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INTERVISTA A SEIFERT

Europa, quale speranza? Solo con una rinascita religiosa

"L'Europa è minacciata da un disastro di disperazione. Finché l'uomo pagherà quella che Madre Teresa ha definito la guerra più sanguinosa contro gli esseri umani più indifesi, l'Europa non può realizzare la speranza alla quale siamo legati. Il risveglio della vera Europa e della buona speranza richiede una rinascita religiosa. Mettere tutta la nostra speranza nell'ingegno umano e nel potere è illusorio, è una sorta di “maledetta speranza”. Intervista al filoso Josef Seifert alla vigilia del Congresso Internazionale della Società Europea di Filosofia di Varsavia. 

Attualità 17_10_2018

Da domani a sabato presso l'Università Cardinal Wyszyński di Varsavia, si terrà il secondo Congresso Internazionale della Società Europea di Filosofia morale (European Society for Moral Philosophy). Sono una trentina i relatori, provenienti da diverse università del mondo. Il tema scelto per quest'anno è la speranza. Tra questi vi è Josef Seifert cui la Nuova BQ ha rivolto alcune domande.

Quale ritiene essere oggi il pensiero europeo? Quale cioè la proposta culturale dell'Europa?
Temo che non ci sia “una sola proposta culturale europea” o “un solo pensiero europeo”, e dovremmo distinguere tra il bene e il male, le basi marce e sane della speranza per l'Europa. In questo momento, in cui l'Europa è minacciata da un disastro di disperazione. Finché l'Europa e il mondo intero pagherà quella che Madre Teresa ha definito la guerra più crudele e sanguinosa contro gli esseri umani più indifesi, che sono troppo vecchi o troppo giovani per difendersi, l'Europa non può realizzare la speranza alla quale siamo legati. La speranza dell'Europa deve essere vera speranza, basata sulla verità e sulla giustizia, non sulle illusioni di costruire un presente e un futuro sorridente ma marci al loro interno. Dove la speranza per il futuro dell'Europa non è del tutto morente o morta, la speranza autentica è troppo spesso sostituita da ideologie a buon mercato e superficiali, e da una nozione di “speranza” a buon mercato e indegna.

Lei interverrà con una lezione dal tema “La speranza è moralmente buona?”. Quale la sua tesi?
Non ogni tipo di speranza è buona, figuriamoci moralmente buona. Molte persone nutrono la speranza di realizzare rapidamente una falsa Europa e un mondo falso. Solo se la speranza si basa su valori autentici e veri, è buona. La speranza del terrorista di rovesciare un buon governo non è buona; la speranza di avere successo attraverso disastrose riforme educative in cui si perde il vero patrimonio dell'Europa e dell'umanità e le scuole diventano strumenti di stupidità, immoralità, e ideologia, non è buona. La speranza inizia laddove il nostro potere di realizzare il bene finisce. E questa speranza deve essere ragionevole per essere desiderabile, e quindi deve essere diretta ad altre persone da cui dipende la realizzazione delle nostre buone aspirazioni. Così, il risveglio della vera Europa e della buona speranza richiede anche una rinascita religiosa e il fondamento della nostra speranza. Mettere tutta la nostra speranza nell'ingegno umano, nella buona volontà, nel potere è illusorio e persino una sorta di “maledetta speranza”.

Nel 2017 è apparsa la sua pubblicazione The Moral Action: What is it and How is it Motivated?. Sinteticamente che cosa è dunque un'azione morale e che cosa la motiva?
In questo libro difendo una visione di bontà morale che supera l'etica utilitaristica che considera il valore degli atti umani esclusivamente secondo i suoi effetti, ma anche contro le visioni edoniste ed eudemoniste della morale, che cercano esclusivamente o solo, o almeno primariamente, di raggiungere il nostro piacere e la nostra felicità. La vera virtù morale, così come il vero amore, è impossibile senza voler realizzare ciò che è intrinsecamente buono in sé, come il vero amore è impossibile senza l'autodonazione e l'affermazione di altre persone per il proprio bene. Un'etica del bene intrinseco che è bene sempre e in tutte le situazioni abbandona anche il malvagio principio machiavellico della vita privata e pubblica che il fine buono giustifica i mezzi malvagi. Una simile “etica non-etica” consequenzialistica minaccia l'umanità e il pensiero teologico morale di molti.

Per il 2019 è invece attesa l'uscita del libro scritto da Lei assieme al professor John Finnis Christian Philosophy and Free Will. Riesce a darci una anticipazione anche di questo scritto?
Il libro è stato preceduto da una relazione tenuta in Cile presso la Fondazione di una Società cilena di Filosofia Cristiana. In essa distinguo molti cattivi significati di “Filosofia cristiana” che abbandonano l'autentica conoscenza filosofica razionale e la sostituiscono con un fideismo, cioè una sorta di fides sine ratio (senza ragione) che non è nemmeno possibile. Altri cattivi significati della “filosofia cristiana” si basano su un razionalismo complicato che assorbe completamente il cristianesimo in un'interpretazione che non ha nulla a che vedere con la fede cristiana. Quando Hegel chiamò la sua filosofia “cristiana”, nascose sotto a questa parola che suona bene una totale svolta dei dogmi cristiani e della fede. Tuttavia, oltre a respingere diverse cattive nozioni di “filosofia cristiana”, difendo molte relazioni positive tra fede cristiana e filosofia. San Bonaventura trovò la meravigliosa immagine di uno dei buoni sensi della filosofia cristiana: l'immagine delle due luci. Se una volta hai visto il mondo alla luce del sole, ne vedrai anche molto di più alla luce molto più debole della luna e delle stelle di notte. Così, una volta che la stessa realtà è stata illuminata dalla rivelazione divina, ne vedrai anche molto di più con la ragione umana.

Il convegno si terrà presso l'Università Cardinal Wyszyński, il cui motto è “Soli Deo” e la cui aula magna è dedicata a San Giovanni Paolo II. Lei ne è stato uno stretto collaboratore e un caro amico, quale è il maggiore insegnamento che ancora si porta custodito nel petto?
A Varsavia intendo presentare una breve relazione tematica e sistematica sulla speranza, non solo quindi di taglio storico. Vorrei mostrare che, sulle orme di Sant'Anselmo di Canterbury, Karol Wojtyìa ha introdotto una novità rivoluzionaria nella filosofia e nella teologia della speranza, una novità di dimensioni tali che né lui né Papa Benedetto né i suoi seguaci della filosofia mondiale hanno ancora realizzato. La speranza è sempre stata legata, nelle filosofie passate, alla nostra felicità suprema e alla nostra realizzazione. Karol Wojtyìa, al contrario, ha sottolineato che se amiamo, non possiamo sperare meno per il bene del nostro amato che il nostro, tanto che la speranza è interamente permeata dall'amore e si estende anche alla felicità degli altri. Sant'Anselmo aveva detto, allo stesso modo, che in cielo non gioiremo meno della benedizione di altre persone che della nostra, così che ad ogni entrata di un benedetto in cielo la nostra gioia sarà raddoppiata e moltiplicata in modo tale che la moltiplicazione esponenziale della felicità non avrà limiti e unirà perfettamente l'amorevole auto-donazione e la felicità. Egli aggiunge che ogni anima in cielo sarà infinitamente più felice di sperimentare l'infinita benedizione di Dio che vivere la propria benedizione. Una relazione simile a quella tra amore, benevolenza e felicità domina anche le relazioni tra amore e speranza.