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Omoeresie

Corsi per fidanzati gay, l'omoeresia si fa pastorale

Alcuni  monasteri e comunità cristiane di tre città italiane hanno accolto dei corsi per fidanzati gay che si vogliono unire civilmente.

Gender Watch 12_12_2017

Il portale Gionata è una piattaforma che si definisce così: “Portale su fede e omosessualità”. Gionata ha ospitato la testimonianza dei coniugi Corrado e Michela del gruppo Davide, gruppo di genitori con figli omosessuali. La coppia è impegnata da 25 anni nei corsi pre-matrimoniali ed hanno offerto questa loro esperienza sul campo a sette coppie omosessuali, tra cui c’erano anche alcune che volevano unirsi civilmente, organizzando quattro incontri ospitati da alcune comunità cristiane e monasteri. In breve si sono inventati i corsi fidanzati per coppie gay.

Corrado e Michela spiegano che “ci siamo sentiti interpellati dalla richiesta fattaci da sette coppie di ragazzi gay credenti e provenienti da tutt’Italia, di essere accompagnati in un cammino di discernimento sia per approfondire l’esperienza dell’amore di coppia nella loro realtà omosessuale che per un approccio serio e consapevole, per alcuni di loro, alle Unioni Civili”. Prima riserva: è errato parlare di “amore” nelle relazioni omosessuali. Non tutto ciò che percepiamo a livello sentimentale come amore, lo è davvero. Non ogni attrazione è umanamente e quindi moralmente sana. L’errore è anche sul piano teologico perché se esistesse anche l’amore omosessuale e se, come possiamo leggere nella Prima lettera di San Giovanni, “Dio è amore” (4,8) ciò comporterebbe che Dio è anche amore omosessuale, la qual cosa sarebbe una bestemmia.  

La coppia poi aggiunge: “Tutti siamo oggetto dell’amore provvidente del Padre, nessuno è escluso dalla comunità di fede e ogni persona nella sua realtà è sacra: per questo ci è sembrato giusto accompagnare queste coppie che cercano la loro felicità, la loro vocazione, nello specifico progetto che Dio ha su di loro”. Vero è che tutti sono destinatari dell’amore di Dio, ma Dio ama l’uomo seppur peccatore, non ama il peccato del peccatore. Dio ti ama e ti chiama a salvezza, quindi ti chiama con forza ad abbandonare il peccato, che nello specifico si identifica nella relazione omosessuale. Ne consegue che il progetto di Dio su questi ragazzi omosessuali non è “continuate a vivere nell’omosessualità”, bensì “abbandonatela”. Con la grazia di Dio e il conforto umano ciò è sicuramente possibile. Chi ha cuore la felicità di questi ragazzi non può confortarli nel rimanere in una condizione che li vincola all’infelicità.

Corrado e Michela, nel loro report di questa esperienza di “pastorale” arcobaleno, affermano che un punto di “forza è stata la scoperta per noi genitori, preoccupati della felicità dei nostri figli gay, che anche una profonda relazione d’amore omosessuale, che si nutra di rispetto reciproco e del dono di sè all’altro, che sia fedele, che apra le sue porte a chi è debole e nel bisogno, è una relazione degna di essere vissuta e che nell’incontro con Gesù può trovare luce, speranza, consolazione. Per noi genitori l’Unione Civile non toglie ma aggiunge dignità etica a questa scelta”. La relazione omosessuale, come spiegano molte ricerche (cfr. tra i molti studi Gerard J. M. van den Aardweeg, La scienza dice NO. L’inganno del “matrimonio” gay, Solfanelli) non è rappresentativa di una donazione di sé, ma ne configura l’esatto contrario: una ricerca solipsistica e spesso narcisistica di sé. Si cerca l’altro uomo per confermare se stesso in un ruolo maschile che si percepisce latitante. L’Unione civile poi eleva a bene giuridico la relazione omosessuale che di suo è intrinsecamente disordinata. Quindi struttura civilmente un peccato.

Il racconto di Corrado e Michela, i quali – ne siamo certi – sono animati dalle migliori intenzioni, mette in evidenza alcuni capisaldi del processo omoeretico che si sta sviluppando in seno alla Chiesa e che potremmo così sintetizzare per punti. Primo: naturalizzare l’omosessualità, ossia sostenere che l’omosessualità è una naturale variante dell’affettività umana. Secondo: matrimonializzare la relazione omosessuale. Ciò a dirsi che a motivo della sua normalità, si può sovrapporre la relazione omosessuale al matrimonio. Terzo: eliminare il peccato relativo a condotte omosessuali. Il precedente punto porta a configurare una pastorale per le persone omosessuali dove il tema del peccato delle condotte omosessuali è sostituito dall’impegno contro ogni sorta di discriminazione. Impegno sicuramente lodevole, ma che non dovrebbe condurre a sopprimere il giudizio della Chiesa sugli atti omosessuali. Quarto: giudicare positivamente l’omosessualità non solo sul piano morale, ma anche su quello teologico. I precedenti punti non possono che portare a concludere che, transitando dal piano morale a quello teologico di fede, l’amore che Dio ha per la persona omosessuale si estende ad un (impossibile) amore divino per l’omosessualità. Detto in altri termini: dall’accoglienza (doverosa) per la persona omosessuale si transita all’accoglienza (da evitarsi) dell’omosessualità. Quinto: creare una pastorale a favore dell’omosessualità per il tramite dello strumento del silenzio assenso.

L’iniziativa di Corrado e Michela legittima anche sotto il profilo ecclesiale l’omosessualità. Infatti gli incontri si sono svolti nelle città di Milano, Bologna e Roma. I vescovi competenti per le diocesi in cui si sono svolti gli incontri non ne sapevano nulla? E se hanno saputo perché non sono intervenuti? E così il cerchio arcobaleno si è chiuso.

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