Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
UN CASO ESEMPLARE

Dalla spiaggia di Fregene una lezione sull'omofobia

Un caso di effusioni tra giovani gay sulla spiaggia diventa pretesto del solito allarme omofobia. In realtà non solo le cose sono andate ben diversamente (le effusioni erano oscene), ma la comunità Lgbt dovrebbe essere contenta perché anche chi ha denunciato quella condotta dimostra di aver accettato la normalizzazione dell'omosessualità.

Editoriali 26_07_2020
La spiaggia di Fregene

Sicuramente conoscete la storia della Piuma della gallina Pina. La gallina Pina perde una piuma, la notizia fa il giro del pollaio e alla fine la storia, passando di becco in becco, è così stravolta che racconta di ben cinque galline morte. A Fregene è accaduto come alla gallina Pina, ma solo al contrario: si narra di una piuma persa, invece c’è di mezzo una gallina morta.

Partiamo dal racconto quando ormai ha concluso il giro del pollaio mediatico: due ragazzi omosessuali stavano prendendo il sole presso lo stabilimento balneare della Marina Militare di Fregene. Si scambiano un bacio e immediatamente un vicino di ombrellone li intima di smettere altrimenti avrebbe chiamato il «maresciallo dirigente per farli cacciare». Fabrizio Marrazzo, responsabile del Gay Center, che va a nozze (anzi, ad unioni civili) ogni volta che fiuta aria di omofobia, così ha commentato il fatto: «Quanto accaduto è molto grave perché ancora oggi una coppia Lgbt non è libera di passare qualche ora di svago in serenità, senza sentirsi offesa o minacciata. Pertanto chiediamo ai gestori dello stabilimento di prendere le distanze dai fatti e di proporre ai bagnanti di farsi dei selfie dove si baciano in segno di solidarietà alla giovane coppia».

Ora riportiamo i fatti per come sono realmente accaduti, ossia il fatto prima che fosse edulcorato dagli abitanti del pollaio. Citiamo le parole, così come riportate da Fregene on line, di un responsabile dello stabilimento il quale ha raccolto la testimonianza del vicino di ombrellone che ha protestato:

«Ho assistito a quanto segue: due ragazzi di giovane età, poco distanti da noi, provvedevano a spalmarsi la crema protettiva reciprocamente in modo ambiguo e fuori luogo, con massaggi ben visibili che arrivavano anche alle parti intime, con lo stupore dei bambini che assistevano a quanto stava accadendo.
Dopodiché si sono stesi sul lettino e uno dei due, allungando in maniera ripetuta il piede lateralmente, andava a toccare le parti intime dell’altro con insistenza e con l’intento di stimolarlo. Noncuranti della presenza dei bambini, i due giovani hanno iniziato a scambiarsi effusioni amorose in maniera sempre più spinta, toccandosi le parti intime di fronte a tutti i bagnanti.
Valutato quanto detto, nel rispetto del buon costume, della serietà istituzionale dello stabilimento e nella tutela dei minori, ho sollecitato educatamente i due ragazzi a mantenere un atteggiamento consono all’ambiente, nel rispetto del decoro e indiscriminatamente in relazione al loro orientamento sessuale, smentendo dunque l’accusa rivolta al sottoscritto di aggressione omofoba.
Nel ribadire quanto affermato, preciso che, nell’eventuale insistenza del comportamento suddetto, avrei provveduto a chiamare chi di dovere per farlo intervenire. Dichiaro quindi quanto detto e prendo le distanze dal racconto distorto e menzognero esposto dai due ragazzi o chi per loro, avente scopo di strumentalizzazione e scalpore mediatico».

Qualche riflessione a margine di quanto accaduto. Lo spirito di delazione che innerva il Ddl Zan è già ben presente non solo nella comunità LGBT, ma anche nei media. In buona sostanza già da tempo tira un brutto vento che sibila così: dagli all’omofobo. Se una coppia etero amoreggia in modo sconcio forse emetteremo qualche colpetto di tosse per ammonirli. Se è una coppia gay a farlo e abbiamo la raucedine faremo di tutto per non tossire.

Viviamo in un clima di intimidazione dove chi dimora nell’aurea sigla LGBT può sentirsi un privilegiato e chi ne è fuori è un perenne candidato alla persecuzione. E infatti avrete notato che quando qualcuno vuole accennare una critica all’omosessualità spesso fa questa premessa: «Io, comunque, ho molti amici omosessuali». Una sorta di giustificazione non richiesta, ma assai sintomatica del fatto che se critichi il mondo LGBT già parti in svantaggio, già ti metterai contro il tuo uditorio e quindi devi recuperare sin da subito questo gap.

In secondo luogo la vicenda balneare appena raccontata conforta ancor più nella considerazione che è ormai scontato qualificare le persone omosessuali e transessuali come vittime – vittime a priori - e tutti gli altri come presunti colpevoli. Con l’aggravante che a te presunto colpevole pesa l’onere della prova in merito alla tua innocenza.

Terzo pensierino, forse quello più inquietante. La narrazione di come sono andati realmente i fatti porta il lettore a pensare: giusto indignarsi di fronte ad avances così esplicite e così offensive del comune senso del pudore. In breve quello che fa problema è il grado delle dimostrazioni di affetto (oltre ad una certa soglia infrangiamo i limiti della decenza), non lo scambio di effusioni tra due persone omosessuali, non l’omosessualità in quanto tale. Infatti cosa ha detto il vicino di ombrellone accusato di omofobia? «Ho sollecitato educatamente i due ragazzi a mantenere un atteggiamento consono all’ambiente, nel rispetto del decoro e indiscriminatamente in relazione al loro orientamento sessuale».

Tentiamo di spiegarci meglio: se una coppia eterosessuale si bacia in pubblico in modo conveniente nulla quaestio. Se esagera, è bene riprenderli. Se una coppia omosessuale si bacia in pubblico è sempre sconveniente, non serve aspettare che l’uno solletichi gli ardori lombari dell’altro. Nel caso di effusioni omosessuali non fa problema in prima istanza il grado di espressione di tali effusioni, ma fanno problema le effusioni stesse (semmai l’immoralità dell’atto può essere aggravata dal grado delle dimostrazioni di affetto).

Detto ciò, la comunità LGBT dovrebbe rallegrarsi dell’avvenuto chiarimento: nessuno infatti si è permesso di dire che due ragazzi gay non possono baciarsi in pubblico, ma solo che è bene che temperino il loro trasporto emotivo, così come è richiesto per una coppia etero. Si tratta di perfetta equiparazione. È una classica vittoria del pensiero rivoluzionario che procede per tappe: lo scontro non è più sulle effusioni tra due persone omosessuali, bensì sulla soglia di tollerabilità di queste. Domani anche questa meta sarà conquistata e il dibattito si sposterà un poco più avanti, ad esempio su quante persone omosessuali potranno contemporaneamente esternare fisicamente le proprie intime eccitazioni. E così via in un climax involutivo inarrestabile.

Dunque ancora una vicenda che conferma che l’omosessualità è assolutamente ben accetta dai più. Anzi forse più che accettata, è temuta. Temuta perché è foriera di conseguenze giudiziarie, di gogne mediatiche, di insulti via social, di discriminazione sociale. Per paradosso questa è la vera omofobia: la paura dell’omosessuale che ti potrebbe mettere nei guai. Ma se stanno così le cose, vuole dire che gli artefici di questa omofobia sono proprio i gay militanti. Un caso paradigmatico di eterogenesi dei fini. Anzi, di omogenesi dei fini.