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CONTINENTE NERO

Africa, dove le ragazze perdono la scuola per il ciclo

“Bisogna restare a casa con il ciclo?” chiedevano una volta le ragazze. In molti paesi dell'Africa nera, questa domanda è quotidiana e nel periodo del ciclo milioni di ragazze devono restare a casa da scuola. Sono difficili le condizioni per governi e Ong che vogliono distribuire assorbenti alle giovani.

Educazione 05_03_2018
Studentesse in Africa

“Bisogna restare a casa con il ciclo?” chiedevano una volta le ragazze. E la risposta era “no, ma è meglio non allontanarsi”. Incomincia così lo spot pubblicitario di una nota marca di assorbenti igienici. Seguono immagini attuali di giovani donne che viaggiano in moto e ballano su una spiaggia. La voce fuori campo dice: “i tempi sono cambiati”.

Ma non per tutte le donne i tempi sono cambiati. In Ghana, ad esempio, nei giorni del ciclo e di martedì le donne non possono attraversare il fiume Ofin. Questo ordina il dio del fiume e i leader tradizionali si assicurano che la sua volontà venga rispettata. Così le studentesse del distretto dell’Alto Denkyira, che devono attraversare il fiume per raggiungere le loro scuole, accumulano una decina di giorni di assenza ogni mese. In seguito alle proteste dell’Unicef, di recente il ministro della Regione Centrale e quello della regione Ashanti, due regioni separate dal fiume, hanno promesso che cercheranno insieme di trovare una soluzione.

Se anche oseranno disobbedire al volere del dio del fiume, per molte ragazzine però non cambierà niente. Continueranno a perdere giorni di scuola. Secondo l’Unesco in Africa sub-sahariana una studentessa su dieci non va a scuola nei giorni del ciclo. Alcune perdono così addirittura il 20% della loro istruzione e questo aumenta la probabilità che interrompano gli studi prima di conseguire un diploma.

Ma non è per colpa dei tanti tabù che condizionano le donne in quel periodo. Semplicemente milioni di studentesse non dispongono di assorbenti igienici, le loro famiglie non hanno i mezzi per comprarli o per farlo regolarmente, oppure non ritengono così importante l’istruzione delle figlie da destinare del denaro all’acquisto degli assorbenti: pazienza se restano a casa qualche giorno.

L’associazione Femme International calcola che in un solo paese dell’Africa orientale, il Kenya, le ragazze perdano complessivamente fino a 500.000 giorni di scuola all’anno per via dei problemi che insorgono durante il ciclo mestruale. Prive di assorbenti, si aggiustano come possono, usando stracci, pezzi di carta, foglie. Ma in quelle condizioni hanno paura ad andare a scuola. Rinunciano, per evitare situazioni imbarazzanti e gli scherni dei compagni.

Nel 2017 in Kenya un emendamento al decreto in materia di istruzione scolastica ha stabilito che ogni ragazza iscritta a una scuola sia dotata di assorbenti “gratuiti, in quantità sufficiente e di buona qualità” e possa disporre di sistemi pratici per disfarsene. L’iniziativa però è stata accolta con un certo scetticismo. Era iniziata la campagna per le elezioni generali e in quel periodo i politici promettono tanto per poi magari rimangiarsi tutto. Questo dicono molti in Kenya, mentre ancora il paese attende che il decreto sia attuato, e pensano a quel che in effetti è successo in Uganda nel 2016. In campagna elettorale il governo aveva promesso assorbenti gratuiti a tutte le studentesse. Dopo il voto però ha fatto marcia indietro. Il ministro dell’istruzione e dello sport, la first Lady Janet Museveni, ha spiegato in parlamento che mancava la copertura finanziaria. Le molte proteste sono state presto soffocate. Una docente universitaria, Stella Nyanzi, è stata persino arrestata e interrogata per ore, accusata di aver insultato la first Lady denunciando la promessa tradita.

Per il 65% delle donne kenyane gli assorbenti usa e getta sono troppo costosi. In Uganda il 30% delle ragazze di famiglie povere non se li possono permettere e perciò durante il ciclo non vanno a scuola. Nel resto del continente la situazione è la stessa, con casi ancora peggiori. Distribuirli gratuitamente è dunque un passo avanti a cui stanno pensando alcuni governi. Un ulteriore motivo di scetticismo, però, nasce dalla difficoltà di far sì che gli assorbenti vadano davvero a chi ne ha bisogno, non cadano in mani sbagliate finendo venduti al mercato nero. Di dare alle famiglie il denaro per acquistarli non ci si può fidare, devono essere consegnati direttamente alle studentesse, a scuola, e bisogna sensibilizzare presidi e insegnanti affinché ciò avvenga. Ma soprattutto, come fa notare chiunque conosca la situazione, gli assorbenti da soli non risolvono affatto il problema. In molte scuole infatti manca l’acqua, non ci sono gabinetti attrezzati o quanto meno praticabili in cui le studentesse possano cambiarsi, lavarsi, liberarsi degli assorbenti usati.

Un’alternativa allora potrebbero essere gli assorbenti riutilizzabili. In Uganda, Zambia, Sudafrica delle organizzazioni non governative insegnano a confezionarli e a usarli. In Sudafrica l’ong Project Dignity ne realizza e distribuisce un tipo, chiamato Subz, di puro cotone, che può durare anche cinque anni se tenuto bene. Ma, di nuovo, le difficoltà non mancano. Le ragazze che li cambiano a scuola devono disporre di sacchetti idonei a riportarli a casa. Sembra un problema da poco, ma in Africa non lo è. Inoltre è essenziale che vengano lavati molto bene con acqua e detersivo e riposti con cura: operazioni semplici, ma che diventano problematiche dove ad esempio l’acqua pulita scarseggia o manca del tutto.

Lo spot pubblicitario che circola in Italia spiega che ogni confezione di assorbenti contiene degli involucri per avvolgere e “sigillare gli assorbenti usati e buttarli via in modo discreto”, intonati ai jeans preferiti. “È la tua nuova idea di libertà” dice un altro spot. I tempi sono davvero cambiati, ma in Africa non ancora.