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CRISI IN ISRAELE

Anche se Netanyahu vince, Gantz gli vuole scippare il governo

Dopo la terza elezione, Israele non ha ancora una maggioranza. Netanyahu è vincitore assoluto nelle urne, ma mancano i numeri per formare un governo. Le opposizioni, dal nazionalista Liebermann alla lista arabo-comunista, vogliono far passare una legge contro Netanyahu (perché indagato) e appoggiare un governo Gantz. 

Esteri 10_03_2020
I poster elettorali di Netanyahu e Gantz

I risultati definitivi delle elezioni politiche del 2 marzo in Israele non hanno purtroppo modificato la situazione emersa dopo la chiusura dello spoglio. Ovvero Netanyahu ha sì stravinto – contro tutte le previsioni, non però la nostra – ma non abbastanza per continuare a governare il Paese. Alla coalizione di partiti di centro-destra (Likud con 36 deputati, Shas con 9,  Ebraismo Unito Torah con 7, Yamina con 6) mancano infatti tre deputati per esprimere alla Knesset la maggioranza di 61 parlamentari. Si è così rivelato insufficiente anche il terzo appello alle urne nell’arco di un anno. E sono divenuti più acrimonioso il livore, più sprezzante la rivalità, più  irragionevoli le presunzioni degli sconfitti nel perseguire l’obiettivo di “far definitivamente fuori” il vincitore.

Assistiamo così ad operazioni ancora nel segno dello slogan elettorale (“Tutti e tutto fuorché Bibi”) che potrebbero sancire, in primo luogo, l'esclusione per legge di Netanyahu dalla guida di un governo avendolo un Pubblico Ministero incriminato di reati infamanti (frode, corruzione e abuso di ufficio), prima ancora cioè di passarli al vaglio di una prova. Il processo avrà inizio il prossimo 17 marzo, lo stesso giorno in cui il capo dello Stato dovrà conferire l’incarico di premier; Reuven Rivlin è stato  così posto dinanzi alla certezza di una preclusiva “legge ad personam”, quella che il rivale di Netanyahu, Benny Gantz, leader del partito Bianco e Blu aveva finora proposto invano, ma che oggi ha i numeri per essere approvata.

E’ successo infatti che il partito di destra Israel Beitenu, guidato dal russofono Avigdor Liebermann (che è all’origine della crisi politica, da quando ritirò il sostegno alla coalizione Netanyahu, e ha dischiuso il ricorso alle tre consultazioni elettorali) ha cambiato idea, dicendosi ora pronto a votare la “legge ad personam" e, di più, favorevole a un governo presieduto da Benny Gantz. Una disponibilità che però lascia molto perplessi sulle sue conseguenze, o prospettive, comunque si voglia considerarle. Perché una coalizione di centro-sinistra (33 deputati del partito Bianco e Blu, più sette dei partiti di sinistra Laburista, Gesher e Meretz) si sosterrebbe sul voto dei 15 deputati della Lista Araba Unita, espressione della minoranza araba (sulla quale sono confluiti i voti di comunisti e di antisionisti) e dei 7 di un partito di destra, Israel Beitenu appunto, che però la pensano in maniera opposta su tutto.

Ma andiamo con ordine. Rivlin dovrebbe concedere a Netanyahu la possibilità di formare il governo che, nonostante non goda di una maggioranza parlamentare, ha da far valere la straordinaria vittoria conseguita in questa terza tornata elettorale. Persino un noto esponente della sinistra, in passato grande protagonista della politica estera, Yossi Beilin, ha riconosciuto l’«eccezionale successo personale» di Bibi. Ha scritto: «Chi aveva preparato il necrologio della sua carriera politica o aveva pensato che non avrebbe riguadagnato il favore del suo pubblico, dopo essere stato formalmente incriminato, ha visto la Fenice rinascere per l’ennesima volta». Altri hanno parlato dell’onta che è loro ricaduta addosso per averlo coperto di «accuse e insulti di ogni genere» (i più gentili: ladro e corrotto”) e "averlo già visto sommerso dalla polvere". 

Ben pochi riconoscono che non c’è altro leader sulla scena (qualcuno aggiunge “purtroppo”) che possa uguagliarlo per estro, capacità, esperienza, nonché visione del futuro e risultati raggiunti. Ha assicurato la sicurezza di Israele, l’ha difesa dalla minaccia dell’Iran e dei suoi alleati in Siria, ove ha distrutto le basi degli Hezbollah;  ha neutralizzato la rete di tunnel scavati al confine libanese dai miliziani sciiti;  ha colpito la Jihad islamica di Gaza; ha potenziato i due “scudi” del sistema di difesa missilistica. E poi, conseguendo nuovi sostegni politici dagli Stati Uniti (importante il riconoscimento di Gerusalemme capitale), ha stabilito insperati rapporti militari e commerciali con paesi sunniti del Golfo (Arabia Saudita ed Emirati). E ha guidato la crescita economica e tecnologica della nazione al ritmo medio del 4,1% l’anno. Senza contare il record di anni come primo ministro della nazione (ha battuto il primato detenuto dal padre della patria David Ben Gurion).

Un bilancio che vede pure la persistente paralisi del processo di pace. Ma nel quale egli – ma non solo Netanyahu, anche gran parte della comunità internazionale - ha cessato di credere per il rifiuto dei palestinesi di (persino) riconoscere le concessioni, pur ad essi favorevoli, fatte dai suoi predecessori (Barak e Olmert) con il sostegno degli Stati Uniti. E per la scelta perseguita dal suo possibile interlocutore Abu Mazen di ottenere la nascita dello stato palestinese a furia di condanne a ripetizione di Israele da parte delle Nazioni Uniti e delle sue agenzie specializzate, Unesco e Consiglio per i diritti umani. Benny Gantz ha accettato, con Netanyahu, il progetto di pace del presidente americano Trump, rifiutato con disprezzo dai palestinesi. Ma riuscirà con la stessa chiaroveggenza di “Bibi” a proseguire sulla sua strada?

I prossimi mesi ci diranno quale via imboccheranno i partiti israeliani con la maggioranza dei parlamentari della 23.ma Knesset.  Ci sarà la fine dell’era Netanyahu? Al momento nessuno vuole una quarta consultazione. Così come nessun partito dello schieramento di sinistra riesce a diradare le perplessità, ombre e inquietudini provocate dall’unica coalizione ad essi consentita, sostenuta da una innaturale maggioranza.