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ABORTO

Benedetta Foà dà un nome al dolore

Benedetta Foà nel libro Dare un nome al Dolore racconta tre storie parallele di donne ben oltre l'orlo di una crisi di nervi. L'unica cosa che le accomuna è l'aborto. Nonostante il passare degli anni e la ricostruzione di una vita familiare serena, il peso di quel bambino mai nato è insopportabile.

Vita e bioetica 27_10_2014
Sindrome post-aborto

Nelle storie delle tre donne raccontate da Benedetta Foà nel libro Dare un nome al Dolore – Elaborazione del lutto post-aborto si riflette la sofferenza di un’umanità fragile, sola, abbandonata a se stessa e persino ingannata da quel “diritto” che cela, dietro l’apparente condizione tutelante, delle insidie pericolose e ancora poco note a molti. Con coraggio e sincerità, Benedetta Foà sfida la sempre più diffusa omertà e il silenzio per scardinare un tabù e dare testimonianza concreta di un disagio che colpisce moltissime donne in seguito all’aborto.

Stiamo parlando dello stress post-aborto (PSA), uno stato depressivo che si manifesta in seguito all’intervento abortivo. Una condizione che in certi casi è immediata e può manifestarsi dopo 1 o 2 anni dall’atto stesso, in altri, invece, impiega anche vent’anni, ma non cambia la sostanza. Quelle donne così sicure, così convinte di poter portare avanti la propria vita come se nulla fosse cambiato, si ritrovano sull’orlo di un precipizio, in un baratro che le trascina sempre più in basso verso uno stato fisico e mentale precario. Il ricordo e la coscienza le riportano inevitabilmente a fare i conti con un gesto doloroso e drammatico che crea sofferenza, ansia, mal umore, rabbia e pianto. È quanto accaduto ad Annie, Lucia ed Emma (i nomi sono di fantasia), tre donne con tre storie diverse ma accomunate da uno stesso trauma.

«Quando finalmente stavo vivendo dei momenti di serenità con la famiglia appena formata ho cominciato a stare male e il ricordo dell’aborto è venuto a galla, non so neanche come» – racconta Annie che oggi ha quarant’anni, due bambini e segue un percorso di guarigione che non si è ancora concluso. Un passato difficile, con disagi e sofferenze che cominciano quando è ancora una ragazzina e un aborto che arriva all’età di 22 anni. Una scelta che la fa immediatamente sentire sollevata, per poi lasciare subito spazio a dolori fisici e psicologici che la portano ad assumere antidepressivi e ansiolitici. Un dolore che non si placa neanche grazie all’incontro con Renato, attuale marito e padre dei suoi due bambini, e che, al contrario apre una voragine, una ferita che Annie sta pian piano ricucendo, imparando a lasciare andare il suo bambino mai nato e a perdonare se stessa per questo gesto.

Lo scenario non cambia nel caso di Lucia ed Emma. Una vita da favola quella di Lucia accanto a un uomo di successo e iper-protettivo che la porta in giro per il mondo, in viaggi in yatch, feste con amici. Un sogno che si sgretola di fronte alla gravidanza inaspettata e non voluta e alla reazione di un uomo che si svela in tutto il suo egoismo. Lucia è solo sua ed è assurdo pensare di doverla dividere con un bambino che sarebbe di intralcio a una “vita così perfetta”. Lucia prova a fuggire, chiede protezione ai suoi genitori ma le minacce dell’uomo sono così pressanti che si lascia convincere e si sottopone all’aborto. «…Sono spenta, arrabbiata con il mondo. Non trovo nemmeno la forza di cercare un nuovo lavoro… Vivo nel buio».

Dolorosa anche la vicenda di Emma. Rimasta incinta dopo una relazione con un uomo violento e schizofrenico, Emma è sola e porta in grembo il figlio di un uomo che l’ha maltrattata causandole ferite e sofferenza. Impossibile, per lei, cercare conforto in una famiglia fredda e distante, in grado solo di giudicarla per i suoi errori, e la decisione è più che ovvia, almeno in quel momento. Anche Emma si è affidata a qualcuno che le ha saputo indicare la strada più giusta per lei e la sta accompagnando per mano lungo un percorso di rielaborazione del lutto di quel bambino perso e di rinascita personale.

Grazie al commovente racconto di queste tre esistenze, Benedetta Foà dà testimonianza concreta di quello che già molti studi inglesi e americani mettono da anni in evidenza. È il caso, ad esempio, del British Journal of Psychiatry che ha presentato un nuovo studio, che costituisce ad oggi la più grande stima quantitativa  disponibile nella letteratura mondiale relativamente ai rischi per la salute mentale associati all’aborto. Il campione della metanalisi ha compreso 22 studi e 877.181 partecipanti. Lo studio ha concluso che le donne che hanno subìto un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale. È stato inoltre dimostrato che quasi il 10% di incidenza di problemi di salute mentale può essere direttamente attribuibile all’aborto.

Una situazione chiara e drammatica che continua a sottolineare quanto sia evidente il legame tra il disagio mentale di cui molte donne soffrono e la pratica abortiva. Si tratta ovviamente di studi con cui nessuno vuole fare i conti e di cui nessuno informa, il che rende oggettivamente più problematica la questione e ci invita a una domanda molto semplice: quante donne si sottoporrebbero volontariamente a un aborto dopo aver saputo di poter soffrire di seri disagi psicologici e mentali? Un monito che ci invita a chiederci anche quanto sia realmente informato il consenso che si firma negli ospedali e apre a una riflessione profonda sulle ripercussioni di questo gesto.

Conseguenze che sicuramente non si possono dimenticare ma da cui si può pian piano guarire grazie a una pratica di counseling e un percorso che, nel caso di Benedetta Foà, prende il nome di metodo "Centrato sul bambino", nato dal desiderio di superare i pregiudizi, la condanna morale, per proporre qualcosa di significativo per il benessere delle persone. Ad oggi, questo metodo ( di cui vi abbiamo già parlato) ha il merito di aver aiutato molte donne e mamme a ripartire, percorrendo insieme a loro i primi passi di un nuovo viaggio che le porta a intravedere la luce e fare una volta per tutte i conti con quella depressione dolorosa causata da un lutto fino ad ora ignorato e mai risolto.