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Bagnasco ha ragione: con la paritaria si risparmia

Il cardinal Bagnasco ha rilanciato la causa della scuola paritaria: non solo fornisce un servizio pubblico, ma permette allo Stato di risparmiare 6 miliardi di euro all'anno. La Fondazione Agnelli reagisce subito con uno studio che dimostra che la scuola paritaria non permette di risparmiare. Ma, a ben vedere, Bagnasco ha ragione. Ecco perché.

Educazione 03_12_2014
Il cardinal Bagnasco

Pochi giorni fa il Cardinale Bagnasco, con una lettera scritta al termine della visita pastorale alla diocesi di Genova, ha vigorosamente preso posizione a favore delle scuole non statali (e cattoliche in particolare) ribadendo a chiare lettere che tali scuole "non sono private come spesso si sente dire, ma pubbliche, come la legge riconosce”, che “nel sistema della pubblica istruzione ci sono scuole statali e non statali ma sempre pubbliche", e che queste scuole “fanno risparmiare allo Stato 6 miliardi di euro”.

Come è noto, alla cifra di 6 miliardi di euro di risparmio si arriva moltiplicando il milione circa degli studenti delle scuole paritarie per il costo medio di 6mila euro annuo per studente della scuola statale. 

A muovere il Cardinale Bagnasco è stato il riconoscimento più generale dell’importanza che le attività caritative della Chiesa cattolica rivestono, sia come «risparmi miliardari per lo Stato italiano», sia come “luoghi dove la gente si può ritrovare non per produrre, ma per essere se stessa, trovare il calore di Dio e dei fratelli, lottare contro la disgregazione sociale che smarrisce e isola”. 

Insomma, un grido accorato al popolo genovese – e italiano tutto - ad aprire gli occhi, perforando la cortina fumogena del “politicamente corretto”, per riconoscere la grande importanza umana, sociale ed economica, dell’impegno della Chiesa a favore della persona, con “il gran numero di mense diffuse che offrono centinaia di pasti ogni giorno, i posti letto per i senza dimora, la distribuzione sistematica di viveri e di abiti, il sostegno crescente per l’alloggio, le utenze, i farmaci, le iniziative e i luoghi educativi per bambini, adolescenti e giovani, l’accoglienza e la pastorale degli immigrati, dei marittimi, la cura dei carcerati, la lotta all’usura e alle dipendenze, compreso il gioco d’azzardo…”

La risposta del “politicamente corretto” non si è fatta attendere e, come di consueto, si è scagliata sul tema della scuola: la carità, l’assistenza, l’accoglienza agli immigrati, la cura dei carcerati, etc.., vabbè, ma la scuola “privata” proprio no! 

E così, alcune riviste specializzate e siti sindacali si sono affrettati a ripescare e pubblicare quanto la Fondazione Agnelli, per bocca dell’economista Andrea Gavosto, ha affermato qualche tempo fa contro i “presunti risparmi” per lo Stato generati dalla scuola paritaria, e cioè che “da questo conto bisogna togliere le scuole dell’infanzia comunali già a carico della Repubblica, perché in questo milione di ragazzi delle paritarie sono inclusi anche circa 200 mila bambini delle scuole dell’infanzia comunali, sostenute quindi dalle amministrazioni locali: formalmente non sono costi a carico del Ministero, ma a carico della Repubblica certamente sì. Solo questo ridurrebbe la cifra di 6 miliardi a 4,8 miliardi”.

Ma non finisce qui, secondo la Fondazione Agnelli. Infatti  per la stima della spesa complessiva non è corretto utilizzare come fattore il costo «medio» per allievo: bisognerebbe utilizzare invece quello che gli economisti chiamano «costo marginale». Cioè, «se anche “per assurdo” tutte le scuole paritarie chiudessero e lo Stato dovesse riassorbirne gli allievi, il costo aggiuntivo che lo Stato dovrebbe affrontare sarebbe molto modesto. Infatti per accomodare i circa 400mila studenti di scuola primaria e secondaria in più provenienti dalle paritarie non sarebbe necessario un significativo incremento di aule e insegnanti; basterebbe aumentare di poco più di un’unità la composizione media di ciascuna classe, con qualche variazione territoriale». 

