Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Marco a cura di Ermes Dovico
IL LIBRO

A che ora è la fine del mondo?

A proposito della leggendaria fine dei tempi  secondo il calendario maya, val la pena rileggere le Apocalissi nelle varie religioni.

Tra le righe 10_03_2012
Apocalissi
Quando nasceva un maschio azteco la levatrice, all’atto di tagliare il cordone ombelicale, recitava queste parole: «Il tuo compito e la tua funzione è la guerra, il tuo dovere è dare da bere al Sole col sangue dei tuoi nemici». Infatti, gli aztechi praticavano le «guerre fiorite» (così dette poeticamente perché si svolgevano in primavera) al solo scopo di procurarsi vittime da sacrificare sui loro altari. Non diversamente facevano i Maya e gli Incas. «Tutto il pensiero religioso messicano è dominato dall’idea della catastrofe cosmica, catastrofe che i sacrifici offerti agli dèi e le ecatombi di vittime umane contribuiscono ad allontanare, ma non possono eliminare dal libro del destino».

Così scrivono l’antropologo Mario Polia e lo studioso Gianluca Marletta già in questo libro del 2008. Sappiamo infatti molto delle culture precolombiane, anche se -contrariamente alla vulgata che parifica i conquistadores a biechi genocidi- tutto dobbiamo agli storici spagnoli che scrissero proprio nel XVI secolo. Circola, anche al cinema, la leggenda del 21 dicembre 2012, che nel calendario maya segnerebbe la fine del mondo. In realtà, segna solo la fine di un ciclo, di un’era; il che apparenta la visione religiosa maya a quella di quasi tutte le civiltà tradizionali. Impressionante, per esempio, la presenza del mito del diluvio universale in esse, praticamente senza eccezioni. Per i greci, «dopo nove giorni e nove notti di piogge torrenziali, l’arca costruita da Deucalione su consiglio di Giove approda al monte Parnaso». Deucalione era figlio di Prometeo, e Pirra, la sua compagna, lo era di Pandora. Sono i due capostipiti della nuova umanità postdiluviana.

Il libro di Polia e Marletta, tuttavia, ammette umilmente di essere solo «un’introduzione al vasto mondo delle apocalissi», di cui si limita a descrivere le principali: prima le tre religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo e islam), poi le tradizioni indiana, iranica, greca, romana, germanica e amerindia. Un excursus completo e dettagliato, di cui qui possiamo riportare solo alcuni degli aspetti più intriganti. Per esempio, un hadit (detto) attribuito a Maometto dice: «L’Ultima Ora non verrà prima che abbiate visto dieci segni: il Fumo, il Dajjal (l’Anticristo), la Bestia, il sorgere del sole a Occidente, la discesa di Gesù il figlio di Maria, Gog e Magog, tre sprofondamenti del terreno, uno in Oriente, uno in Occidente e uno nella penisola arabica al termine del quale un fuoco si sprigionerà nello Yemen». Un altro precisa: «fino a quando le ricchezze per voi non saranno in abbondanza» e «fino a quando le persone competeranno nel costruire palazzi sempre più alti». In quel tempo «gli uomini prenderanno il loro piacere con gli uomini e le donne con le donne». E pure l’antichissima religione zoroastriana ha qualcosa da dire riguardo alla fine.

Più interessante, però, è l’inizio di questa fine: Zarathustra aveva predetto l’avvento di un Saoshyant, un Salvatore nato da una vergine, quando le stelle si fossero disposte in un certo modo: era quel che andavano cercando i Magi del Vangelo, che Matteo diceva «venuti dall’Oriente». Pure per Platone, nel Timeo, bisognava porre attenzione agli astri: il ciclo sarà compiuto «quando tutti i pianeti saranno di nuovo allineati nello stesso segno zodiacale in cui la rotazione del cosmo ebbe inizio». E qui si entra nel fenomeno della precessione degli equinozi, ben noto agli antichi (quasi tutte le tradizioni parlano di un «asse» del mondo). Nelle mitologie celtiche, a cui J. R. R. Tolkien attinse a piene mani, compare un Freir-Fròdi, «sovrano dei primordi», ma anche qui la «sfera delle stelle fisse» non è «destinata a compiere per sempre le sue rivoluzioni attorno allo stesso perno».

In diverse tradizioni, infatti, la stella Polare «viene abbattuta o comunque rimossa dalla sua sede». I romani, che molto attinsero alle tradizioni greca ed etrusca, sapevano bene quando sarebbe finito almeno il loro mondo. Fin dagli auspicia che Romolo trasse dal volo di dodici avvoltoi all’ora della fondazione di Roma, dodici fu un numero sacro: dodici erano gli dèi romani, i segni dello zodiaco, i mesi dell’anno (ma anche le città che avevano costituito la Lega etrusca) e dodici i littori che precedevano il re. Quando nel 420 d.C. le orde di Alarico strinsero l’Urbe, molti si ricordarono dell’antica profezia che attribuiva a Roma dodici secoli di durata. Tanti, quanti gli avvoltoi di Romolo.



Mario Polia e Gianluca Marletta

Apocalissi, la fine dei tempi nelle religioni
Sugarco 2008, pagine 262, euro 19,80.