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IL CASO

Don Corsi e la "caccia alle streghe"

E' bastato un post su una pagina Facebook a mettere fine alla carriera politica di un assessore di un paese della provincia di Treviso. La sua colpa? Aver provato a discutere il famoso volantino di don Piero Corsi, senza pregiudizi.

Articoli tematici 15_01_2013
Preganziol, in provincia di Treviso

«Io sto con don Corsi». Sono bastate cinque parole, un post sulla pagina Facebook “Chiesa cattolica”, a far finire una carriera politica. È accaduto a Simone Tronchin, assessore all’urbanistica, edilizia privata, viabilità e politiche giovanili a Preganziol, città di circa 17.000 abitanti in provincia di Treviso.
Lerici è a 400 chilometri, ma le polemiche legate al volantino affisso dal parroco sul portone della chiesa di San Terenzo («Le donne devono fare un esame di coscienza: provocano gli istinti con abiti succinti e vanno a cercare guai») evidentemente non sono così distanti.

«Non volevo assolutamente sposare le tesi di don Piero Corsi, che tra l’altro non conosco – racconta a La nuova bussola quotidiana l’ingegner Tronchin –. Si stava discutendo dell’occupazione della Chiesa da parte di un gruppo di femministe che, tra l’altro, aveva interrotto la Messa. E così mi sono schierato perché un conto è scrivere un manifesto discutibile, un conto è compiere atti di questo tipo. Sarò stato frettoloso, ma sono due cose molto diverse. Estrapolare la frase è volutamente fuorviante».

Quando si scatena un clima da “caccia alle streghe” però non c’è più spazio per i chiarimenti e per le smentite. Tra gli “amici” Facebook di Tronchin c’è una giornalista de La Tribuna di Treviso e così scoppia il caso. Tronchin chiarisce, scrive al Gazzettino di Treviso e spiega ai quattro venti che di giustificare il femminicidio non gli era mai nemmeno passato dall’anticamera del cervello, sottolineando anche alcuni passaggi del parroco che invece si potevano condividere.

Sembra finita, ma non è così. “Forte” di ben 150 firme raccolte su tutta la provincia (?) l’opposizione chiede la testa dell’assessore e preme sulla giunta azzurro-verde di Preganziol (al potere dal 2009, dopo 25 anni di dominio incontrastato del centrosinistra).
E così il sindaco leghista, Sergio Marton, chiede all’assessore pidiellino, già coordinatore locale del partito dai tempi di Forza Italia, il classico “passo indietro” per ragioni di opportunità politica. Sembra incredibile, ma all’origine di tutto c’è sempre e solo il post di cui parlavamo all’inizio, puntualmente smentito e chiarito.

Le logiche della piccola politica però si sono ormai messe in moto. Il centrosinistra sceglie la via della mozione di sfiducia e, dopo il primo rifiuto dell’assessore, Pdl e Lega tornano a chiedere a Tronchin di farsi da parte.
«Il mio rifiuto era categorico. Volevo che se ne discutesse, visto che la mozione era all’ordine del giorno. Volevo spiegare e chiarire, ancora una volta, il mio pensiero. Dopodiché sarei stato pronto a dimettermi in caso di un voto contro di me». Gli incontri e le telefonate si susseguono a ritmo frenetico. «Tanti, in privato, erano con me, ma non volevano esporsi pubblicamente per non mettere in difficoltà il partito».

A cinque minuti dal consiglio comunale però il messo comunica a Simone Tronchin che il sindaco gli ha revocato le deleghe. Il caso è chiuso, ma la delusione dell’ex assessore è tanta. «Non potevano chiedermi di rinunciare alla mia libertà e ai miei valori. Mi hanno deluso moltissimo le persone che avevo al mio fianco in politica e tanti “cattolici impegnati” che in questi giorni hanno provato a convincermi che ciò che abbiamo di più caro vada pensato, ma non detto, per non turbare gli altri. Non hanno capito che chi nega la propria identità non può ergersi a difensore di nulla. E non può nemmeno lottare contro chi giustifica il femminicidio…».