In pratica, secondo Gavosto basterebbe aggiungere una sedia e un banco per classe, come si fa quando ad un pranzo arriva un ospite inatteso… Ora, lungi da me l’intenzione di competere con la stimabilissima Fondazione Agnelli e con economisti del calibro di Andrea Gavosto; tuttavia credo che sia opportuno introdurre qualche ulteriore elemento di riflessione e magari sollecitare altri economisti ad approfondire il tema. 

Se è vero infatti che numerose scuole paritarie dell’infanzia sono comunali e dunque sostenute anche dalle amministrazioni locali, non è affatto vero che “formalmente non sono costi a carico del Ministero” dato che i contributi del Miur arrivano anche ad esse, e in misura del tutto analoga a quella destinata alle altre. Per capire cosa significhi il mancato arrivo dei contributi statali alle scuole paritarie –anche comunali!- dell’infanzia, si guardi al drammatico problema generato dal blocco in legge di stabilità dei 24 milioni di euro destinati alle scuole del Lazio. Se tutte le scuole paritarie del Lazio chiuderanno, siamo sicuri che sarà così semplice ed economico per lo Stato assorbirne tutti gli alunni? E le migliaia di persone che vi lavorano, dove andranno? La disoccupazione non è un costo?

Per quanto riguarda poi il cosiddetto costo marginale, è del tutto astratto affermare che è sufficiente “aggiungere una sedia e un banco”, poiché non tiene conto dell’impatto a numerosi livelli e delle concatenazioni che la chiusura delle paritarie produrrebbe. Innanzitutto perché nelle statali abbiamo già “classi pollaio” e chiunque si intenda un po’ di scuola sa che è sufficiente un alunno in più per classe, rispetto al numero fissato per legge, per consentire ai dirigenti scolastici di chiedere una classe in più e un incremento di organico del personale docente e non docente. Le scuole (e i sindacati) non aspettano altro! Poi ci si dimentica che il milione di studenti in più nelle scuole gestite dallo stato non sono soprammobili, ma esseri umani che respirano, si muovono e consumano, e dunque oltre al posto a tavola occorre aggiungere le pietanze con annessi e connessi, e in misura adeguata … 

Gli studi del Miur (per es. “La scuola in cifre 2011”, p.7) che hanno più volte dimostrato come il costo di un alunno a carico dello Stato sia enormemente superiore a quello di uno che frequenta una scuola non statale, anche comunale, non possono essere aggirati con tanta leggerezza affermando che non è un dato reale. Probabilmente occorre approfondire il tema e studiarlo con più attenzione. 

Ma un’ultima considerazione si impone, probabilmente la più impopolare, una di quelle per cui – riprendendo sempre le parole del Cardinale Bagnasco- “si devono dire solo certe cose e tacerne altre, altrimenti si viene messi alla gogna e banditi", ed è questa: se anche la scuola paritaria non producesse alcun risparmio per lo Stato, varrebbe ugualmente la pena sostenerla e custodirla come un bene prezioso. 

Sì, perché risponde al dettato costituzionale che riconosce il valore della libertà di educazione per i genitori e per i corpi intermedi, perché –come ci ha ricordato recentemente l’ex ministro Berlinguer- “non deve esistere un ministero della pubblica istruzione se non come organo di indirizzo”, per il suo valore di sussidiarietà a livello sociale, per la sua capacità di innovazione didattica, perché è un modello efficace di autonomia scolastica, per la passione educativa delle persone che vi lavorano, perché più moderna ed europea… 

Solo per citare alcune ragioni. Non basterebbe già questo?