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IL CASO

Bertinotti, il comunista che odia solo la proprietà altrui

Bertinotti ci ha abituato ai maglioni di cachemire, ai suoi ricchi "diritti acquisiti" e alla sua frequentazione dei salotti buoni. Per questo non sorprende affatto la notizia che stesse ricevendo una ricca eredità. Ma Bertinotti ha sempre predicato l'abolizione della proprietà privata. Solo quella altrui, evidentemente.

Politica 04_08_2015
Fausto Bertinotti

Quando si è saputo, qualche giorno fa, che Fausto Bertinotti stava per ricevere un'eredità da 500mila euro da un amico la notizia ha sollevato scandalo, ma non sorpresa. Così come non ha destato sorpresa il fatto che il lascito testamentario sia arrivato da Mario D'Urso, avvocato che si destreggiava fra alta finanza, case reali e jet set, praticamente tutto ciò che i comunisti odiano di più, almeno finché non ci entrano in contatto. 

Se tutto ciò ha destato scandalo, ma non sorpresa è perché Bertinotti ci ha abituati - nel tempo - a non essere identificabile, al cento per cento, con la classe operaia. Uno che non ha mai disdegnato di partecipare ai salotti buoni e di vestire maglioni di cachemire di alta qualità, del costo unitario pari ad almeno due settimane di stipendio di un operaio. E dire che Bertinotti non proviene, come molti suoi compagni di lotta degli anni '70, da una famiglia ricca che ha vissuto il paradosso di combattere il capitalismo - con metodi più o meno legali (legali nel caso di Bertinotti) - partendo da una classe sociale che, da quel sistema politico economico, ne era stata beneficiata (uno su tutti Giangiacomo Feltrinelli).

Nato nel 1940, mentre imperversava la guerra, in una modesta famiglia del modesto quartiere milanese di Precotto, Fausto era figlio di un ferroviere e di una casalinga. La sua vita fu molto umile e modesta finché, come accade per molti, non arrivò l'incontro con la politica: mosse i primi passi nel 1960 nel Partito socialista italiano, per poi entrare nel Psiup e di lì nel Pci degli anni '70, i suoi anni più ruggenti. In parallelo portò sempre avanti la sua attività di sindacalista - ça va sans dire - nell'inossidabile Cgil di cui sosterrà tutte le battaglie "contro le ingiustizie della classe padronale". Con lo scioglimento del Pci entrerà per breve tempo nel Pds dei D'Alema, dei Fassino e degli Occhetto da cui si allontanerà pochi anni dopo per confluire nel nostalgico Partito della Rifondazione comunista, contenitore da pochi punti percentuali che gli avrebbe però garantito, per lungo tempo, l'elezione in Parlamento. Sarebbe diventato deputato, ininterrottamente, dalla dodicesima alla quindicesima legislatura ovvero dal 1994 al 2008. E proprio gli ultimi due anni di legislatura avrebbero rappresentato il culmine della sua carriera politica, con l'arrivo al soglio più alto di Montecitorio.

Di quei settecento giorni di presidenza restano ben poche tracce, come del resto di qualsiasi altro presidente della Camera (qualcuno forse ricorda l'attività istituzionale di Gianfranco Fini, di Casini o di Violante?). In molti ricordano, più che altro, un bel servizio de Le Iene sui diritti acquisiti (leggi privilegi) degli ex presidenti della Camera, che almeno fino a poco tempo fa avevano diritto di mantenere l'auto blu per altri dieci anni dopo la fine del loro ufficio, nel caso di Bertinotti fino al 2018. Diritti di cui Bertinotti ha sempre usufruito e mai e mai rinnegato ("secondo lei un ufficetto non me lo merito?" rispose all'inviato de Le Iene). Tutto legale, sia chiaro, ma sicuramente non molto morale in un Paese in cui - da qualche anno a questa parte - ci sono persone che fanno la fame e che con 500mila euro ci camperebbero una vita intera.

Populismo? Può darsi. Quello che un pochino fa specie è pensare come, nel caso di Bertinotti (ma non certo solo nel suo), si percepisca un certo stridore fra l'ideologia propagandata e lo stile di vita. Basti pensare che nel 2005 rilasciò un'intervista al Corriere della Sera in cui dichiarò: "Certo la proprietà privata non si può abrogare per decreto, ma è un obiettivo". Se abolirla per tutti è l'obiettivo perché non iniziare col disfarsi della propria? E torniamo all'eredità: chi la riceve è ovviamente libero di usufruirne a pieno e di spenderla come più gli aggrada. Detto questo Bertinotti farebbe un bel gesto se decidesse di destinarla, almeno in parte, alle persone in difficoltà. Ci sono fior fiori di associazioni, cattoliche e laiche, che aiutano le persone più sfortunate, che questo maledetto capitalismo (ipse dixit) ha ridotto sul lastrico. Se non lo farà (e temiamo andrà così) siamo in diritto di sospettare che quel vecchio detto secondo cui comunismo significa "quel che è mio è mio, quel che è tuo è anche mio" abbia qualche fondamento.