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UNIONE EUROPEA

E Brexit fu: il Regno Unito esce dall'Ue senza tragedie

Editoriali 27_12_2020
La Brexit nella campagna elettorale di Johnson

E Brexit fu. Il 24 dicembre, proprio alla vigilia di Natale, il governo Johnson ha ottenuto un accordo di “divorzio” dal Mercato comune europeo con i negoziatori dell’Ue. Dal 31 dicembre, il Regno Unito sarà fuori dall’Unione anche economicamente, ma con un accordo di libero scambio già pronto che, se ratificato dai due parlamenti, eviterà contraccolpi gravi a comuni cittadini e operatori economici.

L’ultima tappa del processo, iniziato con il referendum del giugno 2016, è anche l’ultima smentita, in ordine di tempo, di tutte le fosche previsioni sulla Brexit sentite negli ultimi quattro anni. Solo per citare quelle dell’ultimo anno, era opinione comune che con Boris Johnson, eletto con una maggioranza chiara in Parlamento, il negoziato con Bruxelles sarebbe stato molto più difficile. Invece, nonostante la gravissima “distrazione” del Covid in tutto il vecchio continente e alcune fasi difficili della trattativa (sull’Irlanda del Nord e la pesca, soprattutto), il Regno Unito è riuscito ad ottenere tutte le condizioni principali che chiedeva all’Ue per un trattato di libero scambio, realizzando la promessa fatta agli elettori nel 2016 e poi rinnovata dal governo Johnson.

Il Regno Unito avrà, insomma, la possibilità di darsi le sue regole di mercato e di non dipendere più dal giudizio della Corte Europea, con l’unica eccezione dell’Irlanda del Nord che rimarrà ancora (ma temporaneamente) nel mercato comune. Non ci sarà, per il futuro, alcun meccanismo di sincronizzazione delle regole e degli standard fra mercato europeo e mercato britannico, le sanzioni rimarranno un’opzione aperta per chi si sentisse danneggiato, le dispute verranno risolte da un arbitrato, ma sempre nell’ottica del libero scambio.

La Brexit è stata descritta sempre dalla stampa europea come una sorta di calamità. “La solitudine dei britannici mi crea disagio e tristezza. Chissà se avranno capito la lezione”, scriveva Castagnetti ancora lo scorso 22 dicembre, del Pd e già segretario del Partito Popolare. Di isolamento, traslochi di aziende, perdite miliardarie, tantomeno di cibi che scarseggiano non c’è manco l’ombra. A meno di non voler attribuire le lunghissime code dei camion sulle strade che portano all’Eurotunnel (Inghilterra-Francia) agli effetti della Brexit: sono causate dal blocco della frontiera dovuto alla scoperta della nuova variante di coronavirus. Un blocco, per altro, le cui tempistiche sono sospette, considerando che sono state decretate al culmine del braccio di ferro tra Francia e Regno Unito sui limiti alla pesca nelle acque britanniche. In compenso non c’è stato alcuno svantaggio strategico del Regno Unito nella lotta all’epidemia, anzi il governo di Londra è stato il primo in Europa a lanciare la campagna vaccinale.

Ancora adesso, ad accordi conclusi, viene spesso commentata la notizia della fine del programma Erasmus con le università britanniche come sintomo grave di isolamento, persino di xenofobia. Ma dimenticando che Erasmus è solo una delle tante dimensioni dello scambio e che il programma che sta subentrandogli nel Regno Unito, il sistema Turing, permetterà, almeno nel suo intento, scambi in tutto il mondo e non nella sola Europa. Non verranno cacciati i cittadini europei dal Regno Unito. Viaggiare da e per le isole britanniche sarà ancora facile, le restrizioni sono impercettibili per l’uomo comune.

Qual è il messaggio universale lanciato dalla Brexit, al netto di tutta la retorica e la propaganda di questi quattro anni? La centralizzazione dell'Unione Europea non è un processo storico irreversibile. Non è un dogma. Non è un idolo. Uscirne è possibile senza incorrere in pericoli di guerre o collasso economico. D’altra parte, in molti casi concreti, come quelli di Polonia e Ungheria negli ultimi anni, abbiamo visto quanto il principio di autonomia degli Stati membri sia scavalcato arbitrariamente dalle istituzioni comunitarie, con ogni possibile pretesto. Il Green New Deal di ispirazione ecologista è un programma ideologico comune che aumenterà l’arbitrio delle istituzioni comunitarie, lasciando ancor meno margine all’indipendenza degli Stati membri. Anche i “nuovi diritti”, dietro il paravento della parità di genere, sono considerati sempre più fondamentali e sempre meno appannaggio dei singoli Stati membri. In compenso, su immigrazione, politica estera comune e gestione delle crisi economiche (e sanitarie) l’Ue procede in ordine sparso, dove invece sarebbe necessario un maggior coordinamento. Queste sono le grandi contraddizioni che la Brexit potrebbe contribuire a risolvere, se non altro perché suona come un campanello di allarme E la risposta non è “ci vuole più Europa”.