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PROPOSTE DI LEGGE

Affido condiviso, buone intenzioni e punti critici

Il disegno di legge sull'affido condiviso (primo firmatario Pillon), che ha già cominciato a fare discutere, contiene importanti disposizioni atte a ridurre i danni di una legge ingiusta quale è quella sul divorzio. Vi sono tuttavia punti critici sui quali si deve assolutamente intervenire, primo fra tutti la rigidità della duplice opzione "affidamento esclusivo o affidamento al 50%" che non va certo nella direzione dell'interesse del minore. 

Famiglia 10_09_2018

“La famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire”. Questa frase di Arturo Carlo Jemolo viene citata nel promettente disegno di legge “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, il cui primo firmatario è l’onorevole Simone Pillon, e che verrà presentato oggi alla stampa. L’intento lodevole perseguito dal Ddl è duplice: in ossequio all’aforisma di Jemolo, de-giurisdizionalizzare i rapporti tra i genitori e tra i genitori e figli dopo la separazione o il divorzio e tentare di dare efficacia ai principi ispiratori in merito all’affido condiviso contenuti nella legge 8 febbraio 2006, n. 54 la quale, all’atto pratico, per gli estensori del Ddl “si è rivelata un fallimento”. Da ultimo è da sottolineare che questo disegno di legge rientra nell’alveo di quegli interventi che mirano a limitare i danni di una legge ingiusta quale è quella sul divorzio.

Il Ddl è assai articolato e dunque in questa sede ci limiteremo solo a qualche accenno, sfiorando alcuni aspetti che ci paiono i più interessanti. Iniziamo da quelli di segno positivo. In primis ricordiamo la mediazione civile obbligatoria al fine di “evitare a molte famiglie la lite giudiziaria, di per sé autonoma espressione di fallimento e foriera di conseguenze personali e relazionali, le cui spese vengono in ogni caso pagate a caro prezzo dai molti minori coinvolti”, come possiamo leggere nell’introduzione del Ddl. Poi rammentiamo il mantenimento diretto a favore della prole, evitando la soluzione dell’assegno perequativo, già presente nell’attuale disciplina normativa ma, a detta degli estensori del Ddl, rimasto lettera morta. In buona sostanza si tratterebbe non più di pagare un assegno omnicomprensivo, bensì di far fronte direttamente a singole spese. Questo anche in ragione del fatto che, come vedremo, il minore dovrebbe passare lo stesso tempo con entrambi i genitori.

Tale ultimo aspetto ha prodotto anche un’altra proposta presente nel Ddl: la riforma della disciplina sull’assegnazione della casa familiare, assai spesso motivo di aspro conflitto tra gli ex coniugi. In caso di co-intestazione dell’immobile “si prevede il diritto  a un corrispettivo da parte del comproprietario che utilizza il bene in via esclusiva. In caso di proprietà esclusiva in capo a uno dei due genitori o a terzi, si dovranno in ogni caso applicare le vigenti norme in materia di proprietà, comodato d’uso, diritto di usufrutto o di abitazione e locazione”. In breve, l’intento è quello di distribuire in modo il più possibile equo gli oneri anche economici sulle spalle dei due separati.

Altra iniziativa che appare lodevole è quella del “piano genitoriale, autentico strumento di lavoro sul quale padre e madre saranno chiamati a confrontarsi per individuare le concrete esigenze dei figli minori e fornire il loro contributo educativo e progettuale che riguardi i tempi e le attività della prole e i relativi capitoli di spesa”.

Dato che il Ddl sta muovendo i suoi primi passi in Parlamento ci permettiamo ora di indicare alcuni profili contenuti in esso che a motivo di certe criticità presenti nel testo meriterebbero delle limature per arrivare ad un risultato ottimale. L’art. 11 così recita: “Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di: 1) violenza; 2) abuso sessuale; 3) trascuratezza; 4) indisponibilità di un genitore; 5) inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore”.

L’intenzione che anima questo articolo è sicuramente apprezzabile: che il figlio trascorra pari tempo con entrambi i genitori, finalità presente anche nella legge vigente, ma spesso disattesa dai giudici i quali alla fine si sono sempre mostrati propensi a privilegiare e di molto un solo genitore. Le uniche eccezioni del principio “pari tempo con ciascun genitore” sono: il parere diverso dei genitori e alcune situazioni tassativamente indicate quali violenza, abusi, etc. E’ previsto anche l’affidamento esclusivo.

Il problema sta nel fatto che non sempre il tempo paritetico è la soluzione migliore per il minore. Esistono una infinità di condizioni che suggeriscono un affidamento non equipollente. Dato che tali condizioni sono imprevedibili per il legislatore, dovrebbe essere il magistrato a giudicare caso per caso, valutando la vertenza specifica. Vero è che i giudici spesso non optano per l’affidamento condiviso ed ecco il perchè di questo art. 11 che vorrebbe rimettere in equilibrio i piatti della bilancia manomessi dai tribunali, ma una legge che volesse sostituirsi al ruolo del giudice – applicazione della legge nel caso concreto – potrebbe essere una pezza peggiore del buco. Quindi la doppia opzione - o affidamento esclusivo o affidamento al 50% - appare un po’ troppo rigida rispetto alle infinite contingenze che il giudice si troverà di fronte.  

A tale proposito così appunta il dott. Paolo Carpi, Presidente dell'AIPG, Associazione Italiana di Psicologia Giuridica: “ll non differenziare per età e predisporre almeno 12 pernottamenti con un genitore, applicando rigidamente la shared custody, appare come una spartizione del bene di famiglia, molto lontano dal reale interesse del minore. Non si tiene conto che le diverse fasi evolutive richiamano esigenze e bisogni diversi, anche in riferimento all’emotività e ai processi di identificazione, con necessità spesso legate anche alla qualità e al tipo di relazioni che si sono instaurate. Imporre e prevedere una suddivisione teorica e sulla carta della frequentazione genitori-figli non rientra nel concetto di superiore interesse del minore”. Questo dunque potrebbe essere un primo aspetto da limare nel lavori parlamentari.

Altro snodo che potrebbe essere migliorato è contenuto nell’art. 17 che riguarda la cosiddetta alienazione genitoriale. Qualora un genitore impedisca la relazione del figlio con l’altro genitore o con i familiari, il giudice può applicare alcuni provvedimenti di protezione del minore e di allontanamento del genitore “anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi”. L’aspetto critico risiede nel fatto che, in certi casi, basterebbe solo il rifiuto del figlio nei confronti di un genitore, non corroborato da riscontri oggettivi, per portare all’allontanamento di quest’ultimo. In breve, l’opinione e le condotte del minore sono sì necessarie, ma non sufficienti per arrivare ad emettere i provvedimenti di cui sopra.

Infine vi è un articolo che desta curiosità: l’art. 19, il quale prevede l’eliminazione dell’addebito della separazione a carico di un coniuge “in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”. Nel testo del Ddl non si indicano le motivazioni per le quali si è giunti a questa decisione.

In conclusione questo Ddl, come già accennato in precedenza, appare promettente e, così ci sembra, abbisogna solo di qualche aggiustamento, seppur significativo, per dare il meglio di sé.