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EUTANASIA

Feltri-Veronesi, ecco la coppia della "buona morte"

Prima con Francesca Pascale, fidanzata di Berlusconi, per iscriversi all'Arcigay e sponsorizzare i matrimoni omosex. Poi insieme con Umberto Veronesi, per sollecitare il Parlamento a discutere la proposta di legge popolare sull'eutanasia. A Vittorio Feltri piace proprio il gioco delle coppie. Anche quelle più strane.

Vita e bioetica 16_07_2014
Vittorio Feltri e Umberto Veronesi

Dio li fa e poi li accoppia o, detto più laicamente, chi si somiglia si piglia. La saggezza popolare ora trova il suo fondamento scientifico, come ci spiega sul Corriere della Sera Eduardo Boncinelli, illustre biologo e genetista: gli scienziati hanno scoperto che tra gli amici esiste spesso una vicinanza genetica, una somiglianza anche nel Dna. Grazie professore, ma già un po’ l’avevamo sospettato, soprattutto in queste ultime settimane dove la cronaca ci regala il sorgere di strane coppie e insospettabili innamoramenti. Colpa, forse, del Dna che mescola a suo buzzo umori, caratteri, affinità in apparenza diversi e distanti, fino a generare mostruose creature Frankenstein. E mica stiamo parlando dei soliti tronisti o starlette di mezza estate, vipponi, veline o altra ghiotta fauna per paparazzi spiaggiati. No, in questo stralunato gioco delle coppie, a  menare le danze sono autorevoli direttori di giornali, aspiranti first lady e affermati chirurghi in doppiopetto.

Capito a chi alludiamo? Bravo chi ha indovinato, agli altri diciamo che parliamo di Vittorio Feltri, Francesca  Pascale e Umberto Veronesi. Inutili le presentazioni, quel che già sapete basta e avanza. L’ex direttore, oggi opinionista del Giornale, è il minimo comun denominatore, il prezzemolo tornante, il terzo semper datur tra gli altri due: la fidanzata di Silvio Berlusconi e l’oncologo di chiarissima fama. Il primo colpo grosso l'ha messo a segno con l’iscrizione all’Arcigay, decisa tanto per fare un po’ di casino (dice lui) in una cena ad Arcore, con Silvio e Francesca attovagliati in serena compagnia. Vittorio, si sa, è un ottimo giornalista, ha fiuto per le notizie che “tirano”, è maestro nel venderle al pubblico. Buon senso, penna rapida e ficcante e poi cinismo a gogò: la sua ricetta è semplice. Però quando s'applica a temi diversi da quelli del Bar Sport o di qualsiasi talk show serale, il risultato non è altrettanto stupefacente. Ma tant'è: il pericolo è il suo mestiere, soprattutto quando s’arrischia a derapare sui problemi di scienza e coscienza con la sua benzina preferita: i danè. L'importante è vendere, non chiacchierare.

Eccolo dunque a trescare con lady Francesca per vendere ai media la foto taroccata della coppia più gay friendly d’Italia. Chi ci crede? Nessuno, ma per il direttore oggi un po’ in ombra e in debito d’ossigeno, è tutto grasso e titoli sui giornali che colano. Passa una settimana, ed eccolo riapparire insieme a una nuova dama, la stella indiscussa del medical system italiano, quell’Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto Europeo di oncologia e number one tra i chirurghi anticancro, ma che nei ritagli di tempo non disdegna di portare acqua alla causa della buona morte: assistita, indolore e su richiesta. I due si sono prestati a fare da testimonial e convinti supporter alla campagna dei radicali dal titolo che, dato il tema, suona comicamente macabro: “Il Parlamento si faccia vivo”. Vogliono costringere il Parlamento a mettere in calendario la proposta di legge popolare (70mila firme raccolte e presentate lo scorso settembre) per la legalizzazione dell’eutanasia e la regolamentazione del testamento biologico.

Dal matrimonio alla dolce morte: Feltri, come al solito, non si fa mancare niente. Sull’eutanasia ha sempre avuto chiarissime idee e una fifa blu. Lo esprime con una battuta che la dice lunga: «Nel futuro di noi tutti c’è una tomba. Già mi secca finirci dentro, ma andarci soffrendo mi pare addirittura surreale». Ma l’accanimento terapeutico già ora è bandito dalle cure, tuttavia, ribatte Feltri «i medici hanno bisogno che venga regolamentato altrimenti rischiano in proprio, denunce, processi e anche condanne. L'eutanasia deve intraprendere un percorso rigoroso e questo della proposta di legge lo è». Se no, a malati e sofferenti non resta che il suicidio. «Se uno è stanco di stare su questa terra», dice il compassionevole Vittorio, «non lo si deve costringere a gettarsi dalla finestra o a spararsi, ma sarebbe opportuno che le strutture sanitarie lo aiutassero, in forma civile e non cruenta, a troncare le proprie tribolazioni».

