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IL VOTO DI IERI

Conte salva la poltrona ma così non può stare in piedi

Conte salva la poltrona ma il Governo è più debole. Il Presidente della Repubblica non potrà non tenere conto della precarietà della situazione. Aveva raccomandato a Conte di non accontentarsi di una maggioranza raccogliticcia e ora probabilmente gli ricorderà quelle parole. Con 156 voti nel 2008 Prodi fu costretto a dimettersi. 

Politica 20_01_2021

Giuseppe Conte salva la poltrona ma il suo Governo è molto più debole. Con 156 voti favorevoli (di cui 3 da senatori a vita), 140 no, 16 astenuti di Italia Viva (e 2 assenti di Italia Viva) il premier ha ottenuto la fiducia ma non può dormire sonni tranquilli. Tutt’altro. Ha ottenuto la maggioranza semplice, non quella assoluta, dunque ha raggiunto una soglia tutt’altro che rassicurante. Ciampolillo (ex grillino) e Nencini (socialista) sono stati riammessi al voto dopo una serie di verifiche, in quanto, a votazioni chiuse, non avevano ancora votato. Entrambi hanno votato a favore dell’esecutivo, altrimenti il bottino per Conte e i suoi sarebbe stato ancora più risicato.

Si profila per Conte una strada in salita, visto che al Senato ha ottenuto un risultato ben diverso da quello di lunedì a Montecitorio. I 321 si alla Camera lo avevano ringalluzzito, ma ieri le regole della democrazia parlamentare l’hanno brutalmente riportato alla realtà. Ora dovrà fare i salti mortali, anche perché nelle commissioni farà fatica ad avere la maggioranza. Ad esempio, nella commissione affari costituzionali del Senato, ora c’è parità tra maggioranza e opposizioni e quindi sarà difficile far passare qualsiasi proposta di riforma della legge elettorale.

Prima della crisi provocata dalle dimissioni delle ministre di Italia Viva, l’esecutivo poteva contare su 166 voti, compresi quelli di Italia Viva. Ora i numeri sono ben diversi e quindi si apre una nuova fase politica, ancora più incerta di quella che abbiamo vissuto finora. E nei prossimi mesi bisognerà gestire la più grave emergenza socio-economica della storia d’Italia. Impensabile che a gestirla possa essere un Governo con una maggioranza così fragile.

Ieri al Senato si è avuta la rappresentazione plastica della debolezza della squadra di Conte. Uno dei momenti più concitati della discussione di ieri a Palazzo Madama è stato l’intervento di Matteo Renzi, appassionato e particolarmente sferzante nei riguardi del premier, a cui si rivolto in questi termini. «Serve un Governo più forte, assisto a un indecente mercato per le poltrone, il suo arrocco è dannoso. Le chiedo, Presidente, di fare un passo in più, di non trasformare la politica in una mera distribuzione di incarichi. Capisco che le manchi la gavetta politica, che sia arrivato in politica partendo direttamente dalla Presidenza del Consiglio. Lei non può cambiare idee per tenere la poltrona. Lei ha dato l’impressione di preoccuparsi più di piazzare qualcuno al posto giusto che al resto. Anche a me ha offerto, molto gentilmente, di avere un incarico internazionale. Ho rifiutato. In questo momento non è in ballo il destino personale di qualcuno, ma il futuro del Paese». Il premier, nella replica, ha provato a rintuzzare le puntuali critiche del leader di Italia Viva, ma è apparso poco incisivo e soprattutto molto stanco.

Per la cronaca, hanno votato per la fiducia al Governo tre senatori a vita (Liliana Segre, Elena Cattaneo e Mario Monti), mentre ha votato contro il governo Emma Bonino. Oltre alla moglie di Clemente Mastella, Sandra Lonardo, hanno sostenuto il governo anche Pierferdinando Casini, alcuni ex grillini ora al Gruppo Misto come Gregorio De Falco e Tommaso Cerno, rientrato proprio ieri nel Pd. Come previsto, è arrivato il soccorso azzurro, con due senatori di Forza Italia (Maria Rosaria Rossi, ex tesoriera di Forza Italia fedelissima del Cav e Andrea Causin, subito espulsi dal partito) che hanno votato a favore della fiducia a Conte.

Le parole pronunciate in aula dal premier non hanno invece fatto breccia nel fronte centrista, dove si è preferito attendere gli eventi e capire se l’esecutivo, con questi numeri, potrà reggere anche nel prossimo futuro, sia nelle commissioni che in aula. Non è escluso che si formi un gruppo stabile di senatori che possano sostenere il premier.

Nell’accesa seduta di ieri al Senato, sono andate giù dure le opposizioni, in particolare con il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha attaccato i senatori a vita, ricordando una frase di Beppe Grillo (“Senatori a vita non muoiono mai”) e quindi criticando la loro scelta di votare a favore del Governo.

Il centrodestra intende chiedere al Quirinale di vigilare sulla situazione per evitare che si continui a vivacchiare con un Governo di minoranza, che non potrà assicurare stabilità politica ed è a forte rischio fibrillazioni. Il Governo Prodi nel 2008 raccolse 156 voti al Senato e fu costretto a dimettersi. Il Presidente della Repubblica non potrà non tenere conto della precarietà della situazione attuale. Aveva raccomandato a Conte di non accontentarsi di una maggioranza raccogliticcia e ora probabilmente gli ricorderà quelle parole.