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APPELLO DI ACS

A Clooney ed Elton John: non solo il Brunei viola i diritti

“Caro George Clooney e caro Elton John, fate udire la vostra voce, non fermatevi al Brunei”. La pressione dell'attore-regista americano e del cantautore inglese hanno spinto il sultano alla moratoria sulla pena di morte per adulterio e omosessualità. Ma mai dimenticare anche tutti gli altri Stati che applicano la più rigida legge coranica. E perseguitano i cristiani.

Libertà religiosa 12_07_2019
Il sultano del Brunei

“Caro George Clooney e caro Elton John, fate udire la vostra voce, non fermatevi al Brunei”. È questo l’appello che ACS, Aiuto alla Chiesa che soffre, la Onlus che dal 1947 si prodiga per i cristiani perseguitati, rivolge in una lettera aperta ai due celebri esponenti del mondo dello spettacolo per chiedere loro di attivarsi in favore di sei cristiani accusati di blasfemia in Pakistan che rischiano la pena capitale.   

“In Brunei – esordisce la lettera – il 3 agosto scorso è entrata in vigore una rigida applicazione della sharia, la legge islamica: è stata infatti introdotta la pena di morte tramite lapidazione per reati quali l’adulterio e i rapporti omosessuali. Voi, con l’ONU e con altre organizzazioni per i diritti umani, avete pubblicamente protestato. Il Sultano del Paese asiatico ha quindi ceduto, disponendo una moratoria sulla pena capitale per omosessualità e adulterio”.

Come si ricorderà, dapprima in effetti il sultano, Hassanal Bolkiah, aveva reagito alle proteste di governi, organismi internazionali e associazioni riaffermando la propria decisione. In una lettera al Parlamento europeo l’aveva giustificata dicendo che l’intenzione era di “salvaguardare la sacralità della discendenza familiare e del matrimonio” e aveva invitato l’Unione Europea a “tolleranza, rispetto e comprensione” per l’impegno del Brunei in favore dei valori tradizionali.

Alla fine, però, il sultano ha desistito pur motivando la moratoria come mera estensione di quella già prevista da oltre 20 anni per crimini come l’omicidio e il traffico di droga. La discesa in campo di personaggi come George Clooney ed Elton John è stata utile perché ha contribuito a sensibilizzare molte più persone. Clooney, nell’intento di colpire anche nei suoi interessi economici il sultano, il sovrano più ricco del mondo, ha suggerito tra l’altro il boicottaggio dei prestigiosi hotel del Brunei. La metropolitana e gli autobus di Londra, con lo stesso obiettivo, hanno smesso di pubblicizzare le vacanze nel sultanato.   

Che cosa chiede allora Aiuto alla Chiesa che soffre? “Ogni protesta finalizzata alla tutela della vita umana va accolta positivamente – commenta la sua lettera – specie per condotte che, salva la valutazione morale, nessun ordinamento civile qualificherebbe come reati”. Tra queste condotte che la legge islamica giudica severamente, fino alla condanna a morte, ma che “nessun ordinamento civile qualificherebbe come reati” c’è la blasfemia. “In Pakistan, per esempio, sei cristiani attendono l’esecuzione capitale per presunta blasfemia contro l’Islam – prosegue la lettera – in base a norme riconducibili alla legge islamica. I loro nomi sono Sawan Masih, Shafqat Emmanuel, Shagufta Kasur, Qasir Ayub, Amoon Ayub e Nadeem James”.

Di loro nessuno si cura, dice ACS che conclude la lettera lanciando il suo appello a Clooney e a Elton John: “fate udire la Vostra voce a favore di questi sei cristiani con lo stesso meritorio impegno manifestato nel caso del Brunei”.

Mobilitarsi per salvare i sei cristiani accusati di blasfemia vorrebbe dire forse salvare la loro vita e inoltre servirebbe a focalizzare l’attenzione internazionale sulle violazioni dei diritti umani che si verificano in molti paesi, tutte riconducibili all’Islam. “Dall’Afghanistan all’Arabia Saudita, dal Sudan alla Nigeria del Nord, sono tanti gli Stati al cui interno la sharia è applicata con rigore – osserva ACS – è lecito tuttavia domandarsi perché non si levi analoga disapprovazione quando, sempre in applicazione della sharia, a essere calpestati sono la libertà religiosa e altri fondamentali diritti umani”. 

La risposta la daranno le due star interpellate, decidendo se e come rispondere all’appello. Il 6 giugno dello scorso anno la rivista Vanity Fair aveva pubblicato un’altra lettera aperta di Aiuto alla Chiesa che Soffre, quella volta indirizzata a quattro attrici – Asia Argento, Meryl Streep, Sharon Stone, Uma Thurman – e a tutte le loro colleghe che avevano aderito al movimento MeToo, la campagna internazionale di denuncia delle molestie sessuali subite dalle donne in Occidente. La lettera chiedeva a queste famose attrici, spiegava Alfredo Mantovano, presidente di ACS, di “prendere a cuore anche le decine di migliaia di donne che in molti Paesi, soprattutto quelli in cui dominano i fondamentalismi, subiscono violenze indicibili solo perché professano un’altra religione, nella maggior parte dei casi quella cristiana”. Erano state scelte tre vittime, in rappresentanza di tutte le altre: Rebecca, una cristiana nigeriana schiavizzata dai jihadisti Boko Haram, Dalal, una yazida irachena violentata dai miliziani dell’Isis, lo Stato Islamico, e Suor Meena, una cristiana indiana violentata da estremisti indù.

“Anche loro hanno bisogno di voi! – diceva la lettera – della vostra collaborazione per contrastare l’intollerabile ipocrisia di chi si indigna solo per quel che accade nel cortile della propria abitazione ed è avaro di pensieri, di parole e di aiuto per chi lontano soffre anche a causa del silenzio di tanti e di tante. La solidarietà di attrici famose come Voi romperebbe l’indifferenza. Grazie per l’attenzione che vorrete dare a queste donne”.

Di quell’appello, a distanza di un anno, che ne è stato?