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IL BELLO DELLA LITURGIA

Cristo-vite, il trionfo della Fede nell’affresco di Lotto

L’identificazione iconografica Cristo-vite, fondata sulle Scritture, comparve per la prima volta nel XV secolo a Creta e sul Monte Athos. Nel tema si cimentò poi anche, magistralmente, Lorenzo Lotto. Un monumentale Cristo spalanca le Sue braccia da cui partono lunghi rami di vite che danno vita a dei girali, dieci per l’esattezza, in cui sono inserite figure di santi.

Cultura 01_05_2021

Lorenzo Lotto, Cristo-vite, Oratorio Suardi - Trescore Balneario (BG)

“Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. (Gv 15,4-5)

La vite nella Bibbia è sinonimo di fecondità: è la sovrabbondanza della Terra Promessa, è una vita contraddistinta da pace e serenità. È benedizione. Nel Nuovo Testamento, la vite - vera, per di più - è Gesù: dal legame con Lui dipendono i tralci, tutti i credenti. Che solo permanendo in questo continuo rapporto possono dare, ciascuno, il proprio frutto.

L’identificazione iconografica Cristo-vite comparve per la prima volta nel XV secolo, nell’isola di Creta e sul Monte Athos, per mano degli iconografi bizantini fuggiti da Costantinopoli appena conquistata dai Turchi: essi immaginarono Gesù benedicente al centro di un albero da cui partono due ceppi, segno della duplice natura, divina e umana, del Salvatore. Tra i dodici girali, che parallelamente si sviluppano dal legno, compaiono gli Apostoli quali rappresentanti di tutta la Chiesa. Qualche decennio più tardi, Lorenzo Lotto recuperò questa iconografia, trasformandola con una sorprendente capacità inventiva.

Il maestro era attivo in quel di Bergamo quando l’amico Giovan Battista Suardi, raffinato esponente dell’aristocrazia locale, lo convocò presso la sua villa di campagna, affidandogli la decorazione a fresco dell’annessa cappella. La committenza, con il relativo programma iconografico, avrebbe dovuto significare la netta presa di posizione da parte del nobile rispetto all’incombente minaccia protestante: il conte voleva manifestare, così, la sua fedeltà alla Chiesa di Roma.

L’oratorio ha una struttura semplice, con una planimetria rettangolare che sfocia in un’abside semicircolare. Alle travi a vista del tetto spiovente s’intreccia, illusionisticamente, un finto pergolato tra cui fa capolino un luminoso cielo azzurro: putti gioiosi giocano con dei cartigli le cui citazioni bibliche e liturgiche alludono al tema della vigna e alla valenza eucaristica del vino.

“EGO SUM VITIS VOS PALMITES” (“Io sono la vite, voi i tralci”), si legge a chiare lettere nell’iscrizione riportata sulla parete sinistra, quella che un tempo, prima della ristrutturazione ottocentesca, i fedeli si trovavano di fronte varcata la soglia della cappella. Al di sotto, un monumentale Cristo spalanca le Sue braccia da cui partono lunghi rami di vite che danno vita a dei girali, dieci per l’esattezza, in cui sono inserite figure di santi e di sante. E di Dottori della Chiesa: Ambrogio e Girolamo sono alle due estremità, impegnati nella lotta contro l’eresia rappresentata da ingannevoli vendemmiatori che, arrampicandosi sulle scale, cercano di tagliare i tralci ma vengono fatti cadere e ricacciati indietro. L’arma utilizzata dai due Santi sono le Sacre Scritture che entrambi brandiscono con risoluta fermezza.

Il trionfo della Fede è la chiave di lettura di questa particolare scelta iconografica che si completa con le Storie delle Sante Barbara e Brigida sulle pareti. Perché ciò che davvero si è inteso rimarcare, qui, è la continuità tra Cristo e la Sua Chiesa resa visibile e tangibile dai frutti che dà: le vite di Barbara e di Brigida ne sono un fulgido esempio, che Lotto racconta tralasciando toni eroici e calando i singoli episodi, con la vivacità narrativa che contraddistingue il suo stile, in una dimensione familiare e quotidiana. Monito a ciascuno di noi.