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IL TIMONE IN FESTA

"Da 20 anni raccontiamo da cattolici l'avventura umana"

«Corti dovette ricredersi, Messori ci fece decollare e Ratzinger pur di esserci escogitò un misterioso invio...». Il fondatore del Timone, Gianpaolo Barra, si racconta a 20 anni dal primo numero: «Partimmo con 6 milioni di lire, non ci credeva nessuno, ma puntavo a una nazionale di apologeti che desse una lettura cattolica dell’avventura umana mantenendosi fedele alla dottrina». I direttori di ieri e oggi, il sostegno "militante" dei lettori e la certezza che «è stata un’opera umanamente imprevedibile». Domani la festa del mensile di apologetica con Müller, Miriano, Messori e tutte le firme storiche. 

Cultura 29_11_2019
Barra e Messori

Il primo ricordo è diventato cimelio: una striscia di carta ormai ingiallita. Ritagliata maldestramente e fotocopiata in 3000 esemplari: “L’ho ritrovata l’altro giorno e mi è venuto un colpo. Erano le coordinate postali volanti per chiedere ai lettori offerte per avere il secondo numero. Il primo era già stampato e non avevamo pensato a un bollettino postale. Così abbiamo dovuto infilare all’ultimo, in mezzo alle pagine, il foglietto. Ma funzionò”. 

Gianpaolo Barra tiene tra le mani il cimelio che testimonia come da una idea folle possa nascere una grande iniziativa editoriale. Per i suoi primi 20 anni Il Timone si è concesso uno strappo alla regola: raccontare di sé. E così il suo fondatore, per nulla incline all’autocelebrazione, si è rivisto indietro ancora sbarbato nelle foto alle prese con l’album dei ricordi e con il primo numero: “A pagina 1 c’è il primo refuso, che non si scorda mai: “Galileo Galileo”. Un classico. Poi le foto: “Qui eravamo con il cardinale Zen. Guarda, c’è Mario”. Già, Palmaro (in foto a sinistra con Caffarra e Barra, nella foto seguente a destra Barra oggi con il direttore Bertocchi), una delle colonne portanti della prima rivista di apologetica italiana. Da qualche anno scomparso, ma sempre presente. Nella riunione di redazione del mensile la preghiera di inizio termina sempre con un requiem per lui. “È ancora con noi – spiega alla Nuova BQ –. Quanto ci manca, aveva visto tante cose di cui ci accorgiamo solo oggi…”.

Domani a Milano Il Timone festeggia con gli amici e i lettori i suoi primi 20 anni di vita (clicca qui per partecipare e leggere il programma) con il cardinal Müller, Vittorio Messori, Costanza Miriano e tante firme storiche. E poi i collaboratori e i direttori di ieri e di oggi. Per rivedersi cresciuti e riflettere con lo sguardo all’indietro su un’avventura editoriale che non ha soltanto raggiunto la maggiore età, ma è diventata un punto di riferimento nell’editoria cattolica.

Perché l’aggettivo "cattolica" compare fin da subito nella prima pagina del primo numero. Unito all’apologetica. Vero, Barra?
Era il maggio ’99, Il Timone, diciamo che è nato da una situazione e da un bisogno.

Quale?
Mi era stato chiesto dal mio padre spirituale dei Legionari di Cristo di dare un contributo per la formazione a un gruppo di giovani che facevano parte del Regnum Christi. Io mi servivo dei temi apologetici nei libri che trovavo in Vittorio Messori o in Rino Cammilleri, avevo bisogno io per primo di formazione per fare formazione.

E il bisogno?
Ero dipendente di Aiuto alla Chiesa che Soffre e quando andavo in giro per conferenze nelle parrocchie mi capitava sempre che qualcuno alzasse la mano e dicesse: “Sì, però anche noi cattolici abbiamo avuto le crociate”, oppure che mi contestasse i silenzi di Pio XII sugli ebrei o il caso Galileo…

Le leggende nere…
Esatto. Così iniziai a ricercare sulla stampa cattolica quegli articoli che potevano servire da diffondere a chi me lo chiedeva: fotocopiavo Avvenire, 30 giorni, Il Sabato, Studi Cattolici e Cristianità, spendevo un sacco di soldi per mettere insieme cose scritte sempre da altri…

Così si è messo in proprio…
Mi venne l’idea: perché invece di essere io a comprare gli articoli di autori cattolici, non provo a trovare il modo di creare una testata che li raccolga tutti? 

