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LA STORIA IGNORATA

Giulio Verne e il romanzo sulla Vandea che l’editore rifiutò

Nel 1863, Verne pubblicò a puntate su una rivista parigina un romanzo di guerra. Quando, da lì a poco, divenne celebre, volle raccogliere quelle puntate in volume. Ma l’editore rifiutò. Perché? Perché Verne aveva ambientato quel suo lavoro nella guerra di Vandea e, per giunta, aveva tifato per i vandeani. Cioè per i cattolici, invisi alla Francia che si sentiva figlia della Rivoluzione.

Cultura 15_02_2019

Dire Giulio Verne è dire uno dei romanzieri “classici” più saccheggiato dal cinema. Sono poche, infatti, le sue opere che non hanno avuto un adattamento cinematografico. Alcuni film tratti da suoi libri, anzi, sono stati pure premiati con l’Oscar. Si pensi a Il giro del mondo in 80 giorni del 1956 con David Niven e Shirley MacLaine o a Ventimila leghe sotto i mari del 1954 con Kirk Douglas e James Mason.

Il francese Jules Verne è stato, con l’italiano Emilio Salgari, l’autore di avventure più letto dai ragazzi fino, almeno, alla mia generazione. Alcuni lo considerano, non a torto, l’inventore della fantascienza. Desta perciò qualche meraviglia apprendere che, nel 1863, Verne pubblicò a puntate su una rivista parigina un romanzo di guerra. Quando, da lì a poco, divenne celebre, volle raccogliere quelle puntate in volume. Ma l’editore rifiutò. Perché? Perché Verne aveva ambientato quel suo lavoro nella guerra di Vandea e, per giunta, aveva tifato apertamente per i vandeani. Verne era bretone e la «Vandea militare» aveva avuto in Bretagna uno dei suoi epicentri. Dunque, era cresciuto con nelle orecchie i racconti degli anziani, i cui padri avevano versato il sangue per Dio e per il Re nell’Armée Catholique.

Ma la Francia in cui viveva era figlia della Rivoluzione, dei giacobini e della ghigliottina. Perciò, non si poteva parlar bene degli insorgenti vandeani. Il romanzo di Verne fu pubblicato in Italia dopo molti anni; in Francia vide la luce solo alla fine del XX secolo. Ora lo ripubblica Solfanelli, con una prefazione di Gianandrea de Antonellis: Il conte di Chanteleine (pp. 128, € 12). «Un tempo, prima della Rivoluzione, i preti erano in grande venerazione in tutta la Bretagna; essi non erano incorsi negli eccessi né in quegli abusi di potere che caratterizzarono il clero delle altre province più “culturalmente avanzate”». Poi arrivarono i preti «giurati» e il popolo li rifiutò, preferendo assistere alle funzioni clandestine dei «refrattari» (cioè i sacerdoti che avevano rigettato la Costituzione civile del clero di matrice rivoluzionaria).

Dice il protagonista: «Io ho visto da vicino questi ministri del cielo! Io li ho visti benedire ed assolvere un esercito intero inginocchiato prima della battaglia! (…) io li ho visti poi gettarsi nella mischia con il crocifisso in mano, soccorrere, consolare, assolvere i feriti fin sotto il fuoco dei cannoni repubblicani». E quando arrivarono i preti «costituzionali» il popolo si indignò: «Ci fu lotta e battaglia in più di un luogo; i contadini scacciarono i preti giurati e parecchie prese di possesso di parrocchie furono bagnate dal sangue».

Venne la «legge dei sospetti» del 1793 che così recitava: «Sono reputati sospetti: 1) coloro che sia con la condotta sia con le loro relazioni, con parole o con scritti, si mostrarono partigiani della tirannia, del federalismo e nemici della libertà; 2) coloro che non potranno giustificare il loro modo di esistere e l’acquisto dei loro diritti civici; 3) coloro a cui furono rifiutati certificati di civismo; 4) i funzionari pubblici sospesi o destituiti dalle loro funzioni; 5) coloro fra gli ex nobili, tutt’insieme mariti, mogli, padri, madri, figli o figlie, fratelli e sorelle, e agenti di emigrati, che non manifestarono costantemente il loro attaccamento alla rivoluzione». Insomma, tutti.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’introduzione della leva obbligatoria che, togliendo le migliori braccia al lavoro dei campi, avrebbe affamato il popolo di una civiltà contadina. I nobili fecero il loro dovere, assumendosi la guida degli insorti. Molti rimasero sul campo: il generale vandeano d’Elbée, malato, fu fucilato sulla sua poltrona; a Henri de la Rochejaquelein, ventunenne, fu fatale la misericordia: sorpresi due bleus isolati, ne chiese la resa facendo loro grazia della vita, ma uno di quelli gli sparò in fronte. E fu il primo genocidio, scientifico e pianificato, della storia. Verne lo sapeva: «Durante quel tempo i più sanguinari agenti del Comitato furono inviati nelle province. Carrier a Nantes, dopo l’8 ottobre, immaginò quei  mezzi che chiamava “deportazioni verticali” e il 22 gennaio inaugurò i battelli da affondare nella Loira carichi di prigionieri dell’esercito della Vandea».