Ecco, ci risiamo con il solito giochetto della compassione che piace tanto ai  fans dell’eutanasia: i sucidi sono un problema sociale. Come superarlo? Legalizziamo l’eutanasia. Geniale. È come dire: i furti e gli omicidi sono un problema sociale. Come risolvere questo problema? Legalizziamoli. Feltri fa torto all’intelligenza quando si arrampica su simili argomenti. Il suo maestro, Indro Montanelli, quando parlava a favore dell’eutanasia lo faceva con tutt’altro stile. Veronesi non è iscritto all’Arcigay (almeno per ora) ma sul tema accetta di unirsi al direttore, rivela che oggi in molti ospedali i medici praticano “l’abbandono terapeutico”, lasciano cioè morire il paziente o gli somministrano dosi sempre più massicce di morfina fino a farlo crepare. Ma si tratta, «di una “mezza eutanasia”, e senza che nessuno chieda nulla al paziente». Meglio e più semplice, invece, «un’iniezione che, in modo indolore, porta alla morte. Una legge che regolamenti questa pratica è un segno del progresso e del livello di civiltà della società». Ragionamento poco sottile, che per nulla s’addice al teosofo Veronesi, ma senza dubbio efficace: una puntura al giorno toglie il medico di torno. 

Così non avremo drammi come quello del regista Mario Monicelli che, a 95 anni, si è buttato dalla finestra di un ospedale. «Un finale ignominioso per un uomo di cultura», ricorda Veronesi, «che ha finito la sua vita in una pozzanghera di sangue. Questa non è una forma di civiltà». Del resto, spiega l’oncologo, «fa rabbrividire che l'alternativa» per i malati terminali «sia il suicidio. Vuol dire che la sofferenza è stata tale da portare una persona a decidere in maniera meticolosa la sua morte. Va evitato questo tipo di suicidio, arrivando invece a una soluzione legittimata da una legge intelligente». Insomma, se l’eutanasia fosse legale non assisteremmo più a questo scempio. In fin dei conti a spingerlo giù nel vuoto sono state le nostre leggi che vietano il suicidio assistito. È la stessa grottesca manfrina che abbiamo sentito migliaia di volte a proposito dell’aborto: si deve dare la possibilità di uccidere il proprio figlio in sicurezza, senza drammi né traumi (per la madre). 

Chi se ne importa se qualcuno uccide o si uccide, l’importante è che lo faccia in modo pulito, formale, in bianchi letti di ospedale con la firma a piè di pagina del testamento biologico di un medico. È questione di stile: buttarsi giù da una finestra è volgare, passare a miglior vita con la caritatevole punturina è più civile e intelligente. Ma questa è la cifra del professor Veronesi: il paradosso fatto carne, l’insieme degli opposti, il guinness degli ossimori. Uno, nessuno e centomila: Umberto di lotta e di governo, di destra e di sinistra, darwiniano e donverzeliano, militarista e pacifista, nuclearista e ambientalista, vegetariano ma convinto fan degli ogm. Aborto, liberalizzazione delle droghe leggere, fecondazione artificiale, clonazione, eutanasia: il celebre oncologo diffonde il verbo della tecnoscienza con una crescente mole di iniziative, saggi e libri che hanno un solo scopo: portare l’acqua al suo mulino e i fondi alla sua Fondazione. In fondo, quello dei fondi è forse il legame più solido che lo lega a Feltri. Forse, stavolta, nella strana coppia il dna non c’entra nulla.

Le ultime righe vanno d'ufficio alla coppia Santanchè-Camusso, new entry di questa balzana lista. Per la pitonessa di Forza Italia, ex falchetta del cerchio magico dell'ex Cavaliere questi sono tempi grami, soprattutto dopo la furibonda lite con la first lady Pascale. Tra le due sono volati stracci bagnati e borse Vuitton taroccate e il peggio è toccato a lei: dalla fossa delle gattine di Daniela, la leonessa, ne è uscita con graffi e morsi. È forse per questo che ha deciso di lasciar perdere i berluscones, di mollare a Toti la stampella di un  partito che non la ama più per rituffarsi negli affari. Ha messo sul piatto una bella paccata di milioni per comprarsi a prezzo di saldi l'Unità, il quotidiano ex comunista sull'orlo della chiusura. La destra l'ha subito ribattezzata Daniela SantanChe, i furibondi giornalisti del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e affondato da Veltroni & C, hanno innalzato il pugno chiuso e ordinato a Renzi di intervenire a impedire il sacrilegio. Zucchero per la comandante Dany, sempre tonica quando c'è da menare le mani e alzare il dito medio. Alla Pascale che annunciava d'essersi iscritta all'Arcigay, Santanchè aveva ribattuto che una cosa del genere lei non la farebbe mai: «Sarebbe come iscriversi alla Cgil», disse. Beh, Daniela l'ha fatto: per l'Unità questo e altro.