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ISRAELE

I professionisti del boicottaggio anti-sionista

Organizzazioni come la Bds, promuovono il boicottaggio contro i prodotti israeliani, anche in Italia. Se si seguissero pedissequamente le loro istruzioni, non si dovrebbe comprare o consumare praticamente più niente, perché colpiscono ogni azienda che ha rapporti con Israele. Ecco chi sono.

Esteri 29_09_2015
Bds

I boicottaggi dei prodotti israeliani sono una realtà piuttosto triste che, purtroppo, ha preso piede in molte realtà italiane. L'ultimo episodio è accaduto alla nota sagra dell'uva di San Colombano, piccola realtà della provincia di Milano: appena qualche giorno fa il sindaco aveva deciso di bloccare la partecipazione di uno stand di prodotti israeliani, scelta ritirata solo a seguito di giuste polemiche da parte dell’associazione Amici d’Israele e degli organi di stampa. Il motivo? La settimana prima un gruppo di contestatori si era introdotto all'interno della mostra fotografica Israele Oggi organizzata sempre nello stesso comune.

Quella dei boicottatori è una categoria sui generis, che si batte contro lo Stato d'Israele e contro un presunto "ipersionismo" che dominerebbe la Palestina e, per alcuni, addirittura l'Europa e il mondo intero. Ma chi sono nello specifico questi sedicenti boicottatori?

Basta scrivere “boicottare Israele” o “boicotta Israele” in Google immagini che si ottiene una sfilza infinite dei marchi del “grande Satana” sionista che – a detta dei sedicenti gruppi per il boicottaggio – non andrebbero mai comprati. Si va dagli immancabili feticci del capitalismo come Mc Donald’s, Burger King e Coca Cola fino a L’Oreal, Johnson&Johnson, Kimberly-Clark, Danone, Marlboro, Intel, Ralph Lauren, Cnn. Neppure Disney si salva dalla loro censura.

A parte il fatto che a voler seguire questi dettami alla lettera non si potrebbe probabilmente alimentarsi, lavarsi, comunicare con le altre persone (anche Nokia è nella black list) e fare tutte quelle attività quotidiane che servono per vivere una vita decente, ci sarebbe da capire quale siano i criteri per boicottare un’azienda dal momento che – di quelle citate – nessuna è israeliana. Per capirlo può essere utile andarsi a leggere qualche pagina di questi gruppi anti-israeliani.

Il più noto è Bds Italia, che sta per “boicottaggio, disinvestimento, sanzioni”, e fa parte di un network internazionale retto da Omar Barghouti. Nato in Qatar e cresciuto in Egitto, Barghouti si è trasferito a Jaffa (Israele): da lì, dopo aver fondato il movimento per il boicottaggio ha vissuto facendo lobbying in giro per il mondo, si presume pagata visto che le sue attività gli permettono di restare iscritto a un master di specializzazione in filosofia all’Università di Tel Aviv (sempre Israele, che nonostante una petizione di 184mila firme per cacciarlo lo tiene ancora, rispettando il suo pensiero). Pensiero che suona esattamente così: “D’ora in poi, sarà perfettamente accettabile paragonare l’apartheid israeliano a quello precedente sudafricano. Di conseguenza, proporre misure concrete per punire le istituzioni d’Israele per le loro responsabilità nelle politiche razziste e coloniali del loro Stato non sarà più considerato eccessivo”.

Non solo, per il gran visir del boicottaggio, Israele è uguale alla Germania nazista: “Molti dei metodi di punizione individuale e collettiva riservati ai civili palestinesi dalle mani di giovani, razzisti, spesso sadici e sempre malvagi soldati israeliani nei centinaia di checkpoint disseminati per i territori palestinesi occupati ricalcano le comuni pratiche dei nazisti contro gli ebrei”. In un’intervista sul quotidiano palestinese Bokra, tradotta dall’arabo sul sito del Bds, Barghouti precisa di non rispondere alle accuse israeliane e stare attento a non fare troppe dichiarazioni per non interrompere, anche indirettamente, il boicottaggio d’Israele. E quando il giornalista Rami Younis gli chiede come mai boicottare tutto e non solo i prodotti che traggono profitto dai territori occupati risponde: “La distinzione artificiosa e indifendibile tra Israele e 'l'occupazione' è politica e ideologica; non è fondata su considerazioni pratiche, legali o morali. È Israele che viene vista dal diritto internazionale come la potenza occupante e quindi è la parte responsabile della costruzione e del mantenimento non solo degli insediamenti coloniali, ma anche di tutto il regime di occupazione”.

Non c’è quindi alcuna differenza fra i prodotti, il governo israeliano, le imprese e i cittadini: per Barghouti fanno tutti parte del monolite sionista che merita di essere distrutto. Una visione che si estende – e qui si capisce il boicottaggio di prodotti non israeliani – a quelle aziende che cooperano: così si deve boicottare anche la Pizzarotti, azienda di treni svizzera che partecipa alla costruzione dell’alta velocità Gerusalemme-Tel Aviv;  ma anche Acea, multiutility romana che ha stretto un accordo con la “perfida” Mekorot, società idrica israeliana che – scrive il Bds – “si è macchiata di gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, sottraendo acqua illegalmente dalle falde palestinesi per fornirla alle colonie israeliane”.

Un’altra organizzazione che si occupa di boicottaggio è Ism-Italia (“International solidarity movement”), che nel suo statuto si proclama “antifascista, antirazzista, in difesa dei diritti umani del popolo palestinese e di tutti i popoli oppressi, ispirandosi ai valori della Resistenza”. Sono loro che, stando a quanto riporta il sito Progetto Dreyfus, hanno fatto irruzione alla mostra di San Colombano. Forse bisognerebbe ricordare all’Ism che i valori della Resistenza sono (o almeno dovrebbero essere) anche quelli legati alla dignità e alla libertà. Anche per gli ebrei.