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IL CASO

Il blasfemo Cantico di Benigni entusiasma solo Avvenire

Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana si è esibito – e a più riprese – in un ridicolo balletto giornalistico per elogiare una delle più miserevoli, infondate e blasfeme interpretazioni del libro della Bibbia più commentato dai Padri e nel Medioevo, ossia il Cantico dei Cantici.

Editoriali 09_02_2020

Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana si è esibito – e a più riprese – in un ridicolo balletto giornalistico per elogiare una delle più miserevoli, infondate e blasfeme interpretazioni del libro della Bibbia più commentato dai Padri e nel Medioevo, ossia il Cantico dei Cantici. E Roberto Benigni riderà – e giustamente – sotto i baffi, nel vedere quanta importanza si sia conferita al suo intervento, costruito ad arte su un nulla di contenuto. Praticamente fuffa, aria fritta, venduta come se provenisse da una sapienza divina.

Avvenire, con la firma dell'inviata a Sanremo, impaziente di mostrare al mondo di non essere inferiore a nessuno nell’apprezzamento della cultura contemporanea e nell’apertura della mente ai segni dei tempi, spara un articolo dal titolo : “Festival. Benigni a Sanremo recita il Cantico dei Cantici”, che è tutto una sottolineatura dei presunti “vertici della mistica” toccati dal comico toscano, il quale, per l’occasione, scrive, «rinuncia alla comicità e si presenta come “cantante” del nome della Bibbia». Addirittura. Mancava solo che all’Ariston si aprissero i cieli.

L’inviata di Avvenire, dopo tutta una serie di citazioni, la cui banalità non ha bisogno di commenti, non riesce a contenersi di fronte all’accorato intento pedagogico di Benigni: «Il messaggio di Benigni vuole coinvolgere le nuove generazioni “che parlano di sesso, guardano filmini erotici ma di amore non ne fanno più”». Già. Il problema non è che le nuove generazioni non si sposano, non si assumono la responsabilità della famiglia, on riescono a vivere il “per sempre”, non purificano l’eros mediante la virtù della castità. No, il problema è che non fanno più l’amore; magari con dieci, venti, trenta partner diversi, ma l’importante è che smettano di parlare e guardare e passino ai fatti. E infatti Benigni ha invitato i presenti all’Ariston ad una bella orgia comunitaria, orchestra inclusa, giusto per cominciare ad essere concreti. Ma questo dettaglio la Calvini ha deciso di ometterlo.

Insomma, per Avvenire c’è stato un grandissimo Benigni, che ha sorpassato per intensità e profondità quei barbosi commentatori come Origene e Bernardo, Gregorio di Nissa e Guglielmo di Saint-Thierry, che volevano coprire il messaggio carnale del Cantico, rivestendolo di simboli.

L’aver poi presentato il Cantico come la celebrazione di qualsiasi tipo di “amore”, incluso quello omosessuale, è stato secondo l'inviata solo una piccola licenza poetica, liquidata così: «Salvo prendersi una libertà “politicamente” corretta».

Qualcuno che si sia più o meno santamente surriscaldato dev’esserci stato ed evidentemente non dev’essersi tenuto per sé il dissenso. E così Avvenire ha cercato di correre ai ripari. Il titolo è stato ritoccato con un inciso (vedi qui): «Festival. Benigni a Sanremo recita (e un po’ tradisce…) il Cantico dei Cantici»; mentre alla libertà “politicamente” corretta, viene aggiunto: «Che finisce per tradire non solo la lettera ma il significato profondo del Libro biblico».

