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CRISTIANI PERSEGUITATI

Il calvario di Huma, rapita e forzata a sposarsi da islamica

È il 10 ottobre quando la quattordicenne pachistana Huma Younus, cristiana, viene rapita da Abdul Jabbar, musulmano. I genitori sporgono subito denuncia, ma si trovano di fronte al sistema corrotto di un Paese in cui almeno mille ragazze cristiane e indù vengono rapite ogni anno. Intanto, il rapitore violenta Huma, la costringe a sposarlo e a farsi musulmana. Dopo le prime traversie giudiziarie, la famiglia trova il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre e il soccorso legale della cattolica Tabassum Yousaf. Che rischia la vita, ma è decisa a portare avanti la battaglia. Il 16 gennaio l'udienza presso l'Alta Corte.

Libertà religiosa 30_12_2019 English Español

L’ennesimo caso, l’ennesima ragazzina strappata alla sua famiglia e alla comunità cristiana. L’ennesimo caso in cui il sistema giudiziario pachistano rivela tutta la sua iniquità ai danni dei cristiani.

È il 10 ottobre 2019, siamo in un sobborgo di Karachi. Huma Younus, quattordicenne cristiana, viene rapita. I genitori, Younus e Nagheena Masih sanno perfettamente chi è stato. Si tratta del musulmano Abdul Jabbar. Ma purtroppo, come tanti genitori cristiani prima di loro, si trovano di fronte a un muro di gomma.

Ogni anno in Pakistan, come riferiscono varie Ong locali, sono almeno un migliaio le ragazze cristiane e indù rapite, violentate, costrette a convertirsi all’Islam e a sposare il proprio stupratore. Ragazzine adolescenti, o perfino bambine, che è pressoché impossibile riportare a casa a causa della connivenza con i rapitori di molti agenti di polizia e di un sistema giudiziario che discrimina le minoranze.

Ecco cosa è successo ai genitori di Huma. I due si sono recati immediatamente alla stazione di polizia del sobborgo di Korangi per sporgere denuncia, portando con sé sia il certificato di battesimo che l’atto di nascita della figlia. Nel Sindh, la provincia del Pakistan in cui si trova Karachi, è in vigore una legge, il Sindh Child Marriage Restraint Act, che vieta i matrimoni dei minori rendendo penalmente perseguibile il coniuge maggiorenne. Un fatto positivo rispetto ad altre province pachistane in cui una simile legislazione è assente e si ricorre alla sharia, la legge islamica in base alla quale anche una bambina, purché abbia già avuto il primo ciclo mestruale, può contrarre matrimonio.

Ma la legge purtroppo non basta, in un Paese in cui spesso vince chi allunga la mazzetta più alta e in cui molti funzionari sono ben contenti che una giovane cristiana sia convertita, pur con la forza, all’Islam. Ai signori Masih gli agenti di polizia sconsigliano in tutti i modi di sporgere denuncia. «Non avete possibilità di vincere», dicono loro.

Nel frattempo il musulmano Jabbar aveva immediatamente portato Huma nella provincia del Punjab, a circa 600 chilometri di distanza da casa, in una località chiamata Dera Ghazi Khan. Lì l’ha violentata, costretta a convertirsi all’Islam e obbligata a sposarlo.

Il funzionario incaricato delle indagini della stazione di polizia di Korangi, Akhter Sahab, si reca in Punjab per investigare, ovviamente non senza prima essersi fatto dare 15.000 rupie (circa 90 euro) per il biglietto del treno e “varie ed eventuali”. I Masih danno tutto ciò che hanno, ma probabilmente il rapitore Jabbar offre di più a Sahab che torna a Karachi senza la ragazza.

Il caso è registrato presso la City Court di Karachi, il più basso grado di giudizio. Jabbar, il quale sostiene che sua “moglie” abbia in realtà 18 anni e che si sia convertita all’Islam di sua spontanea volontà, viene arrestato. Tuttavia l’avvocato di ufficio dei genitori di Huma - che come la maggior parte dei cristiani sono pressoché analfabeti e senza alcun tipo di conoscenza di quelli che sono i loro diritti - a loro insaputa fa firmare alla coppia l’autorizzazione per far uscire il rapitore della figlia su cauzione. Jabbar dovrebbe presentarsi in tribunale per l’udienza, ma per ben cinque volte non lo fa. E passa al contrattacco. Probabilmente su suggerimento di qualche funzionario o agente di polizia, presenta un’istanza contro i genitori di Huma presso il tribunale di grado superiore, l’Alta Corte del Sindh, sostenendo di non essersi presentato alle diverse udienze perché temeva che i signori Masih e gli altri cristiani - che di fronte al tribunale protestavano pacificamente contro l’ennesima ingiustizia - avrebbero potuto ucciderlo.

Provvidenzialmente, a questo punto della vicenda, i genitori di Huma trovano un vero e proprio angelo: è l’avvocatessa cattolica Tabassum Yousaf che ha già seguito diverse cause di ragazze rapite e che ora li difende pro bono. Molto spesso, infatti, i genitori delle ragazze cristiane rapite rinunciano a lottare perché privi dei mezzi necessari per ricorrere alla giustizia. Ciò non accadrà ai genitori di Huma che assieme al sostegno dell’avvocato Yousaf possono contare su quello di Aiuto alla Chiesa che Soffre. La Fondazione pontificia ha lanciato un’importante campagna di sensibilizzazione sulla vicenda e si sta facendo carico di tutte le spese legali della famiglia.

Ovviamente non è tutto rose e fiori. Jabbar e i suoi familiari continuano a fare pressioni sui Masih affinché lascino cadere le accuse. L’uomo ha perfino minacciato di denunciare i “suoceri” e la Yousaf per blasfemia. «Accade spesso che i rapitori si servano della cosiddetta legge antiblasfemia per convincere le famiglie delle ragazze rapite a lasciar perdere», ci spiega Tabassum Yousaf, che tuttavia non si lascia intimidire: «Ho paura per la mia vita, ma vado avanti e non mi lascio intimidire».

Il sostegno di ACS ha permesso anche di assumere un avvocato della Corte Suprema per affiancare la Yousaf. Si tratta di Mujahid Hussein, la cui lunga esperienza di avvocato, unita alla sua fede musulmana, si spera possa aiutare il caso.

L’udienza presso l’Alta Corte è fissata per il 16 gennaio. Intanto, però, la Yousaf e i genitori stanno cercando di riportare Huma a casa almeno fino al processo, per sottrarla a una vita di abusi quotidiani. Ma nonostante i Masih abbiano fornito l’atto di nascita della ragazza, il fatto che il suo rapitore sostenga che lei abbia 18 anni è sufficiente a mettere in dubbio la minore età pur provata da documenti emessi dallo stesso governo pachistano. Sarà dunque necessaria una visita medica, per attestare l’età della giovane. Ovviamente il risultato non è per nulla scontato, perché non è difficile corrompere quanti eseguiranno l’esame medico. «Continueremo a lottare - afferma la Yousaf - non soltanto per Huma, ma per tutte le ragazze cristiane e indù che ogni anno, ogni mese e ogni settimana affrontano lo stesso calvario. Se riusciamo a vincere, questo caso costituirà un prezioso precedente legale».

Queste le speranze, ma sullo sfondo resta la paura che Huma, come migliaia di ragazze cristiane prima di lei, resti incatenata a vita al suo aguzzino o peggio ancora finisca vittima della tratta di esseri umani. Infatti, molte giovani cristiane, dopo alcune settimane, vengono ripudiate dal “marito” e poi vendute ad altri uomini, oppure costrette a prostituirsi.