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GENDER

Come possono dei vescovi accettare le unioni civili?

Che dei cattolici e persino dei vescovi non si rendano conto che l'unione civile in sé ridefinisca il vincolo che unisce l'uomo e la donna in chiave romantica lascia interdetti e sgomenti. Se l'atto sessuale è espressione dell'unione di due persone, allora renderlo volontariamente infertile contraddice il suo autentico significato.

Vita e bioetica 13_01_2016
"Io non le ho chiesto di unirsi civilmente a me"

Ve lo dico di tutto cuore: sono stufo, anzi arcistufo. Ancora una volta mi è toccato leggere riguardo quella gigantesca sciocchezza dei "sacrosanti diritti delle coppie omosessuali". La cosa irritante è che ad usare la formula non sono tanto, o almeno soltanto, i paladini dell'omosessualismo, ma anche alcuni esponenti che a parole si dichiarano contrari all'attuale disegno di legge Cirinnà.

A ben vedere però ci si accorge che l'opposizione si limita alla facilitazione del solo utero in affitto grazie alla norma sulla stepchild adoption. Io non so davvero più cosa pensare: non riesco a capire se siamo in presenza di un ottundimento della ragione totale e di proporzioni spaventose, oppure di un calabraghismo di tipica matrice italiota. Sul versante della giurisprudenza solo uno sprovveduto può infatti non sapere che una volta varate le unioni civili, anche se private dell'adozione, anche se private dell'affido forte, ad introdurre tutta l'equiparazione genitoriale ci penseranno i giudici italiani ed europei (vedi sentenza della CEDU nel caso X contro Austria). Sul versante della politica qualcuno mi dovrebbe una buona volta spiegare perché la gioiosa macchina da guerra  dei nuovi diritti dovrebbe arrestarsi per tutelare l'amore soltanto tra due soggetti: una volta infatti che il sesso dei nubendi sia dichiarato indifferente per la formazione del "sacrosanto diritto" dell'unione, perché dovrebbero essere importanti il numero, o l'età?

Chi segue le faccende negli USA sa che dopo la sentenza Hobergefell vs. Hodges che ha dichiarato incostituzionali le leggi a protezione del matrimonio tra solo un uomo e una donna, la macchina per il matrimonio poliamoroso ha preso a girare a pieno ritmo. Ma è sulla filosofia del diritto che si misura l'aspetto centrale della questione. Certo che esistono i sacrosanti diritti, ma questi si identificano sempre con i diritti fondamentali della persona. Il diritto al riconoscimento pubblico simil-matrimoniale della relazione omosessuale di un soggetto è forse un diritto fondamentale della persona? Il giurista Rodotà, una lunga carriera nelle liste del PCI prima e del PDS dopo, scrive in difesa del "diritto di amore". Tuttavia se si fosse davvero convinti che è appunto l'amore il fondamento del riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali, allora in ossequio a questo "gius-sentimentalismo", efficace termine introdotto dal giurista Aldo Vitale, autore di un interessantissimo volume appena uscito sull'argomento (Gender, questo sconosciuto. Fede e Cultura edizioni, Verona 2016), si dovrebbero includere sempre ed invariabilmente anche gli amori fraterni, genitoriali, filiali, parentali, amicali, ovvero tutti gli amori anorgasmici. Ora ci accorgiamo che nessun paladino delle unioni civili, apre mai anche a questi amori, consapevole forse che farlo costituirebbe un colpo mortale propio al reale diritto che si intende promuovere che non è di amore, ma di orgasmo.

Ho la netta impressione che la filosofia che sottende questa stagione di nuovi diritti mascherata da diritto di amore sia dunque il "gius-edonismo". Se infatti l'amore senza alcun amplesso non merita il "sacrosanto diritto" al riconoscimento, allora diventa evidente che l'elemento che conferisce dignità pubblica alla relazione è apportato dal piacere derivante dalla soddisfazione sessuale. Ma quale rilevanza pubblica può avere un amplesso intrinsecamente sterile? In che cosa arricchisce la società tanto da scomodare lo Stato a conferire ad esso valore di bene pubblico? L'unione matrimoniale che unisce un uomo e una donna dà per scontato che i coniugi reciprocamente acconsentano all'uso del corpo tra loro mediante atti di tipo generativo, che rimangono tali anche quando non giungono alla generazione di figli. È questo un aspetto talmente centrale del matrimonio che «la Chiesa contempla un solo caso in cui può essere annullato un matrimonio celebrato: quando un matrimonio non è stato consumato (negli altri casi si parla di nullità, non di annullamento)».

Che dei cattolici e persino dei vescovi non si rendano conto che l'unione civile in sé ridefinisca il vincolo che unisce l'uomo e la donna in chiave romantica lascia interdetti e sgomenti. C'è infine un aspetto morale in tutta la questione. Se l'atto sessuale è espressione dell'unione di due persone, allora renderlo volontariamente infertile contraddice il suo autentico significato, questo è sempre stato considerato un male da tutta la riflessione morale cattolica sia dagli albori.

Ci si attenderebbe che, se ci fosse ancora un barlume di pensiero cattolico, dovrebbe risultare evidente che costituisce una violazione del bene comune la promozione del falso attraverso l'omologazione di condotte assolutamente divergenti, di cui solo una rispettosa della legge naturale. Nella quaestio 96 l'Aquinate afferma che "dalla legge umana non devono essere repressi tutti i vizi, dai quali i virtuosi si astengono; ma solo quelli più gravi". È sempre risultato evidente che gli atti omosessuali sono gravemente contrari alla virtù della castità (CCC 2357).

Dai prelati della tenerezza vorrei capire se le cose stanno ancora così, o se invece è stata diramata una circolare abrogativa che evidentemente mi è sfuggita. Nel caso in cui giunga l'assicurazione che nessun mutamento di dottrina sia intercorso, sarei davvero interessato a capire come il varo di una legge che benefici chi esercita atti "intrinsecamente disordinati" sia compatibile con una visione antropologica fondata sulla legge e il diritto naturale, se sia compatibile con la custodia della bellezza del creato. Quali elementi sarebbero intercorsi per ritenere non più valido il giudizio vincolante per qualsiasi fedele (e a maggior ragione per preti, religiosi, vescovi e cardinali) espresso nell'istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sul riconoscimento delle coppie dello stesso sesso del 31 luglio 2003 e la nota dottrinale riguardante l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica del 24 novembre 2002, entrambe firmate da Joseph Ratzinger, attuale papa emerito, e approvate da San Giovanni Paolo II?

È in coerenza con questi principi che negli Stati Uniti i vescovi Vigneron e Myers hanno stabilito di negare la Comunione e un'altra trentina hanno affermato che i politici favorevoli alle unioni gay dovrebbero astenersi dal presentarsi per riceverla. D'accordo, non è questa materia di noi laici, ma una cosa ci tocca nel vivo: se sfrontate auto-proclamazioni di cattolicità adulta sono fonte d'irritazione, se il pervicace inciucio di ecclesiasti con il potere è avvilente, quanto più il vedere accostarsi certi politici all'Eucaristia è motivo di scandalo e indignazione, così come ascoltare pavidi rinnegamenti da chi ha promesso di testimoniare fortezza nella fedeltà a Cristo, usque ad sanguinis effusionem