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MAGISTERO

Economia, nessuna soluzione senza la Chiesa

Mater et Magistra offre l'occasione per riscoprire Giovanni XXIII. Condanna dello statalismo e sottolineatura della centralità della proprietà privata. E sugli aiuti internazionali denuncia il tentativo di condizionarli al controllo delle nascite.

Ecclesia 09_06_2013
Giovanni XXIII firma l'enciclica

Il 3 giugno 2013, cinquantenario della morte del beato Giovanni XXIII (1881-1963), Papa Francesco ha invitato a leggere i documenti di Papa Roncalli per conoscere il suo vero Magistero, spesso diverso dai miti diffusi ad arte sul «Papa buono». In questo «anno del beato Giovanni XXIII» il nostro quotidiano ha già proposto una lettura dell’enciclica «Pacem in terris» dell’11 aprile 1963, in occasione del cinquantenario. L’altro documento fondamentale del beato è l’enciclica «Mater et magistra» del 15 maggio 1961. Anche di questo testo vogliamo oggi proporre i temi fondamentali.

Il titolo, «Mater et magistra», si riferisce alla Chiesa, «madre e maestra di tutte le genti», che ha sulla terra un duplice compito: in primo luogo «santificare le anime», ma anche – in secondo luogo - «preoccuparsi delle esigenze terrene dei popoli» mostrando, con la sua dottrina sociale, quali siano gli ordinamenti più conformi alla dignità della persona umana e al suo destino eterno. Per una parte della dottrina sociale, quella socio-economica – una parte, perché esiste anche la dottrina socio-politica –, documento particolarmente importante è l’enciclica di Leone XIII (1810-1903) «Rerum novarum» del 1891, di cui il beato Giovanni XXIII con la «Mater et magistra» celebra il settantesimo anniversario.

Nella prima parte dell’enciclica il beato ripercorre la storia della dottrina socio-economica della Chiesa da Leone XIII al venerabile Pio XII (1876-1958); nella seconda parte riprende alcuni temi fondamentali della «Rerum novarum»; nella terza esamina alcuni aspetti nuovi della «questione sociale»; nella quarta, infine, ritorna sulla natura e sulla funzione della dottrina sociale della Chiesa.

Prima parte: la storia. La moderna dottrina socio-economica della Chiesa è nata, scrive Papa Roncalli, alla fine dell’Ottocento, in un’epoca in cui sia il liberalismo dominante, sia le «teorie estremiste» che vi si contrapponevano e «proponevano rimedi peggiori dei mali» – cioè le teorie socialiste – condividevano «una concezione naturalistica che negava ogni rapporto tra morale ed economia». Leone XIII voleva anzitutto ribadire che anche in campo economico «non è possibile, trovare soluzione che valga, senza ricorrere alla religione e alla Chiesa». Applicando questo principio all’economia, Leone XIII insegnava che «operai ed imprenditori devono regolare i loro rapporti ispirandosi al principio della solidarietà umana e della fratellanza cristiana; giacché tanto la concorrenza in senso liberistico, quanto la lotta di classe in senso marxistico, sono contro natura e contrarie alla concezione cristiana della vita».

Un successivo passaggio storico messo in luce dal beato Giovanni XXIII è l’enciclica di Pio XI (1857-1939) «Quadragesimo anno» del 1931, scritta per i quarant’anni della «Rerum novarum». Pio XI «riafferma il carattere di diritto naturale» della proprietà privata, di cui pure sottolinea la funzione sociale, e – in un’epoca caratterizzata dalla forte propaganda comunista in tutto il mondo – ribadisce che «tra comunismo e cristianesimo l’opposizione è radicale» e precisa che «non è da ammettersi [neppure] in alcun modo che i cattolici aderiscano al socialismo moderato», insegnamenti che il beato Giovanni XXIII conferma e fa propri.
Inoltre Pio XI denuncia un «imperialismo internazionale del denaro», che provoca crisi economiche, contro il quale propone come antidoto «il reinserimento del mondo economico nell’ordine morale». Pio XI scriveva due anni dopo la grande crisi del 1929, e le sue parole come si vede sono molto simili a quelle di Benedetto XVI dopo la crisi iniziata nel 2008.

Terzo passaggio sottolineato dal beato Giovanni XXIII: il cinquantesimo della «Rerum novarum» celebrato dal venerabile Pio XII con il radiomessaggio di Pentecoste 1941. Un messaggio centrato sulla famiglia, che ha bisogno della proprietà privata come suo spazio vitale per resistere all’invadenza dello Stato.

La seconda parte della «Mater et magistra» si chiede che cosa è ancora vivo e vitale della «Rerum novarum» dopo settant’anni. Il beato Giovanni XXIII sottolinea due temi: il primo è il fenomeno della «socializzazione», che non va confuso con il socialismo ma è il «progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza» in una società che si fa sempre più strutturata e complessa. Il fenomeno ha i suoi vantaggi ma ha anche «riflessi negativi» se favorisce lo statalismo, posto che «il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli» e che l’azione dei poteri pubblici «deve ispirarsi al principio di sussidiarietà», secondo cui lo Stato deve intervenire solo quando i privati e i corpi intermedi non ce la fanno a fare da soli. «Dev’essere sempre riaffermato il principio che la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile».

L’altro tema è quello del «diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi» che, sottolinea Papa Roncalli, «ha valore permanente, perché è un diritto naturale fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società». Del resto, «storia ed esperienza attestano che nei regimi politici, che non riconoscono il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi sono compresse e soffocate le fondamentali espressioni della libertà». La proprietà privata è «garanzia dell’essenziale libertà della persona e al tempo stesso un elemento non sostituibile dell’ordine della società».

