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CRISI

Venezuela in rivolta, il Vaticano dà una mano a Maduro

Incontri a sorpresa, annunci imprevisti, confusione. Mentre in Vaticano il presidente Nicolas Maduro era ricevuto da Papa Francesco, il nunzio apostolico mons. Tscherrig annunciava l'inizio del dialogo fra governo e opposizione. Ma in parlamento è lotta dura, anche con scontri fisici dopo l'assalto bolivariano ai democratici.

Esteri 26_10_2016
Venezuela, la protesta in Parlamento

Incontri a sorpresa, annunci imprevisti, confusione. Così è iniziata la settimana per i venezuelani. Mentre in Vaticano il presidente Nicolas Maduro era ricevuto da Papa Francesco, senza gli abituali protocolli, senza foto ufficiale, quasi nascosto e come un clandestino, a Caracas l’inviato del Papa, monsignor Emil Paul Tscherrig, il nunzio apostolico in Argentina, dichiarava in televisione: “Oggi è partito il dialogo nazionale” in Venezuela. I mediatori? Il Vaticano, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) guidate dall’ex presidente colombiano Ernesto Samper, il socialista José Luis Rodríguez Zapatero (ex premier della Spagna) e gli ex presidenti Leonel Fernández (Repubblica Dominicana) e Martin Torrijos (Panama). 

“Non è partito nessun dialogo!”, ha ribadito in diretta su Facebook Henrique Capriles Radonski, governatore dello stato di Miranda (Venezuela) e leader dell’opposizione, in risposta all’annuncio pubblico dell’inviato pontificio, spiegando che il Vaticano aveva convocato tramite il nunzio in Argentina riunioni separate. Ma questo non vuol dire che si sia iniziato il dialogo: “Attenzione sua Santità, la lotta dei venezuelani è contro il diavolo”, ha precisato.      

Il comunicato letto da Tscherrig “sembra scritto da Zapatero, che è sempre stato contrario al referendum anti-Maduro”, dice infatti il governatore dell’opposizione denunciando che non accetteranno l’imposizione di un’agenda dall’esterno: “nessuno con una propria agenda verrà a servirsi di noi per un profitto personale. La crisi del Venezuela non si risolve facendo sedere persone intorno a un tavolo e scattando foto, la crisi del Venezuela è più profonda”. E “perché convocano una riunione sull’isola di Margherita, lontano dagli occhi del pubblico?”, ha rimarcato Capriles. Si riferisce alla riunione convocata da Tscherrig per il 30 ottobre.

Quindi, il dialogo chiesto da Papa Francesco è partito con il piede sbagliato. Da tempo i venezuelani attendevano una giusta mediazione da parte della Santa Sede per la liberazione dei prigionieri politici (ad oggi 134) e per riuscire a trovare una via democratica alla crisi che sta portando il paese alla deriva. Ma è arrivata la conferma all’improvviso: “Attendiamo l’arrivo di un inviato del Papa e non della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV)”, ha affermato lo scorso sabato il presidente del partito di governo Diosdado Cabello, durante una conferenza stampa. Nel frattempo, monsignore Baltazar Porras, neo cardinale e grande critico del governo, ha affermato lo stesso giorno che non era stato informato dell’arrivo di un inviato della Santa Sede, secondo dichiarazione pubblicata dal quotidiano venezuelano El Nacional. Evidentemente c’è qualche problema di comunicazione tra la Santa Sede e la CEV. 

Forse si tenta di cambiare rotta. Domenica 23 ottobre il Parlamento venezuelano si è schierato contro il governo e ha dichiarato “è in atto un colpo di Stato da parte del regime di Nicolas Maduro contro la Costituzione della Repubblica” chiedendo alla comunità internazionale l’attivazione di “tutti i meccanismi necessari per garantire i diritti del popolo del Venezuela e il suo diritto alla democrazia”. La decisione approvata a maggioranza qualificata arriva in risposta alla sospensione del referendum revocatorio del mandato del presidente, un diritto stabilito nella costituzione del paese eppure da mesi ostacolato dal Consiglio Nazionale Elettorale comandato da Nicolas Maduro.    

Non a caso durante la sessione straordinaria l’emiciclo è stato assalito da gruppi “chavisti” armati che hanno tentato di bloccare il lavoro del potere legislativo. Dopo mezz’ora di confusione, cinque feriti e il furto di una telecamera della Tv Globovision, i deputati sono riusciti a prendere il controllo della situazione. “Non solo hanno violato la Costituzione, hanno anche fatto irruzione in Parlamento per la seconda volta nella storia del Venezuela”, ha affermato su twitter il deputato di opposizione Julio Borges. La prima irruzione è accaduta nel secolo scorso, il 24 gennaio 1948.

Evidentemente non ci sono le condizioni per il dialogo in Venezuela. È chiaro che l’opposizione aveva chiesto la mediazione di Papa Francesco, ma questo “non può sostituire un diritto del popolo di revocare il presidente”, ha sottolineato monsignore Diego Padron, il presidente della CEV. Con la sospensione del referendum, “Maduro ha battuto un colpo contro la Costituzione e noi, come venezuelani, abbiamo il dovere morale di difenderla”, ha concluso il leader Capriles Raonski.

E il Parlamento venezuelano non si ferma nella lotta per la difesa della democrazia. Non solo ha denunciato la dittatura di Nicolas Maduro, ma ieri ha anche avviato un procedimento politico e penale contro il presidente, che dovrà comparire il prossimo martedì 1 novembre davanti al potere legislativo per “sottoporsi al giudizio del popolo”. Tra le accuse quelle di corruzione, abbandono dell’incarico di Presidente (durante viaggi non autorizzati dal Parlamento) e violazione dei diritti umani. Oggi i venezuelani scenderanno pacificamente in piazza, in appoggio al potere legislativo sovrano, nel tentativo di riprendersi il paese.