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LE GIRAVOLTE DI PAGLIA

Dovevamo tacere mentre uccidevano un uomo?

Il vescovo Paglia parla di “esasperato conflitto” e “logorante polemica”. Ma cosa avrebbero dovuto fare i genitori di Vincent? Stare a guardare mentre gli ammazzavano il figlio per non urtare le lerce coscienze di giudici, medici e familiari che lo volevano morto? Una risposta all'inconcepibile commento del presidente della Pontifica Accademia per la Vita.

Editoriali 12_07_2019

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia per la Vita (Pav), interviene dalle pagine di Famiglia Cristiana sul caso Lambert. Mons Paglia descrive in sintesi la vicenda giudiziaria che ha coinvolto il paziente francese e sottolinea che questa vicenda ha assunto complessi risvolti sociali, politici e massmediatici. “Tutto ciò - scrive il Nostro - rende molto delicata l’elaborazione di un giudizio etico, anche perché le informazioni cliniche sono assai complesse e non direttamente accessibili in tutti i loro dettagli”. Ecco un primo inciampo. Dunque, ogni giudizio morale riguarda un fatto. Per giudicare correttamente occorre, tra le altre cose, conoscere esattamente i fatti. Nel caso Lambert i fatti vengono narrati da tutti nello stesso modo, sia da parte di coloro che lo volevano morto, sia da parte di coloro che si opponevano alla sua uccisione: si trattava di un paziente fortemente disabile che per vivere, come tutti noi, necessitava di acqua e cibo. Quindi il quadro clinico era chiaro, non complesso come afferma Mons Paglia, ed è stato chiaro a tutti. 

Ciò su cui c’era divergenza era il giudizio morale sul quadro clinico. Per alcuni idratazione e nutrizione assistita rappresentavano mezzi terapeutici sproporzionati perché, secondo costoro, tenere in vita un paziente disabile era accanimento terapeutico; per altri idratazione e nutrizione assistita erano mezzi di sostentamento proporzionati al loro scopo perché tenevano in vita il paziente. Per i primi esiste una soglia della qualità della vita al di sotto della quale per la persona non è più degno vivere e dunque è lecito ucciderla; per i secondi non è mai moralmente lecito assassinare un innocente, al di là delle sue condizioni fisiche. Dunque Mons Paglia non doveva dire che è delicato, difficile e complesso esprimere un giudizio etico, bensì che, ancora vivente Lambert, non era eticamente lecito ucciderlo. Questo era il giudizio etico che ci saremmo aspettati che venisse pronunciato dal Presidente dell’Accademia per la Vita, l’accademia che a livello mondiale dovrebbe tutelare la vita umana innocente senza se e senza ma. Ci saremmo aspettati un parlare franco e schietto, senza infingimenti e obliquità, vista la posta in gioco.

Mons Paglia così prosegue: “Il doloroso conflitto familiare circa l’ipotesi di sospendere alimentazione e idratazione artificiali, essendo precluso l’accesso alla volontà del paziente – elemento indispensabile per la valutazione della proporzionalità delle cure –, ha condotto a una situazione di stallo che dura ormai da anni”. Due rilievi critici. Primo: Lambert, anche relativamente al dolore, era paziente responsivo, seppur non pienamente, e ci sono anche i video a testimoniarlo, quindi è falso affermare che era “precluso l’accesso alla volontà del paziente”. Secondo: il riscontro del paziente nella valutazione relativa alla proporzionalità delle cure è elemento importante, ma non sempre necessario. Se io sottopongo a radioterapia total body un paziente terminale di cancro che presenta metastasi multiorgano, questo intervento il più delle volte configurerà accanimento terapeutico e non servirà di certo raccogliere il parere del paziente per rendersene conto, anzi costui nella maggioranza dei casi non sarà nemmeno in grado di esprimere un giudizio competente a tal riguardo. Il feedback del paziente è indispensabile in alcuni casi, ad esempio quando gli interventi sono dolorosi e il paziente è responsivo. Ma laddove il paziente fosse impossibilitato a comunicare, si tenterà di valutare il livello di sofferenza con altri parametri e dunque, anche con paziente completamente incosciente, si potrà giungere a comprendere se una certa terapia fa soffrire inutilmente il malato.

In realtà il passaggio dell’articolo di Mons. Paglia appena citato si incardina proprio su questo punto: dato che Lambert non ci poteva dire se alimentazione e idratazione erano per lui eccessivamente gravose, cioè dolorose, allora sospendiamo il giudizio. Ma innanzitutto Lambert, cartella clinica alla mano che registrava le sue reazioni, non soffriva a causa di questi mezzi di sostentamento vitali che nel suo caso prendono il nome di peg (Gastrostomia Endoscopica Percutanea), ossia un ago-cannula, posizionato nella parete addominale, che lo alimentava e lo idratava costantemente. Ha sofferto invece in modo atroce quando è lentamente morto per fame e per sete. In secondo luogo anche ammesso e non concesso che ci sia stata sofferenza, tale effetto negativo veniva certamente superato dall’effetto assai maggiore di carattere positivo dato dal vivere, dal non morire. Cosa facciamo? Non sottoponiamo più a chemioterapia nessun paziente oncologico per gli sgradevoli e spesso pesanti effetti collaterali di questa terapia?

Proseguiamo con l’articolo di Paglia: “Il ricorso alle vie legali ha irrigidito ed esasperato il conflitto. […] In questa lunga e logorante polemica, la contrapposizione ha invaso la sfera pubblica, con ampie risonanze mediatiche, prendendo la fisionomia di una battaglia tra chi è favorevole e chi è contrario all’eutanasia. […] Davanti a queste drammatiche lacerazioni, si tratta di assumere anzitutto un atteggiamento di raccoglimento e di preghiera vicendevole, perché si possano trovare vie di comunicazione che favoriscano la riconciliazione più che la controversia, sul piano familiare e sociale”. D’accordo sul fatto che è meglio far l’amore che far la guerra, a patto che gli altri vogliano far l’amore, perché se invece vogliono uccidere un disabile è giusto, come extrema ratio, fare la guerra, è giusto salire sulle barricate, è giusto con la forza opporsi ad un assassinio. Si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace, preparati alla guerra, recita un vecchio brocardo latino. La pace può essere sì scopo finale di ogni nostro impegno, ma a volte la pace non si ottiene solo con il dialogo zuccheroso e i buoni sentimenti da ape Maia, bensì battagliando, scontrandosi, ferendosi, dividendosi. Cosa avrebbero dovuto fare i genitori di Vincent? Stare a guardare mentre gli ammazzavano il figlio? E tutto questo per non urtare le lerce coscienze di giudici, medici e familiari che lo volevano morto? I pacifisti ad oltranza si augurino che nessun malvivente possa mai puntare una pistola alla loro tempia o alla tempia dei loro cari, perché queste loro graziose teorie sulla pace, per niente cattoliche, evaporerebbero in un battito di ciglia.

Infine Mons Paglia auspica quanto segue: “Dovremmo inoltre evitare di affidare la soluzione solo a un gesto tecnico o giuridico per cercare insieme un accordo più ampio possibile”. Ecco l’etica convenzionale, partecipata e condivisa, i principi negoziabili, la verità morale decisa per alzata di mano, il collettivismo etico, la morale democratica, i valori a contratto. Altro che assoluti morali, azioni intrinsecamente malvagie, doveri negativi assoluti. Tutta roba buona solo per la vecchia Pav.