divisione più radicale era tra coloro che erano davvero disposti a battersi per lo sviluppo umano e per le libertà e i diritti personali e quelli i cui “sogni, speranze e aspirazioni” erano mettere le mani sulle risorse dei loro paesi, a qualsiasi costo, e saccheggiarle.

Come molti, troppi altri leader africani, sia Sekou Touré che Obote oggi sono ricordati come dittatori, e tra i più feroci e spietati. Non per niente nel 2002 alcuni mass media internazionali hanno commentato la sostituzione dell’OUA con l’UA con “la fine del club dei dittatori”, il soprannome affibbiato all’organismo e, per la verità, nessuno ne ha pianto la fine, considerati gli scarsi risultati raggiunti.

A distanza di 50 anni ancora si contano le dittature e i colpi di stato, le istituzioni democratiche deboli e tradite fanno meritare a molti stati la definizione, un eufemismo, di “democrazie imperfette”. Al tribalismo, responsabile della tradizionale conflittualità inter e intra tribale ora estesa al controllo dell’apparato statale, si è aggiunta la minaccia del terrorismo internazionale e di uno scontro di religione senza precedenti.   

Una crescita economica c’è stata, grazie allo sfruttamento delle risorse naturali pressoché illimitate di cui il continente dispone. Ma corruzione e malgoverno dilagano: il saccheggio dell’Africa continua, ad opera delle leadership africane questa volta, che si vendono persino la terra. Pace, sicurezza, unità, democrazia e promozione dei diritti umani restano traguardi da raggiungere. Povertà, malattie, fame non sono state sconfitte. Le statistiche e i dati dimostrano che si sono compiuti dei progressi, registrano miglioramenti nelle condizioni di vita della popolazione che però dipendono in gran parte da apporti esterni – cooperazione, rimesse degli emigranti, aiuti umanitari – e quindi non sono prova di uno sviluppo umano sostenibile e, comunque, l’Africa detiene a livello mondiale praticamente tutti i primati negativi: mortalità infantile e materna, bassa speranza di vita alla nascita, diffusione di AIDS, malaria, poliomielite, tubercolosi, analfabetismo… Basta consultare l’Indice di sviluppo umano dell’UNDP e il suo rapporto annuale: quasi tutti i paesi africani si trovano al fondo dell’indice, nel gruppo dei paesi a basso sviluppo.

Riuniti ad Addis Abeba, sede dell’UA, i capi di stato e di governo africani hanno tuttavia iniziato celebrazioni e festeggiamenti che dureranno per tutto il 2013 mentre da ogni angolo del continente giungono notizie demoralizzanti: i morti nelle manifestazioni antigovernative in Guinea, gli scioperi e la polizia che spara ad altezza d’uomo in Sudafrica, il dittatore del Madagascar che, dopo aver giurato di non presentarsi alle presidenziali, si è candidato appena pochi minuti prima della scadenza dei termini, due autobombe esplose e almeno 18 morti in Niger, una città intera di 20.000 abitanti data alle fiamme e 20 morti in scontri etnici in Darfur (Sudan), un morto in Tanzania in scontri per impedire la costruzione di un gasdotto, gli arresti di diversi giornalisti in Uganda, per tacitare le voci di una successione ereditaria al potere dal presidente Yoweri Museveni al figlio, un golpe sventato in Ciad…. Sono solo alcune delle notizie dell’ultima ora battute dalle agenzie di stampa. Ne escono offuscate la pur buona notizia che i petrodollari della Guinea Equatoriale finanzieranno un progetto di edilizia popolare in Liberia, che la Costa d’Avorio ha deciso di bandire i sacchetti di plastica, che il re zulu in Sudafrica si unisce alla lotta contro lo sterminio dei rinoceronti.

Il premio aggiudicato annualmente dalla Fondazione Mo Ibrahim ai capi di stato e di governo africani che hanno trasferito democraticamente il potere ai loro successori e che si sono distinti nel garantire ai loro paesi sicurezza, servizi sanitari e scolastici e sviluppo economico non è stato assegnato, per mancanza di candidati meritevoli, nel 2009, 2010 e 2012.

Per contro, nel 2004 il presidente del Sudafrica Thabo Mbeki non ha esitato a conferire l’Order of the companions of O. Tambo proprio a Sekou Touré, nonostante che durante il suo regime la Guinea si sia trasformata in una prigione a cielo aperto, migliaia di prigionieri politici siano scomparsi e siano stati all’ordine del giorno arresti arbitrari, torture ed esecuzioni sommarie. Di Sekou Touré si è detto addirittura che si cibasse di carne umana. Eppure gli è stata conferita l’onorificenza sudafricana, che prende il nome da uno dei leader dell’African National Congress, eroe della lotta contro l’apartheid, “per il suo eccezionale contributo a un’Africa, libera, unita e prospera”.

Per concludere, come non augurare buon compleanno all’Unione Africana erede dell’OUA, ma certo in Africa tanta strada resta ancora da fare.