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L'OPINIONE

Così vicino alla gente, così difficile da capire

Il settimanale americano "Time" l'ha definito il "Papa della gente", ma quelle che sono presentate come novità senza precedenti, in realtà erano la normalità fino all'Unità d'Italia. Da "Il Corriere della Sera".

Ecclesia 02_08_2013
Papa Francesco a Rio

Mentre scrivo, ho sul tavolo il penultimo numero di Time. La sua celebre copertina è interamente occupata da un'immagine di Jorge Bergoglio, sul cui profilo campeggia lo «strillo», per dirla in gergo: The people's Pope, il Papa della gente. Una «svolta epocale», naturalmente, «una novità storica», secondo il settimanale americano, cui si riconosce ovunque una inappellabile autorità. Leggendo l'articolo si ha il sospetto che - per guardare solo al recente passato - un Giovanni Paolo II fosse un cupo misantropo, chiuso nel suo palazzo, interdetto alla mitica «gente».
 
Peccato, per i giornalisti sempre in cerca di «svolte inedite», che una curiosa classifica abbia stabilito come, nel quarto di secolo del suo pontificato, papa Wojtyla sia stato il personaggio della storia - ma sì, della storia intera - che ha incontrato più persone, nel maggior numero di Paesi nel mondo. Non solo la sua vita ma anche la sua morte, con i funerali mai visti e, poi, con l'oceanica cerimonia di beatificazione, confermarono che attorno a lui non si erano assiepate semplici folle di curiosi. È del Pontefice polacco un altro record: mai un assembramento umano - neppure quello dell'altro giorno sulla spiaggia di Copacabana - mai ha raggiunto i cinque milioni di partecipanti, come avvenne nella messa alla Giornata della Gioventù a Manila. Ma chi ricorda le folle immense di Colonia, Sydney, Madrid sa bene che in quelle Giornate la «gente», in particolare quella giovane, non disdegnò certo di accorrere acclamante anche attorno a quel Benedetto XVI che molti media presentavano come un introverso teologo, un amico dei libri più che dei rapporti umani, un inquisitore e non un capo carismatico.
 
Continuando a fare, da Papa, ciò che ha sempre fatto e che per lui è «naturale» (per usare un termine che ha impiegato più volte anche con i giornalisti al ritorno da Rio) Francesco, e lo ha fatto capire chiaramente, è il primo ad essere stupito dell'enfasi data dai media a ogni suo gesto. Quanto a lui, per dirla alla romanesca, «ci è» e non «ci fa». Da qualche parte ho già ricordato che, in un talk show televisivo cui partecipavo, si parlò a lungo - traendone insegnamenti edificanti - delle grosse scarpe nere che il nuovo eletto continuava a portare, invece di leggeri ed eleganti mocassini. Suscitai forte irritazione quando mi permisi di ricordare quanto mi aveva rivelato poco prima un vescovo che ben lo conosceva. Bergoglio soffre da molto tempo di problemi alla schiena e proprio nell'intervista in aereo ha detto, con un sorriso agrodolce: «La cosa peggiore che mi è capitata, proprio all'inizio del pontificato, è stata un attacco di sciatica. Dolorosissima, da non augurare a nessuno!». In quel dibattito, dunque, mi permisi di dire (tra il fastidio generale) che quei vistosi scarponi erano in realtà calzature ortopediche, confezionate su misura da un artigiano di Buenos Aires. Precisazione fondata eppure sgradita, per tanti media.

