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LEGGERE IL CORONAVIRUS

#Andràtuttobene solo se nella calamità ci convertiremo

Le calamità sono un invito alla conversione, un invito forte e affettuoso di Dio espresso in termini di profezia più che di comando, quasi a sottolineare che Dio nella sofferenza darà la grazia della conversione. Perché non applicare tutto questo all’attuale sofferenza indotta dal Coronavirus? Perché non riflettere sul fatto che un certo tipo di conversione non può non passare attraverso la sofferenza? Perché non valutare che è questo il vero “Andrà tutto bene” dei cristiani? Ecco quando la Scrittura ci viene in aiuto per calamità e conversioni.
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Ecclesia 18_03_2020

«Oh non si dubiti, che bene andrà!»: l’assicurazione è di Figaro al conte Almaviva dopo aver concertato il piano per arrivare nell’abitazione di Rosina e soprattutto dopo aver concordato un buon compenso pecuniario. Siamo nel primo atto del Barbiere di Siviglia, ma questa volta senza comicità perché l’assicurazione di Figaro è troppo simile alle assicurazioni incoraggianti sulla lotta al Coronavirus “#Andràtuttobene!” e la somiglianza rischia di relegare le scritte odierne a luogo comune senza una reale consistenza.

A meglio riflettere, però, quello che Paolo chiama «l’uomo psichico» o «l’uomo lasciato alle sue forze» senza il supporto dello Spirito di Dio (1Cor 2,14), che cosa può dire d’altro? Infatti per fronteggiare il Coronavirus occorre fare appello alle conoscenze scientifiche e ai rimedi disponibili: queste e questi, sia pure a volte con tragiche carenze, sono superiori a quanto era disponibile nelle epidemie del passato e di ciò ringraziamo il Signore. Bisogna anche dare delle disposizioni per prevenire il contagio e diffonderle a livello di una comunicazione non troppo complicata. I credenti in tutto questo sono accomunati a tutti gli altri uomini e non hanno come tali speciali competenze e ricette, anche se la vita della Chiesa ha una sua esperienza storica in forza della quale potrebbe interagire con le autorità civili. C’è poi un ultimo intervento consistente nello scongiurare l’angoscia e la disperazione aggregando la popolazione intorno a qualcosa di positivo e insieme consolante. E qui l’uomo psichico fa cantare e battere le mani dai balconi e assicura che “tutto andrà bene”, una formula che assicura su due cose: state tranquilli, anche con qualche battaglia persa, abbiamo i mezzi tecnici per vincere questa guerra; state tranquilli, è una parentesi e poi torneremo a vivere come prima.

Anche i credenti hanno una certa fiducia nelle risorse della medicina, frutto dell’ingegno umano creato da Dio, ma l’aggregazione in termini di fiducia e di speranza per i credenti non può limitarsi a “tutto andrà bene”. Piuttosto il Coronavirus, il sentire sopra di sé un pericolo incombente e misterioso, i bollettini con il numero dei morti ecc. sono un richiamo alla conversione, per i credenti e per il “mondo” perché la Chiesa esiste per salvare il mondo e non solo se stessa. Certo, ci vuole anche la preghiera e l’abbiamo insistentemente raccomandata, ma il messaggio forte è quello della conversione.

Il discorso biblico sarebbe vario e lunghissimo. Qui mi limito a proporre tre testi che abbinano situazioni di calamità con la conversione, evitando per ora di discettare se si tratti di castighi o di flagelli, se siano calamità mandate direttamente da Dio o indotte dalla natura o procuratesi dagli uomini, anche se il testo biblico è molto chiaro in argomento (non sto nascondendo la testa nella sabbia e, se il Signore vorrà, mi riprometto di intervenire a breve su questa questione). Infine, poiché i testi non sono esplicitamente cristologici, seguirà una quarta considerazione di come viverli in Cristo e anche come proporli al mondo di oggi.