La Chiesa, quindi – Papa Giovanni lo scriveva in piena Guerra fredda – difende «il carattere naturale del diritto di proprietà privata anche sui beni produttivi». Al tempo stesso, ne propugna «l’effettiva diffusione fra tutte le classi sociali» e ne sottolinea la «funzione sociale». Gli Stati, quando è davvero necessario, «possono legittimamente possedere in proprietà beni strumentali»; ma solo «quando lo esigono motivi di evidente e vera necessità di bene comune, e non allo scopo di ridurre e tanto meno di eliminare la proprietà privata».

Nella terza parte dell’enciclica, il beato Giovanni XXIII si chiede quali problemi sono nuovi nel 1961 rispetto ai tempi di Leone XIII. Il primo problema che identifica è il sottosviluppo dell’agricoltura rispetto all’industria. La Chiesa, nota il beato, è da sempre particolarmente sensibile ai problemi degli agricoltori, che svolgono un lavoro «ricco di richiami a Dio Creatore, a diretto contatto con la terra e con la vita: un lavoro che va concepito e vissuto come una vocazione e come una missione». Oltre a chiarire che i lavoratori della terra dovranno essere e sentirsi non tanto oggetto di provvidenze dello Stato, ma soggetti e protagonisti del miglioramento delle loro condizioni, anche unendosi in associazioni e cooperative, il Papa richiede misure a favore dell’agricoltura, in particolare sgravi tributari per un settore dove «i redditi si formano con più lentezza e sono esposti a maggiori rischi nella loro formazione», e una politica del credito dove si tenga conto che «l’agricoltura non può corrispondere alti interessi» alle banche.

Il secondo problema nuovo del 1961 è la sofferenza dei Paesi detti «in via di sviluppo», i quali scoprono che la fine del colonialismo li precipita spesso in crisi economiche spaventose. Papa Giovanni detta linee guida per gli aiuti internazionali, che – se talora devono forzatamente risolvere le emergenze – nel lungo periodo devono essere rivolti a fare acquisire agli abitanti dei Paesi in via di sviluppo le capacità tecniche, scientifiche e professionali per aiutarsi da soli e costruire essi stessi il proprio sviluppo.

Il Papa inoltre denuncia – già allora – «un’insidia dissolvitrice tra le più deleterie nell’opera che i popoli economicamente sviluppati prestano ai popoli in fase di sviluppo economico»: e cioè il ricatto che subordina gli aiuti all’adozione di politiche abortive e di controllo delle nascite «facendo ricorso a metodi e a mezzi che sono indegni dell’uomo e che trovano la loro spiegazione soltanto in una concezione prettamente materialista dell’uomo stesso e della sua vita». Dove vi sono veri problemi di sovrappopolazione – ma, nota il Pontefice, dati e numeri sono spesso esagerati per ragioni ideologiche – vanno risolti con uno sviluppo delle risorse e della produzione, posto che «i progressi già realizzati dalle scienze e dalle tecniche aprono su questa via orizzonti sconfinati», piuttosto che con la violazione delle «leggi inviolabili e immutabili di Dio» con cui «si offende la Divina Maestà, si degrada se stessi e l’umanità e si svigorisce altresì la stessa comunità di cui si è membri».

La quarta parte della «Mater et magistra» riguarda il ruolo della dottrina sociale della Chiesa. «L’errore più radicale nell’epoca moderna», spiega il beato, consiste nel «ritenere l’esigenza religiosa dello spirito umano come espressione del sentimento o della fantasia», così che non avrebbe nulla da dire in campo politico ed economico. Al contrario, politica ed economia richiedono un «ordine morale». Ma «l’ordine morale non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra». Si tratta di una verità sgradita a molti, ma che Papa Giovanni ribadisce con vigore: «L’uomo staccato da Dio diventa disumano con se stesso e con i suoi simili» e «l’aspetto più sinistramente tipico dell’epoca moderna sta nell’assurdo tentativo di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo prescindendo da Dio, unico fondamento sul quale soltanto può reggere». E così la modernità – il beato cita il radiomessaggio per il Natale 1953 del suo predecessore, il venerabile Pio XII – ha compiuto il «suo mostruoso capolavoro nel trasformare l’uomo in un gigante del mondo fisico a spese del suo spirito, ridotto a pigmeo nel mondo soprannaturale ed eterno».

«La dottrina sociale cristiana – si tratta di una delle più celebri affermazioni dell’enciclica – è parte integrante della concezione cristiana della vita». E’ quindi «indispensabile» che i cattolici la conoscano. Papa Giovanni esorta «ad estenderne l’insegnamento con corsi ordinari e in forma sistematica a tutti i seminari e a tutte le scuole cattoliche di ogni grado. Va inoltre inserita nei programmi di istruzione religiosa delle parrocchie e delle associazioni dell’apostolato dei laici; va diffusa con i mezzi espressivi moderni: stampa quotidiana e periodica, pubblicazioni a carattere divulgativo e di natura scientifica, radio e televisione». Alla domanda se nei cinquant’anni successivi alla «Mater et magistra» questo sia avvenuto, il lettore potrà facilmente rispondere da solo. Senza cadere nello scoraggiamento, però. La «Mater et magistra» conclude che «la nostra epoca è percorsa e penetrata da errori radicali, è straziata e sconvolta da disordini profondi; però è pure un’epoca nella quale si aprono allo slancio della Chiesa possibilità immense di bene».