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ALL'ANGELUS

«Digiuno e penitenza per la pace in Siria»

Intervento di papa Francesco all'Angelus per spiegare la gravità della situazione in Siria e l'urgenza della preghiera alla Madonna per scongiurare il peggio. Sabato 7 settembre giornata di preghiera e digiuno per tutti i cattolici e veglia in piazza San Pietro.

- IL VIDEO DELL'ANGELUS

Esteri 01_09_2013
Papa Francesco all'Angelus

All'Angelus di domenica 1° settembre 2013, preceduto dal vertice sulla Siria di sabato 31 agosto tra i capi della diplomazia vaticana e il Papa, il Pontefice ha lanciato «un forte appello per la pace», condannando insieme ogni ricorso alla guerra in Medio Oriente e l'uso delle armi chimiche, e ha indotto una giornata di digiuno per tutti i cattolici per il prossimo sabato 7 settembre, ricordando che la Chiesa, se non rinuncia alle iniziative diplomatiche, si batte anzitutto con le armi della preghiera e della penitenza.

A questo appello Papa Francesco ha voluto dare un forte carattere mariano: la data del 7 settembre - in cui dalle 19 alle 24 ci sarà una veglia in Piazza San Pietro «in preghiera e in spirito di penitenza» - è stata scelta, ha spiegato, perché quel giorno è «la vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace». E l'annuncio della giornata di digiuno, ha  ricordato Papa Francesco, è stato dato il 1° settembre, sessantesimo anniversario della miracolosa lacrimazione della Madonna delle Lacrime di Siracusa, che avvenne fra il 29 agosto e il 1º settembre 1953.

«Il grido che sale da ogni parte della Terra - ha detto il Papa -, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall'unica grande famiglia che è l'umanità, con angoscia crescente, è il grido della pace». La Chiesa chiede che «in questa nostra società dilaniata da divisioni e da conflitti scoppi la pace, mai più la guerra». Se la pace è un tema di predicazione continuo e costante della Chiesa, oggi - ha confidato Francesco - «il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte appello per la pace, un appello che nasce dal l'intimo di me stesso. Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l'uso delle armi in quel martoriato Paese specialmente tra la popolazione civile e inerme». Quanti bambini, in particolare, sono vittima della guerra in Siria.

Attento a non pronunciare parole che possano sembrare appoggio all'una o all'altra parte, il Papa ha affermato: «Con particolare fermezza condanno l'uso delle armi chimiche. Ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi. C'è un giudizio di Dio, e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni, al quale non si può sfuggire».

Nello stesso tempo, è evidente nelle parole del Pontefice la contrarietà a ogni intervento che comporti una «escalation» nel conflitto siriano. «Non è mai l'uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza. Con tutta la mia forza chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi ma di guardare all'altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell'incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione».

Per la «comunità internazionale», ha aggiunto Francesco, è venuto il tempo di «iniziative  chiare», non più ambigue e confuse, che anzitutto assicurino all'assistenza umanitaria la possibilità di prestare la sua opera in Siria senza ostacoli, e quindi battano con idee e prospettive precise la strada di un serio negoziato.
La Chiesa, ha lasciato intendere il Papa, è all'opera con la sua diplomazia. Tuttavia l'impegno della Chiesa non è mai soltanto diplomatico. E, se la diplomazia coinvolge pochi, c'è uno sforzo per la pace che può e deve riguardare tutti i fedeli. Francesco ha citato il beato Giovanni XXIII (1881-1963), il quale nella sua enciclica «Pacem in terris» spiegava che «a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell'amore». A tutti, non solo ai politici e ai diplomatici. Dunque - è l'auspicio del Papa - «una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà».

Per questo il Pontefice ha deciso d'indire per il 7 settembre una giornata di digiuno «per tutta la Chiesa», che dovrebbe dunque essere osservata da tutti i cattolici e cui il Papa confida vogliano unirsi anche molti non cattolici e non cristiani. «L'umanità ha bisogno di vedere gesti di pace», e i cattolici possono rendersi visibili con una giornata di digiuno, preghiera e penitenza.

Una giornata mariana, che ricorda tanti inviti della Madonna anche nelle sue rivelazioni private - Francesco, come accennato, ha voluto lanciare il suo appello nel giorno del sessantesimo anniversario della manifestazione della Madonna delle Lacrime di Siracusa -, e una giornata in cui ricordare anche la testimonianza dei martiri perseguitati per la testimonianza resa alla giustizia e alla pace. Il Papa ha voluto ricordare - insieme a monsignor Antonio Franco (1585-1626), cappellano reale di Filippo III di Spagna (1578-1621) e poi vescovo a Santa Lucia del Mela, in Sicilia, che sarà beatificato il 2 settembre a Messina - la cerimonia di beatificazione del  31 agosto a Bucarest di Vladimir Ghika (1873-1954), che lo stesso Francesco ha proclamato martire.

Ghika, ultimo erede di una famiglia principesca romena, si convertì dall'ortodossia al cattolicesimo e a cinquant'anni fu ordinato sacerdote. Gli fu offerto a più riprese di lasciare la Romania, ma preferì rimanere sapendo che la sua intransigente resistenza a ogni tentativo di incorporare la Chiesa Cattolica in una Chiesa Ortodossa infeudata al regime comunista gli sarebbe costata la vita. Morì nel carcere di Jilava, tristemente famoso perché vi furono uccisi tanti oppositori del comunismo, dopo essere stato sottoposto ad atroci torture. Sono figure come il beato Ghika che mostrano come, alla fine, la testimonianza della Chiesa sconfigge i totalitarismi che non riescono a comprenderla, e prepara nella giustizia la vera pace.