E questa è la follia…
Pensai alla nazionale degli apologeti.

Il brand di casa.
Messori, Cammilleri, poi Eugenio Corti, Mario Palmaro, Marta Sordi e molti altri. Erano già dei nomi nel panorama cattolico, ma ognuno scriveva per conto suo. Il Timone ha avuto il merito di riunirli sotto un’unica squadra.

E funzionò?
Dopo soli 4 numeri in 8 mesi avevamo già 1100 abbonati e dopo due anni ne avevamo 2.000. Io e la mia squadra (dove compariva un allora giovanissimo Tommaso Scandroglio, ndr) ci autotassammo per il primo numero, eravamo dei signori nessuno, però il primo numero ci costò, compresa la spedizione, 6 milioni di lire. Non avevamo nessuna esperienza giornalistica, non avevamo una casa editrice, non avevamo intenzione di vendere pagine alla pubblicità e non avevamo un distributore.

Eppure, il primo numero fu di 3000 copie…
Il grosso degli indirizzi me li diede Stefano Biavaschi che aveva appena chiuso un giornale. E - miracolo - il secondo numero risultò praticamente già finanziato con i contributi dei lettori del primo.

Il foglietto volante…
Esatto. Stampammo i bollettini postali e da quel giorno Il Timone si è praticamente sempre autofinanziato.

Come ha fatto a convincere nomi del calibro di Messori, Corti (in foto) e Cammilleri?
Le racconto un episodio: andai da Eugenio Corti (il celebre scrittore brianzolo autore del Cavallo rosso). Mi accolse nella sua residenza. Si stupì del fatto che non avevamo nulla e mi disse: “Guardi Barra, io la aiuto e scriverò gratis, però sappia che lei non ce la farà mai”. Dopo qualche anno, ci rivedemmo e si mise le mani sulla fronte: “Avevo sbagliato tutto, Barra! Le devo chiedere scusa”. Ecco, Il Timone è stata un’opera umanamente imprevedibile dove la Provvidenza ha giocato un ruolo decisivo.

Con Messori ci fu la svolta…
Messori ci fece decollare. Si innamorò subito del progetto, in questo mi aiutò molto Marco Invernizzi, ma sapeva che il suo nome all’epoca era sgradito a certe gerarchie ecclesiastiche per la sua opera apologetica, pertanto non volle metterci il cappello perché ci avrebbero bollato. Dopo un paio d’anni mi scrisse: “Caro Barra, credo che sia giunto il momento di dare il mio contributo”. Portò da noi Vivaio (la storica rubrica su Avvenire, poi sul Timone) e la mantenne fino alla fine da noi contribuendo ad affermare la diffusione. Così come la rubrica di Cammilleri Il Kattolico. Ormai sono segni distintivi di un’opera.

Ha usato la parola opera, non giornale…
Perché abbiamo sempre avuto la consapevolezza che questo fosse un apostolato e in questi anni ho visto che dicendo la verità ai lettori - cioè che si stava lavorando per Dio e per difendere la Chiesa - un numero elevato di lettori ci ha dato una mano, diventando una famiglia per questa battaglia e diventando essi stessi dei militanti per la causa. L’altro elemento di forza del Timone era la nazionale. Numero per numero cresceva l’elenco dei giornalisti, scrittori, esperti o storici che scrivevano e questo ha dato un grande prestigio quando andavamo nelle parrocchie.

Sfogliando il primo numero troviamo il caso Galileo (apologetica storica), il preservativo (temi etici), il miracolo di Miguel Juan, quindi la devozione, la Resurrezione di Gesù, quindi la fede, un articolo sulla società laicista, quindi il rapporto tra Chiesa e modernità: c’erano già i temi che poi vi hanno caratterizzato…
Uno dei nostri punti di forza è sempre stata la coerenza: ciò che colpì i lettori e li attira ancora oggi è la capacità di dare una lettura cattolica dell’avventura umana mantenendoci fedeli alla dottrina e al pensiero e alla cultura cattolica. Il Timone è stata la prima iniziativa di questo genere in Italia, non c’era niente di simile prima.

Un altro vantaggio è stato anche non essere mai stati etichettati come appartenenti ad una sola realtà ecclesiale?
Sì. Perché i “giocatori” provengono da varie “squadre di club”: battitori liberi, giornalisti da CL, dall’Opus Dei, da Alleanza Cattolica, dai Neocat. E poi nel corso degli anni abbiamo avuto modo di avere ospiti vere e proprie personalità alle quali abbiamo consegnato il premio Defensor Fidei. Ricordo ad esempio i cardinali Zen e Caffarra.