La profezia del Deuteronomio: nell’angoscia cercare il Signore (Dt 4,23-31)
Come è noto, a differenza dell’Esodo, il Deuteronomio riscrive la storia dell’uscita dall’Egitto e il cammino nel deserto sino alla terra promessa - non senza sezioni legislative - abbondando molto di più nella interpretazione degli eventi e nella profezia. Ora, dopo aver prescritto di non farsi immagini scolpite e più ampiamente di non trasgredire la legge data da Dio, segue una profezia di castigo: «Se farete ciò che è male agli occhi del Signore vostro Dio per irritarlo, (...) voi certo perirete (...). Il Signore vi disperderà fra i popoli e non resterete più di un piccolo numero fra le nazioni dove il Signore vi condurrà. Là servirete a dèi fatti da mano d’uomo, di legno e di pietra, i quali non vedono, non mangiano, non odorano» (Dt 4,25-28). Ecco la profezia della calamità, seguita però immediatamente da una profezia di conversione : «Ma di là cercherai il Signore, tuo Dio, e lo troverai, se lo cercherai con tutto il cuore e con tutta l’anima. Nella tua disperazione tutte queste cose ti accadranno; negli ultimi giorni però tornerai al Signore, tuo Dio, e ascolterai la sua voce, poiché il Signore Dio tuo è un Dio misericordioso; non ti abbandonerà e non ti distruggerà, non dimenticherà l’alleanza che ha giurato ai tuoi padri» (Dt 4,29-31).

Le calamità sono un invito alla conversione, un invito forte e affettuoso di Dio espresso in termini di profezia più che di comando, quasi a sottolineare che Dio nella sofferenza darà la grazia della conversione. Questa poi è espressa nei termini di ricerca e di ritorno, come Gl 2,13: «ritornate a me con tutto il cuore» o Ml 3,7: «Tornate a me e io tornerò a voi». Perché non applicare tutto questo all’attuale sofferenza indotta dal Coronavirus? Perché non riflettere sul fatto che un certo tipo di conversione non può non passare attraverso la sofferenza? Perché non credere fiduciosi che Dio si impegna a concedere la grazia della conversione purché non la rifiutiamo? Perché non valutare che è questo il vero “Andrà tutto bene” dei cristiani?

Il lamento di Dio nel profeta Amos: “Eppure non siete tornati a me!” (Am 4,6-12)
Qui attraverso un poemetto si affacciano uno dopo l’altro dei flagelli chiaramente provocati da Dio, anche se inseriti in calamità normali per il mondo antico, e ogni flagello si conclude con il lamento di Dio: vi ho lasciato con mancanza di pane, «ma non siete ritornati a me»; vi ho rifiutato la pioggia e provocato la siccità, «ma non siete ritornati a me»; ho colpito i raccolti con ruggine e carbonchio e con le cavallette, «ma non siete ritornati a me»; ho mandato contro di voi la peste, «ma non siete ritornati a me»; vi ho travolti come un tizzone, «ma non siete ritornati a me».

Come nel testo precedente convivono calamità e conversione, ma con accentuazioni diverse. Le calamità qui sono più esplicitamente attribuite a Dio come castigo correttivo in vista di provocare la conversione. A sua volta il “ma non siete tornati a me” non esprime solo una sorta di delusione o seccatura di Dio, ma un amore sofferente per la mancata conversione. Perché non leggere il Coronavirus anche - non solo - con queste categorie? Invece di discutere all’infinito se Dio castiga o no, perché non avvertire che la natura creata da Dio si è ribellata contro di noi e Dio nella sofferenza altro non attende che la nostra conversione? Perché non fare in modo che Dio non debba ripetere questo triste ritornello anche dopo il Coronavirus?

