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IL BELLO DELLA SCUOLA/22

Come far diventare la valutazione un atto educativo

La valutazione è troppo spesso trascurata, considerata come un fatto quasi meccanico. Il problema di un voto che viene percepito come ingiusto si traduce in una completa demoralizzazione dell'allievo e nel suo disinteresse per lo studio. È dunque importante, nei primi mesi, spiegare le ragioni della valutazione, con franchezza. 

Educazione 24_11_2019
Voti

La questione della valutazione è, forse, troppo spesso trascurata, considerata come un elemento estraneo all’azione educativa, un compito da assolvere perché è pur necessario assegnare voti o indicare livelli di merito e di raggiungimento degli obiettivi nella classe.

Il voto – ne sono fermamente convinto - dovrebbe essere discusso di fronte a tutta la classe, non sempre, certo, ma almeno all’inizio dell’anno. L’insegnante dovrebbe chiarire in maniera concreta e precisa (non fumosa, ricorrendo a categorie non ben comprensibili dai ragazzi) gli obiettivi che si devono raggiungere, i criteri con cui il voto viene assegnato, quali siano i parametri di valutazione e le richieste dell’insegnante. In questo modo il ragazzo si sentirà sempre più protagonista, non subirà la valutazione, ma comprenderà il metodo, il percorso che deve fare.

Sarà opportuno nel primo mese di scuola commentare una o più interrogazioni degli studenti al momento della valutazione, non mortificando le prove, valorizzando gli aspetti positivi e, al contempo, sottolineando il percorso che si deve compiere per conseguire i miglioramenti richiesti. La valutazione dovrà essere in primo luogo chiara all’insegnante, non soggetta ad arbitrarietà. L’insegnante potrà ricorrere, ad esempio, al metodo della scrittura delle domande poste e della valutazione di ciascuna risposta. Ad esempio, un’interrogazione sulla Commedia si può comporre di tre parti: una in cui lo studente deve presentare un canto scelto tra quelli assegnati; una seconda in cui il ragazzo espone a memoria i versi di un canto (supponendo che di ogni canto lo studente impari a memoria alcune terzine); una terza in cui l’interrogando legge, parafrasa e commenta dei versi. Un’interrogazione siffatta ha il pregio di incrementare le capacità retoriche, mnemoniche, recitative del ragazzo, di sviluppare le competenze di transcodifica dalla lingua dantesca a quella contemporanea, di garantire un’adeguata conoscenza dei versi danteschi. Alla fine dell’interrogazione, quando si assegna il voto, si può spiegare al ragazzo come vengono valutate le tre distinte parti cercando di fargli comprendere i miglioramenti avvenuti (se vi sono) e quelli auspicati. 

Questo è solo un esempio per far comprendere che cosa significhi che la valutazione deve essere condivisa. Non significa che il criterio del docente venga messo in discussione o che il ragazzo sia messo sullo stesso piano dell’insegnante. Vuol dire permettere al ragazzo di comprendere con chiarezza il percorso che il docente si aspetta da lui. Una delle ragioni della sfiducia che s’ingenera negli studenti non è tanto dovuta alla fatica nello studio, come spesso si crede, ma al fatto che il ragazzo si trova spesso a faticare senza comprenderne il senso o senza vedere premiati i propri sforzi. Per questo è altresì importante che l’insegnante sappia valorizzare al massimo il percorso del ragazzo, l’impegno profuso sottolineando i suoi miglioramenti con parole di stima e di fiducia, mostrandosi come un alleato o, se vogliamo, un allenatore contento del conseguimento di buoni risultati.

Il commento dell’interrogazione, condotto in una dimensione per lo più personale dinanzi allo studente che ha sostenuto la prova, può avere anche degli effetti impensati. Eccone un esempio. Marco mi telefona, dopo tanti anni: «Salve, professore, volevo comunicarle che mi sto laureando. Devo ringraziarla, perché io ho compreso che volevo diventare avvocato quando lei mi ha fatto i complimenti per l’interrogazione su Machiavelli dicendomi che avevo il dono della parola e parlavo bene. Queste parole hanno illuminato il mio cammino. Se realizzerò il mio sogno, lo dovrò in gran parte a lei». Una semplice interrogazione, valutata con un voto più che discreto (sette e mezzo), è diventata l’occasione della vita, la luce che ha illuminato la strada successiva. Poche parole di un insegnante, in una delle tante interrogazioni dell’anno, possono avere un peso decisivo per un ragazzo.

Il fallimento dello studente è un fallimento anche per l’insegnante che non potrà non mettersi in discussione, sempre. Non significa certo che le colpe siano da ascriversi sempre all’insegnante o che il ragazzo debba essere sempre giustificato secondo un buonismo che spesso impera in alcune scuole oggi. Anzi. Significa, però, che l’atteggiamento sovente assunto dal corpo docenti di colpevolizzare i giovani di fronte a risultati non soddisfacenti dovrà sempre interrogare l’adulto insegnante che dovrà chiedersi: riesco davvero a trasmettere il mio amore per la disciplina? Com’è possibile che io presenti questi argomenti in maniera più affascinante? Come posso recuperare un atteggiamento passivo dei ragazzi di fronte alle lezioni?

«Non possiamo dare per scontato il soggetto che vuole imparare» scrive M. Bocchini in Colloqui con una professoressa. Nella scuola di oggi si assiste spesso alla «pretesa delirante di una didattica standard fondata non sulla cura della persona nella sua reale situazione, ma su un’astrazione del concetto di allievo». Si guarda «il ragazzo senza tener conto della sua posizione umana di passività, disinteresse, demoralizzazione dell’io».

Nulla accade che sia casuale. La mancanza di studio, l’indifferenza di fronte alle lezioni, la passività, la disattenzione e tante altre manifestazioni che possono verificarsi durante le lezioni sono tutte palesi segnali di comunicazione di un disagio o di una ribellione o di un malessere o ancora di una domanda di senso più profonda. Compito dell’insegnante è ancora una volta quello di partire da sé, dalla propria domanda di senso e di significato e scommettere sul ragazzo. Potrebbe anche accadere, però, che un ragazzo si trovi ad affrontare un percorso scolastico del tutto inadeguato alle sue capacità o alle competenze acquisite negli anni precedenti o ai suoi desideri. Importante sarà che la serietà del lavoro degli insegnanti e l’attenzione costante dei genitori si pongano di fronte allo studente innanzitutto come ad una persona senza la pretesa di incanalarlo in un percorso del tutto inadeguato a lui.