Nel vostro carnet c’è anche un certo Joseph Ratzinger…
(Barra va all’espositore e recupera un numero, il 22). Ecco qua. Abbiamo ospitato un suo intervento sulla liturgia. Un vero e proprio trattato alla vigilia della sua elezione a Pontefice. Che onore.

Vi leggeva?
Lo presumo, ma la storia di come abbiamo pubblicato quel dossier sulla liturgia firmato dall’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede non la sanno in molti.

Ah sì?
Adesso gliela racconto. Con Ratzinger non abbiamo mai avuto relazioni e contatti, un giorno ricevetti un plico dattiloscritto di 15 fogli, firmato da lui e con il biglietto da visita del suo segretario.

Quindi?
Mi chiesi perché mai me lo avesse inviato, che cosa avesse voluto dire. Un mistero. Allora chiamo Andrea Tornielli, che all’epoca era vaticanista ed era ancora nella nostra squadra e gli chiesi che cosa avesse mai voluto significare nel linguaggio, diciamo così… cardinalizio.

E lui?
Mi disse che era il suo modo per dire che aveva piacere di pubblicare sul Timone, ma passando per il segretario.

Cioè?
Non voleva essere troppo esplicito nel proporsi, ma far sì che fossi io a chiedergli un contributo. Risolvemmo il rebus in un attimo e il mese seguente uscimmo con questo che è ancora un documento unico sulla liturgia con Dio al centro, che poi tanta parte ha avuto nel suo pontificato.

Lei oggi si è ritagliato il ruolo di direttore emerito nella rubrica I Timonieri. Perché?
Perché quattro anni fa ho sentito l’esigenza di dare il giornale in mano a dei giornalisti veri: nel frattempo la realtà era cresciuta e le competenze giornalistiche aumentavano. Io sentivo di dovermi occupare a tempo pieno delle attività apologetiche collaterali come i dizionari, i quaderni, i libri per ragazzi. Così ho affidato la direzione a Riccardo Cascioli (in foto), che era già nella prima squadra di redazione. Con Cascioli il giornale si è allargato nelle firme e nelle tematiche trattate, ma sempre mantenendo lo stesso stile e ha operato il suo primo restyling grafico. Infine, dato l’impegno cui lo assorbiva la Nuova Bussola, che è un quotidiano, la direzione è passata a Lorenzo Bertocchi con il quale stiamo facendo importanti innovazioni nel campo dell’online e della promozione del brand. Cascioli oggi è uno dei “timonieri emeriti” con me.

Oggi l’apologetica è in crisi?
Sicuramente i tempi sono cambiati rispetto a 20 anni fa. Ma siamo rimasti con l’idea di dare una rotta per navigare sicuri e la rotta viene dettata, ieri e oggi, dalla Dottrina della Chiesa, dalla dottrina di sempre tanto nel campo teologico quanto nel campo sociale.

Significa che anche l’apologetica deve rinnovarsi?
Significa che c’è ancora più bisogno di apologetica, che nasce con San Pietro: è il dare ragione della speranza che è in noi. Ragione e speranza, dunque un binomio che non può essere cancellato. È chiaro che quando è nato il Timone il grosso della polemica contro la Chiesa veniva dettato da temi di carattere storico o nei rapporti tra fede e scienza. Oggi la sfida è un’apologetica di carattere etico. San Giovanni Paolo II aveva un atteggiamento spesso militante e per Il Timone questo costituiva un esempio a perseverare. Parlava di “una nuova apologetica”, quindi nella Chiesa c’era più favore.

E ora?
Adesso sono cambiate due cose: gli argomenti contro la Chiesa non sono più di carattere storico ma di carattere etico o scandalistico o imperniati di luoghi comuni che vengono diffusi senza neanche rifletterci, ma soprattutto è cambiato il clima dentro la Chiesa. Oggi di apologetica non parla più nessuno, l’attenzione della Chiesa è concentrata più su temi quali l’immigrazione o la salvaguardia del Creato, ma se noi continuiamo a crescere significa che sempre più fedeli hanno bisogno di questa ragione e di questa speranza. Perché sappiamo che Il Timone è nato per una missione e finché il Buon Dio ci darà segni della nostra “utilità” continueremo nella nostra opera.