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GIORNO DEI DEFUNTI

Duruflé, un Requiem per una morte cristiana

Il Requiem di Maurice Duruflé, compositore francese del Novecento. Il canto gregoriano pervade quest'opera, non soltanto come ispirazione, ma come materiale melodico e ritmico, che Duruflé fa diventare l'anima della composizione.

Ecclesia 02_11_2020
Maurice Duruflé

Il mese di novembre, è il mese in cui abbiamo particolare attenzione per i nostri morti. Certamente il ricordo di coloro che ci hanno lasciato ci deve accompagnare per tutta la nostra vita, ma a novembre, vista anche la celebrazione liturgica del 2 novembre per mese, questa attenzione è più focalizzata, come accade a ottobre e a maggio per la beata vergine Maria. 

La liturgia dei defunti, è stata di grande ispirazione per i musicisti di tutte le epoche. Alcuni dei grandi capolavori della musica sacra sono proprio stati composti per la liturgia dei defunti, pensiamo ai tanti Requiem che hanno aggiornato le celebrazioni liturgiche nei secoli passati. Si potrebbero fare nomi di tanti compositori i cui Requiem ancora oggi sono molto popolari, purtroppo quasi sempre in sede di concerto e non più nella celebrazione liturgica, loro posto naturale. C’è da dire anche, per essere accurati, che in effetti alcuni di questi Requiem sono stati composti con in mente una destinazione più concertistica che liturgica, ma questo certamente non vale per tutti. È anche vero che la liturgia Tridentina permetteva alla musica un posto e un ruolo che si è perso molto nei decenni recenti, specialmente con alcune interpretazioni che riguardano la liturgia rinnovata.

Parlando di Requiem, penso a quello di Maurice Duruflé (1902-1986), compositore francese conosciuto per i suoi lavori per organo ma anche per tanta musica vocale di grande qualità e di scrittura raffinata. Vari studiosi (ad esempio Vincent Rone, 2018: Vatican II, Maurice Duruflé, and the Harmony of Resignation in Notre père - Part Two, Journal of Musicological Research, 37:2), hanno notato come Duruflé, come altri compositori della sua epoca, abbia sofferto l’allontanamento della Chiesa cattolica dal suo repertorio d’elezione, il canto gregoriano. Questo nel compositore francese di cui stiamo parlando è evidente, visto che il canto gregoriano pervade la sua opera non soltanto come una lontana ispirazione ma come materiale melodico e ritmico che egli inserisce nella composizione facendolo divenire l’anima della stessa, la scaturigine da cui l’armonia e il contrappunto prendono poi il via. Questo lo vediamo in azione anche nel Requiem di cui stiamo parlando, un Requiem basato sulle melodie gregoriane della Messa da Requiem, melodie che donano una profonda serenità a questa composizione.

Un articolo di Andrea Milanesi così descrive in breve questa composizione: “Duruflé ha attinto dall'antico repertorio gregoriano gli spunti tematici su cui sovrapporre le istanze della sua moderna visione artistica ed estetica, qui applicata al tradizionale impianto della liturgia per i defunti. Il suo Requiem viene così apparentemente proiettato nel presente, tra le incalzanti progressioni del Domine Jesu Christe, i crescendi del Sanctus, gli scenari apocalittici appena accennati nella scena del Giudizio universale all'interno del Libera me, prima che arrivi l'antifona finale In Paradisum a spazzare via ogni nube funesta dall'orizzonte dell'estremo commiato: la degna conclusione con cui il compositore francese accompagna con delicatezza l'ingresso delle anime nella Gerusalemme celeste“ (Avvenire). Insomma, la serenità cristiana non è un’atmosfera new age, non è un mondo dove la sofferenza non esiste. In questo Requiem si richiama alla speranza annunciata nel cristianesimo ma anche si tiene presente il momento straordinario che la morte rappresenta per ognuno di noi, un momento di passaggio che non elimina la sofferenza, la mancanza, il rimpianto, anche la paura e il timore, tutti a rincorrersi nell’animo dei fedeli e di tutti gli uomini di buona volontà.

Sembra importante sottolineare il ruolo che il canto gregoriano ha nelle composizioni del compositore francese. Questo ci fa capire che si può essere fedeli alla tradizione pur volendo essere moderni. Infatti la sua armonia e il suo contrappunto sono certamente debitori della scuola francese di inizio novecento, pensiamo Claude Debussy e Maurice Ravel, ma anche a tutta la grande scuola organistica francese. Proprio il Requiem di cui stiamo parlando ci richiama al canto gregoriano come canto virile, non come un “vago pigolio“ come alcuni vorrebbero farci credere. Il canto gregoriano è fatto di prostrazione ma anche di forza.

Il grande Blaise Pascal diceva nei suoi Pensieri: “L’immortalità dell’anima è una cosa che c’importa talmente, e che ci tocca così profondamente, che bisogna aver perduto ogni sentimento per essere indifferenti a sapere di che cosa si tratta. Tutte le nostre azioni e i nostri pensieri devono prendere direzioni così diverse, a seconda che ci sia da sperare nei beni eterni oppure no, che è impossibile fare un solo passo con buon senso e giudizio, se non regolandolo sulla visione di questo punto, che deve rappresentare il nostro oggetto supremo”. Quindi, il momento della fine terrena è in fondo il culmine di tutta la nostra vita. Ho sempre pensato, quando vado ad un funerale, che la persona per cui in quel momento si prega ha ora la sapienza più grande di tutte, in quanto ha passato quella soglia in cui gli viene manifestato in pienezza quello che su questa terra aveva soltanto sperato.