I flagelli apocalittici e la mancata conversione con le bestemmie (Ap 16,1-21)
Come per tutta l’Apocalisse, non possiamo indicare date e avvenimenti precisi, ma solo lo svolgersi degli ultimi tempi, che sono anche il tempo della Chiesa terrestre. Ad un certo punto una voce dal tempio comanda a sette angeli: «Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio» (Ap 16,1). Ecco le calamità, alcune delle quali però conseguono un effetto imprevisto e tragico: gli uomini si ribellano. Al tormento del calore e del fuoco gli uomini «bestemmiarono il nome di Dio che ha in suo potere tali flagelli, invece di pentirsi per rendergli gloria» (Ap 16,9); avvolti nelle tenebre gli uomini «bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro piaghe, invece di pentirsi delle loro azioni» (Ap 16,11); infine «gli uomini bestemmiarono Dio a causa del flagello della grandine, poiché davvero era un grande flagello» (Ap 16,21).

Rispetto ai testi precedenti ci sono due novità di rilievo: le calamità possono portare alla ribellione e alla disgrazia eterna; inoltre qui i destinatari non sono più il popolo di Dio, ma tutti gli uomini. Perché non fare tesoro di queste indicazioni al tempo del coronavirus intensificando la conversione e la preghiera, pregando perché il mondo di oggi non si dimentichi di Dio (una forma blanda di ribellione) o esplicitamente lo neghi e lo insulti perché non interviene?

Le Scritture e i messaggi di cui sopra vanno vissuti in Cristo.
Se il Coronavirus assume i contorni pericolosi di un flagello di Dio, Cristo ci salva da questa ira (cf Rm 5,9; 1Ts 1,10). Se il Coronavirus è una sofferenza che fa paura, da questa siamo sollevati rivolgendoci con fiducia a Gesù Cristo che, al dire di Mt 8,17 (cf Is 53,4; Gv 1,29), «ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie» e la croce, portata dietro di lui, diventa un giogo più leggero (cf Mt 11,29-30). Anche con il Coronavirus bisogna arrivare non solo a mangiare o bere, a vegliare o dormire, ma anche a vivere e morire per il Signore Gesù (cf Rm 14,8; 1Cor 10,31;1Ts 5,10): in leale collaborazione umana e tecnica con gli uomini di buona volontà, si sperimenterà una pace profonda che solo la fede può dare.

Ma perché questo sia possibile bisogna convertirsi. Gesù medico delle anime e dei corpi a fronte di due disgrazie del suo tempo ha concluso: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13,3.5), con questa parola ricollegandosi ai testi dell’AT e dell’Apocalisse che abbiamo esaminato.

Infine, come il Coronavirus riguarda credenti e non credenti, anche la conversione è una “narrazione” che parte sì dai credenti, ma che deve essere proposta a tutti, affiancata alle altre narrazioni o in funzione complementare o in funzione contestatrice. Accanto al coronavirus è una proposta di Dio perché “il mondo” si converta, perché ricerchi Dio, perché ritorni. Anche perché esamini con serietà quanto contro Dio e la natura creata e umana un certo “mondo” ha diffuso e programmato. Non accenno ai singoli temi perché la Bussola ne parla e ne ha parlato spesso.

Tuttavia ai cristiani il “tutto andrà bene” e, sotto sotto, il “tutto ritornerà come prima” non può assolutamente bastare, anzi queste formule sarebbero da contestare se intendessero esprimere l’unica speranza possibile.

Ci può essere tra i cristiani - almeno certuni - la difficoltà a proporre questo messaggio dopo aver tanto valutato il mondo e dopo aver tanto proclamato che abbiamo molto da imparare dal mondo. Come chiedere adesso al mondo di convertirsi e per di più correndo il rischio di una conversione/ricatto per lo spauracchio del Coronavirus?

Bisogna avere coraggio perché non solo Gesù ha detto che Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (cf Mt 5,45), ma domenica scorsa nel vangelo della samaritana... ha passato ogni limite donando l’acqua viva a una donna “irregolare” e assai poco spirituale: altro che la pioggia! Eppure la samaritana a suo modo ha portato i concittadini ad avvicinarsi a Gesù. Perché con il Coronavirus e il messaggio di conversione non potrebbe capitare qualcosa di simile oggi?