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11 SETTEMBRE

Usa e Arabia Saudita, la legge della discordia

Nonostante il veto di Barack Obama passa la legge con cui i familiari delle vittime dell'11 settembre possono denunciare l'Arabia Saudita per complicità con i terroristi. Si tratta di una sconfitta del presidente e si raggiunge il punto più basso delle relazioni fra Washington e Riad.

Esteri 30_09_2016
Manifestazione a favore della nuova legge

Con gran pena per il presidente Barack Obama, l’Arabia Saudita può essere denunciata dai cittadini americani per gli attacchi dell’11 settembre. Il Congresso ha votato con una maggioranza qualificata (75%) per superare il veto presidenziale. La legge che ora è stata approvata in via definitiva è nota con l’acronimo di Jasta e permette ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime degli attentati dell’11 settembre di denunciare un governo straniero sospettato di aver sponsorizzato il terrorismo sul suolo americano. Il governo in questione non è nominato (potrebbe essere più di uno), ma è la monarchia saudita l’oggetto dei maggiori sospetti.

“Penso che sia stato un errore, ma capisco perché è successo. È un esempio del perché, a volte, si deve fare la cosa più difficile, e francamente speravo che il Congresso decidesse diversamente. Ma non mi aspettavo che lo facesse, perché facendolo la percezione comune sarebbe stata di un suo voto contro le famiglie dell’11 settembre, proprio poco tempo prima delle elezioni. Però sarebbe stata la cosa giusta da fare”. Questa è stata la dichiarazione di Barack Obama alla notizia del voto. Anche la maggioranza del suo partito Democratico ha votato contro il presidente, in questo caso. Pure il suo possibile successore, la candidata Hillary Clinton, ha dichiarato che, una volta alla Casa Bianca, avrebbe firmato la legge Jasta. Si tratta del primo veto presidenziale di Obama (in 8 anni di governo) che viene superato da un voto al Congresso. Il superamento di un veto del comandante in capo è un evento raro. E’ successo più frequentemente del solito nei due mandati del presidente George W. Bush: quattro votazioni a maggioranza qualificata su 12 veti presidenziali. In tutta la storia degli Stati Uniti, è successo in appena 110 casi. Che sono molto pochi, se pensiamo che, in totale, da George Washington a Barack Obama, i veti presidenziali sono stati 2.574. Quindi, in media, solo nel 4% dei casi il Congresso respinge la volontà del presidente di bloccare una legge. Da un punto di vista puramente politico, si tratta di uno smacco per l’attuale presidente, ormai giunto alla fine del suo secondo mandato. Ma Obama ha realmente difeso la sua presa di posizione? A giudicare dalla sua dichiarazione contorta, con quel suo accenno al “voto contro le famiglie dell’11 settembre” fa pensare a quanto si sia turato il naso prima di esercitare il suo diritto di veto e quanto, adesso, possa tirare un sospiro di sollievo dopo il voto al Congresso.

Se Obama, realmente, ha posto il veto più per dovere che per convinzione, da dove deriva questo senso del dovere? Una prima fonte di pressione, esplicita, viene dall’Arabia Saudita, tuttora il principale alleato arabo degli Stati Uniti. Ma l’attività di lobbying saudita sul Congresso, costata alla monarchia araba milioni di dollari, è stata frustrata dal voto delle due camere. E’ la dimostrazione che la lunga alleanza sta perdendo sostanza. E non è la prima: l’accordo sul nucleare iraniano (ritiro delle sanzioni in cambio del congelamento di parte del programma atomico dell’Iran per dieci anni) va direttamente contro agli interessi della sicurezza saudita, che vede la Repubblica Islamica come il suo maggior avversario nel Golfo. E anche la scorsa settimana, la maggioranza del Senato ha votato una legge che prevede la sospensione degli aiuti militari statunitensi ai sauditi almeno fino alla fine della campagna di bombardamenti sullo Yemen, che sta provocando troppe vittime civili. Riad, insomma, non ha più l’influenza che aveva all’inizio del mandato presidenziale di Obama.

L’altro motivo di pressione sul presidente era interno. La preoccupazione, cioè, che la legge potesse ritorcersi contro gli americani all’estero. Se viene modificato il Foreign Sovereign Immunities Act del 1976, anche un atto commesso da personale militare e civile americano all’estero (compresi i piloti del Cermis o le forze speciali che agiscono ovunque nel mondo contro il terrorismo) può dare adito a cause contro il governo degli Stati Uniti, processi svolti in base alle legislazioni locali e potenzialmente forieri di risarcimenti miliardari. Da qui la riluttanza ad approvare una legge che introduce un cambio di consuetudini così pesante. Tuttavia, i sostenitori della Jasta sono convinti che i governi stranieri, d’ora in avanti, sono avvertiti e saranno molto più cauti prima di sponsorizzare segretamente attività terroristiche contro gli Usa e sul suolo americano. Secondo il senatore repubblicano Dan Donovan, inoltre, il timore espresso da Obama per eventuali rappresaglie è del tutto improprio: “La legge ha uno scopo molto specifico: si applica solo ai governi stranieri che sponsorizzano il terrorismo sul suolo americano. Dunque, anche se altri governi dovessero approvare leggi analoghe per rappresaglia, queste non colpiranno gli Stati Uniti, perché noi non sponsorizziamo attacchi terroristici contro civili innocenti di altri paesi”.

Secondo Donovan, semmai, è stata la contrarietà di Obama a firmare la legge a mettere la pulce nell’orecchio dei governi stranieri. Invece che rassicurarli sul carattere prettamente difensivo e anti-terroristico della Jasta, li avrebbe indotti a pensare che la nuova legge potesse minare definitivamente l'immunità del personale all'estero. E' questo timore che può spingere gli altri governi, a partire da quello saudita, ad adottare misure di rappresaglia. In pratica, d’ora in avanti e grazie alle dichiarazioni di Obama, sempre più americani all’estero potrebbero essere additati come “terroristi” anche se stanno semplicemente facendo il loro lavoro. E per diversi paesi arabi, in particolare, il termine “terrorista” viene dilatato fino ad includere tutte le opposizioni politiche. E l’intera politica estera israeliana. Quindi il prossimo piano di aiuti militari statunitensi a Israele, potrebbe essere denunciato (dal Libano, magari, o dalla stessa Arabia Saudita, che non riconoscono lo Stato ebraico) come "sostegno al terrorismo". Ne vedremo delle belle, d'ora in avanti.