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INCOERENZA DI UN POLVERONE

Il burkini e la "rogna" di misurarsi col buonsenso

Li si lasci vestire come pare a loro. A meno che il motivo sia un altro, quello di «rompere le scatole». La cosa più temuta dai vescovi che lo evitano come la lebbra e cedono le armi molto prima di averle impugnate pur di essere lasciati in pace.

- FALSO PROBLEMA DI UN OCCIDENTE VUOTO di Siliva Scaranari

Libertà religiosa 20_08_2016
Il burkini

Il recente caso francese del burkini tiene banco e ognuno lo affronta a modo suo. Hollande, determinato a dare un giro di vite all’islam di casa, ne fa un punto d’onore, inaugurando così la politica (d’immagine) del ça suffit, «ora basta». I còrsi, ufficialmente francesi, hanno risolto il problema “a mano” secondo il loro, di costume, venendo a tafferuglio con i maghrebini locali.

Il portavoce dei vescovi italiani, Galantino, per una volta ne ha detta una giusta: se una vuole fare il bagno bardata dalla testa ai piedi, chi sono io per giudicare? Infatti, buonsenso vuole che la questione non venga neppure affrontata. A una donna che vuole abbronzarsi completamente coperta e col capo fasciato, semmai, si potrebbe chiedere che diavolo ci vada a fare sulle spiagge. Una donna che, alle Olimpiadi, gareggia imbacuccata, vuol perdere: contenta lei…

Ma quel che non si capisce è l’incoerenza di fondo di tutto ciò. Se si copre per motivi religiosi, perché ostinarsi a frequentare spiagge, piscine e arene (ma non discoteche)? Boh, misteri islamici. Non sono motivi religiosi ma familiari? Cioè, i loro uomini non vogliono che si mostrino? Le tengano in casa, dunque: spiagge, piscine e stadi olimpici sono passatempi -assolutamente inutili- dei corrotti occidentali. Si dirà che il mare e il sole fanno bene alla salute? Ma il Maghreb ne ha anche di più: perché non tornare al paesello per le vacanze? A meno che il motivo, inconfessato, sia un altro, quello che, in termini spicci, viene detto gergalmente «rompere le scatole».

Sia come sia, li si lasci vestire come pare a loro, basta che la faccia sia riconoscibile per motivi di ordine pubblico. Anche le suore cattoliche indossano (alcune, ormai), per motivo religioso, veli e vesti lunghe, ma il viso è libero e, soprattutto, non le vedi in spiaggia né in piscina né in pista. Potrebbero, certo, ma hanno (ancora) il senso del ridicolo. Ma torniamo un attimo al concetto di «rompere le scatole». Com’è noto, si tratta della cosa più temuta dai vescovi, che lo chiamano «rogna», lo evitano come la lebbra e, quando capita loro tra capo e collo, cedono le armi molto prima di averle impugnate, disposti a qualunque cosa pur di essere lasciati in pace.

Per questo sono state coniate la parole d’ordine «dialogo» e «misericordia», accendendo i riflettori sulla Parabola del Buon Samaritano e spegnendoli su tutto il resto del Vangelo. Riuscirà il machiavello? Boh. La storia, invero, ci dice che sempre le buone (?) intenzioni si sono risolte nel loro contrario (eterogenesi dei fini, Vico e Del Noce), e che non c’è mai stata una volta, neanche una, che simili östpolitik abbiano raggiunto il loro scopo. E’ anche vero che sempre (sempre!), nella storia, ci sono stati quelli che ci hanno provato. Potremmo riempire volumi con esempi, ma oggi ci limitiamo a segnalarne uno poco frequentato, quello di santa Caterina di Lovanio.

Nata nelle Fiandre all’inizio del XIII secolo si chiamava Rachele ed era ebrea. Affascinata dal cristianesimo, l’aveva studiato di nascosto dalla famiglia. Infatti, i suoi l’avrebbero caricata di mazzate se avessero saputo. Così, lei scappò di casa nottetempo e raggiunse il monastero detto, alla latina, Parcum Damarum (Parco delle Dame), dalle parti di Lovanio. Oggi si chiama Sainte Marie  du Parc, e qui Rachele si fece battezzare col nome di Catherine. Di più: volle prendere il velo delle cistercensi che colà dimoravano. Quando suo padre venne a sapere dov’era finita la figlia, si scatenò.

L’intera comunità ebraica lo sostenne e il vescovo di Liegi, cui competeva la «rogna», si trovò a mal partito. Eh, dagli ebrei locali venivano i prestiti, e non pochi signori, tra i quali lui, erano implicati. Non solo. Se non li si fosse accontentati, anche il futuro finanziario sarebbe stato sinistramente ipotecato. In fondo, quello aveva ragione: la figlia si era fatta monaca senza il suo consenso e le leggi fiamminghe parlavano (abbastanza) chiaro. Quella benedetta ragazza con la sua avventatezza aveva creato un putiferio politico, non poteva starsene tranquilla? Non poteva fare la cristiana, se ci teneva tanto, senza dare nell’occhio?

Il polverone, però, fu avvistato a distanza e intervennero l’abate di Viviers e pure il vescovo di Colonia, Hengelbert. I quali dissero chiaro e tondo che le leggi della Chiesa prevalevano, in materia religiosa, su quelle fiamminghe; la ragazza aveva liberamente scelto e attorno suo diritto venne formato il quadrato difensivo. Del resto lei, consultata, ribadì il suo fermo proposito. Suo padre perse la causa e la diocesi di Liegi, probabilmente, un cespite non indifferente. Caterina, dal canto suo, divenne una mistica, assistita da estasi, visioni e miracoli. Altri tempi…