Ma, buon conoscitore della storia della Chiesa come ogni gesuita (non si è accettati nella Compagnia se non dopo avere percorso e superato un lunghissimo cursus studiorum ), pensiamo che papa Francesco sorrida anche della «svolta epocale» che gli è attribuita per la sua decisione di stare il più possibile tra la gente. The people's Pope, per dirla con gli americani. L'isolamento dei Papi nei palazzi vaticani risale a Porta Pia, all'occupazione di quella loro città in cui erano così invisi alla «gente» che quella dei Pontefici non è soltanto la catena dinastica più lunga della storia, ma è anche quella in cui nessuno di quei singolari monarchi è mai morto in un attentato popolare. Per stare agli ultimi tempi prima della breccia di Cadorna, ogni sera Pio IX (alla pari dei suoi predecessori) amava fare, prima di cena, una passeggiata per il centro di Roma. Accompagnato solo dal segretario e talvolta da qualche prelato, senz'ombra di gendarmi, camminava, salutava, si informava dei prezzi, si intratteneva con chi voleva consegnargli una supplica, lanciava battute dialettali, con il suo fare cordiale ed arguto.

Per dire il clima di quei giri quotidiani: un giorno vide un ragazzo che piangeva sotto un portone. Interrogatolo, seppe che, mandato dai genitori a comprare del vino, era inciampato, rompendo la bottiglia, e non osava più rientrare a casa. Si vide allora il Papa Re, il vicario di Cristo, il successore di Pietro, entrare dal vinattiere lì accanto, comprare un fiasco del miglior bianco dei Castelli e ordinare al segretario di pagare, non avendo con sé un borsellino, e consegnarlo di persona al giovanetto.

Il caso di Pio IX si iscrive in una lunghissima serie di Pontefici che mai hanno pensato di muoversi tra la loro gente in una carrozza blindata: il rifiuto della papamobile a prova di mitra e bombe è dunque il ritorno alla tradizione di sempre. Anche se, come lo stesso Francesco ha riconosciuto, con qualche rischio in più. Una novità vera è stata, piuttosto, la decisione di restare in albergo e di lasciar vuoto l'alloggio pontificio. Chi ne ha fatto esperienza, ha un ricordo un po' soffocante delle visite in quelle stanze papali del palazzo Vaticano, tra blocchi per il riconoscimento dell'identità, telefonate interne di conferma, guardie svizzere e gendarmeria, successioni di anticamere popolate da personaggi da film in costume. Possiamo ben capire il «problema psichiatrico» di Francesco per la reclusione in simili ambienti e la sua decisione di non lasciare la suite a Santa Marta. Ma, qui pure, egli sa bene come questo sia un retaggio dei tempi in cui la passeggiata serale per Roma, senza alcuna scorta, fu forzosamente interrotta e sostituita dalla chiusura in Vaticano, mentre la città attorno era occupata con le armi. Il Papa fu sempre il più accessibile dei sovrani fino a quando non fu costretto a barricarsi. Con la sua decisione imprevista, Bergoglio ha avuto il merito di mostrare che c'è una questione che occorre esaminare.
 
Ma il problema vero sta, forse, in un paradosso: assetato di «personaggi», quel media system internazionale che, sino a Paolo VI compreso, sembrò snobbare il papato come cosa anacronistica e opprimente, si è impadronito della figura del Pontefice argentino, rivestendolo di panni spesso non suoi. Una incursione su Internet mostra che si giunge sino all'invenzione pura e semplice di episodi di cui è protagonista e che vogliono mostrarlo ben diverso dai suoi predecessori. Da una parte «umiltà e candore» (parole testuali dalla copertina di Time), dall'altra l'attaccamento a una tradizione trionfalista e insostenibile. Papa Francesco non fa che ripetere parole di stima, affetto, fedeltà intellettuale ai suoi predecessori, ma l'aneddotica su di lui, vera o spesso falsa, vigoreggia. Chi ne scapita è il suo insegnamento, ridotto troppo spesso (almeno nei titoli) a slogan da omelia sempliciona, a pillole di scontata saggezza da Bertoldo paesano. Il Bergoglio vero non è affatto così. Ma così vuole il personaggio che gli si è ormai costruito attorno e che, almeno sinora, sembra rendere in share televisivo e in tiratura di periodici.