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12° anniversario della morte di monsignor Rahho

Il cardinale Sako rievoca la figura dell’arcivescovo di Mosul, monsignor Rahho, rapito e ucciso nel 2008

Monsignor Paul Faraj Rahho era stato rapito il 29 febbraio all’uscita dalla chiesa del Santo Spirito di Mosul. Il presule è uno dei tanti martiri cristiani che contrassegnano la storia dell’Iraq

A 12 anni dal sequestro di monsignor Paul Faraj Rahho all’epoca arcivescovo di Mosul, conclusosi con la sua morte, il cardinale Louis Raphael Sako a condiviso con l’agenzia di stampa AsiaNews un ricordo e alcune riflessioni sulla storia dei cristiani in Iraq, “scritta nel sangue” fin da tempi antichi, testimonianza di fede fino al martirio, “linfa per la crescita delle nostre comunità cristiane”. Il comunicato si sofferma sui tanti diaconi, sacerdoti, vescovi e semplici fedeli che hanno sacrificato la vita dopo la caduta del regime di Saddam Hussein, nel 2003, vittime dell’estremismo islamico, dei militanti di al Qaeda e, fino al 2015, dell’Isis, lo Stato Islamico. Nel sinodo caldeo del 2015, ricorda il cardinale, “i padri hanno deciso di celebrare la memoria la memoria di tutti i nostri martiri il venerdì successivo alla Pasqua”. Rievocando la figura di monsignor Rahho, rapito il 29 febbraio del 2008 e il cui corpo senza vita è stato ritrovato pochi giorni dopo, il 12 marzo, lo ha descritto come “un uomo modesto e semplice”, che amava l’ironia. Profondamente legato alla sua città natale, aveva rifiutato di lasciarla nonostante la crescente insicurezza. L’arcivescovo caldeo era stato rapito da un commando di uomini armati mentre usciva dalla chiesa del Santo Spirito di Mosul dove aveva celebrato la Via Crucis. I rapitori nei giorni successivi avevano chiesto un riscatto nell’ordine di milioni di dollari e la liberazione di alcuni prigionieri. Le cause della sua morte non sono mai state chiarite. Profondamente addolorato, papa Benedetto XVI aveva chiesto a più riprese la sua liberazione ai rapitori. Anche numerosi leader musulmani, sunniti e sciiti, in Iraq, Giordania e Libano, avevano condannato il rapimento e avevano anch’essi sollecitato il suo rilascio.