Le pezze però hanno finito per peggiorare la situazione; in Redazione non devono essersi accorti dell’incongruenza, perché non si capisce come si possa dire che Benigni abbia tradito solo un po’ il Cantico e poi affermare che ne ha sovvertito sia la lettera che il significato profondo…

Ma non basta l’online. Bisognava far danni anche sul cartaceo (8 febbraio 2020) con due articoli al femminile. Prima la teologa Rosanna Virgili e poi un’altra inviata a Sanremo, hanno effuso lacrime di gratitudine e commozione per il dono inatteso di Benigni: «Che gioia il Cantico dei Cantici a Sanremo! Grazie a Roberto Benigni che ha sorpreso e stupito il Festival», scrive la teologa. Felicità comprensibile nella prospettiva di chi ritiene che il Cantico dei Cantici, per il solo fatto di contenere  voci del coro, assomiglia «ai testi delle canzoni in gara e anch’essi nascono in un ambiente popolare». La platea dell’Ariston e i “protagonisti” del festival sono infatti notoriamente uno spaccato rappresentativo dell’ ambiente popolare italiano... Quanto ai testi, un giorno avremo forse un Agostino del terzo millennio che ci spiegherà che il “Me ne frego” di Achille Lauro altro non è che un testo ispirato sull’impassibilità dei monaci del Monte Athos.

La teologa, dopo aver bruciato incenso al nuovo padre della Chiesa, tale Guido Ceronetti, parla del Cantico come fosse il Kamasutra, prendendosela con la Chiesa che ha «impedito per secoli l’accesso a questo piccolo libro».

E poi c’è l’inviata, quella del cartaceo, a magnificare tutte le stupidaggini di Benigni, che è riuscito nell’impresa di fare in modo che 40 minuti di testo biblico tenessero «incollati al video milioni di persone nel cuore di un Festival della canzone, in tarda notte. Un’operazione praticamente perfetta». Neanche papa Francesco poté mediaticamente tanto…

Onore a Benigni che ha riportato alla luce il testo nudo e crudo del Cantico, non quello edulcorato dalla Chiesa. Un esempio? La sua mano sinistra è sotto la mia testa, con la destra mi stringi nell’amplesso». Ma forse né Benigni né l'inviata sanno che la Chiesa, nell’Ufficio della Madonna in sabato del Breviario precedente alla riforma, tutte le settimana fa cantare un’antifona che suona così: «Laeva eius sub capite meo et dextera illius amplexabitur me». Poi è arrivata la riforma liturgica e l’ha tolta, dopo secoli e secoli in cui questo testo così tabù è stato cantato nei monasteri e pregato dai sacerdoti come il più adatto ad esprimere l’unione della Santissima Vergine con il Signore. Perché il senso del Cantico non è la celebrazione della concupiscenza carnale, ma lo svelamento del senso profondo dell’eros: quell’unione mistica con Dio, di cui il rapporto carnale è figura, peraltro deformata dopo il peccato originale. Esattamente l’opposto di quello che ha fatto Benigni.

E allora c’è poco da applaudire uno che ha sì portato un testo della Bibbia sul palcoscenico di Sanremo, ma non per purificare l’ambiente dalle immondezze che si sono viste in questi giorni, ma per imbrattarlo dello stesso fango.

Il miglior commento a questa totale resa del mondo cattolico, è quanto il grande teologo Louis Bouyer, un po’ scocciato e un po’ preoccupato da quello che vedeva attorno a sé, scrisse nel 1948, per mettere in guardia i cattolici da un atteggiamento pericolosamente remissivo di fronte alla modernità: «È un fatto che i cristiani di oggi non possono sopportare l’idea di avere dei nemici. Vorrebbero essere contro tutto ciò che è contro e a favore di tutto ciò che è a favore. Non c’è più modo, attualmente, di essere non credenti. Se pure vi ingegnaste a sgranare parole blasfeme, sarebbe tempo sprecato. Foste pure Nietzsche, Proudhon o perfino il marchese De Sade, trovereste di certo un ecclesiastico illuminato per scrivere un libro nel quale sareste amabilmente sollecitato, generosamente interpretato, accortamente assimilato».

Ma forse neanche Bouyer era riuscito ad immaginare tanta miseria.