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L'APPARENZA INGANNA

Bonus bebè o family malus?

Il governo Monti offre denaro alle donne che rientrano presto al lavoro dopo la maternità. Perché ha a cuore la famiglia? No. Perché essere madri è un'occupazione che non è tassabile. Ma questa politica è di corto respiro...

Famiglia 28_12_2012
Working Woman

C’è un filo d’erba nel mezzo del deserto di tasse e balzelli imposti dal Governo Monti. Si chiama “bonus baby sitter”. Però bisogna guardarsi bene dall’assaggiare quel filo d’erba perché è un poco velenoso. Spieghiamo il paradosso partendo da un dato.

Il 27% delle donne italiane lascia il lavoro dopo essere diventate madri. Per incentivare il ritorno al lavoro, il Governo ha pensato di elargire da gennaio un bonus di 300 euro al mese, per un massimo di sei mesi, per quelle mamme che rinunciano al congedo facoltativo per maternità. La richiesta deve essere inoltrata prima che il piccolo abbia compiuto un anno di vita e la somma ricevuta potrà essere destinata solo al pagamento di asili nido o baby sitter. Tra l’altro pare che solo una mamma su dieci potrà beneficiare del bonus, dato che è previsto unicamente per fasce di reddito molto basse.

Parrebbe comunque una buona notizia: soldi alle famiglie. Ma se guardiamo con più attenzione a come è costruita l’iniziativa del Governo scopriamo che in questo caso la famiglia c’entra poco. Per Monti & Co. la priorità lo sappiamo bene è quello di far quadrare i conti. E dunque in questa prospettiva da bravi ragionieri dello Stato è importante che le donne ritornino ad essere lavoratrici il prima possibile dopo la maternità, più che essere madri, occupazione che non genera reddito e quindi non tassabile. Ecco quindi un bonus da utilizzarsi solo per l’asilo o per la baby sitter, cioè per trovare surrogati alla maternità, elemento di disturbo all’occupazione femminile. In buona sostanza, il Governo ti paga per vederti tornare al lavoro e non stare in famiglia. Una sorta di riscatto per liberare la donna dalla prigionia poco lucrosa della maternità e restituirla al focolare lavorativo. E così il bonus bebè diventa un malus per la famiglia.

Ci domandiamo: non era meglio dare questi soldi alle mamme che stanno a casa e lasciare a loro la decisione come spenderli al meglio per il proprio figlio? Per incentivare una maternità il più possibile serena?

Il bonus del Governo ricalca un modello da tempo in uso nei paesi del Nord Europa. Lì il welfare non di rado tenta di espropriare la famiglia a vantaggio dello Stato, trasformarla da istituto di diritto naturale a istituto di diritto pubblico. Paradigmatico è il caso della Svezia. Nel 1970 il Governo decise di abolire le agevolazioni fiscali per le coppie sposate ed iniziò una tassazione individuale: per lo Stato tu sei un individuo, non un marito/una moglie o un padre/una madre. La famiglia intesa come autonomo nucleo fiscale scompariva così dai registri pubblici. Risultato: nel primo anno e mezzo ben 600mila donne si videro costrette a trovarsi un lavoro.

E i bambini? Chi avrebbe badato loro? Ovviamente mamma Stato, la quale assicurò asili gratis a tutti. Per incentivare poi la permanenza al lavoro le mamme possono usufruire di un contributo che può arrivare fino a 480 giorni lavorativi. Tutto ciò ha portato la Svezia ai vertici dell’occupazione femminile (70% contro il 44% delle italiane) e a considerare l’hemmafru - la casalinga – specie in via di estinzione. Infatti sono solo poche migliaia le donne che stanno a casa ad accudire la prole.

Da qui la recente decisione del governo svedese di correre ai ripari e invertire la rotta rendendo ancor più appetibile l’istituto del congedo familiare già esistente da tempo: 430 euro mensili ai genitori che vogliono stare con i figli e rinunciano all’asilo. Lo hanno battezzato “sussidio all’educazione”. Però tale incentivo non riscuote il successo sperato perché ormai l’abbandono del focolare domestico è diventato costume, fenomeno collettivo inizialmente imposto dall’alto e ora abbracciato volontariamente dalla maggioranza delle donne.

Da noi – intendiamoci bene – le cose sono ancora un po’ diverse. Infatti i governi precedenti a quello del prof. Monti hanno varato alcuni progetti che, seppur si muovano sul filo dell’insignificanza economica, danno un poco di ossigeno alle famiglie: pensiamo ai Contributi alle famiglie numerose, agli Assegni di maternità, agli Assegni Inps a sostegno delle famiglie a basso reddito, al Fondo nuovi nati (i Buoni vacanze paiono invece non prorogati per il futuro) senza poi dimenticare la miriade di proposte analoghe istituite dagli enti locali su tutto il territorio nazionale.

Detto ciò, la proposta del governo dimissionario pare invece andare in una direzione opposta a quelle sopra indicate, più vicina a quella scandinava tesa a sostituire mamma e papà con lo Stato nell’educazione dei figli, perché i genitori sono impegnati a far girare il volano dell’economia e a pagare le tasse e di certo non hanno tempo per sciocchezze quali giocare con i figli o una passeggiata al parchetto sotto casa.