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DOPO GHEDDAFI

Il conflitto segreto nel Sud della Libia

Mentre il governo di Alì Zeidan vacilla, nel Sud della Libia è in corso una guerra segreta combattuta da libici, americani e francesi contro Al Qaeda e nostalgici di Gheddafi. Armi chimiche di cui nessuno parla sono state distrutte nel deserto.

Esteri 05_02_2014
Riaperto l'aeroporto di Sebha

Le notizie giunte dalla Libia nelle ultime ore sono state inspiegabilmente quasi ignorate dai media e forse anche dalla politica in Italia. Eppure i fatti in questione permettono di ipotizzare imminenti evoluzioni in quel Paese e di valutare possibili conseguenze che si rifletterebbero immediatamente sull’Italia. Sul versante politico va precisato che il premier Alì Zeidan ha ufficialmente le ore contate dopo che il 21 gennaio ha perso la maggioranza parlamentare dopo la sfiducia del partito Giustizia e Sviluppo organo dei Fratelli Musulmani. Certo la mozione di sfiducia ha ottenuto solo 99 firme contro le 120 necessarie, ma il governo Zeidan  ha perso cinque ministri, tra i quali quello del Petrolio e può contare solo su 66 voti in Parlamento su 194. Il premier ha annunciato il 22 gennaio che resterà al suo posto fino a quando non sarà trovato un accordo sul suo successore ma da allora ha assunto iniziative quanto meno atipiche per un leader privo di maggioranza in Parlamento, dove l’impasse è determinata dal braccio di ferro tra i Fratelli Musulmani e i laici dell’Alleanza delle Forze Nazionali. 

Innanzitutto, a fine gennaio, Zeidan ha ordinato un’offensiva militare in grande stile nell’area di Sebha, nel Sud, una delle roccaforti dei seguaci di Muammar Gheddafi sconfitti dopo 20 giorni di scontri che hanno provocato centinaia di morti. Secondo il Ministero della Difesa le ultime sacche di resistenza sarebbero state soffocate a Forte Elena, costruito dagli italiani durante il periodo coloniale. I disordini nella capitale del Fezzan non sono certo una novità e più volte la tribù araba degli Awlad Suleiman si è scontrata con i Tebu, tribù africana. Tensioni razziali tra arabi e neri sono all’ordine del giorno in Libia ma questa volta i seguaci del defunto raìs avrebbero approfittato del caos in città per assumere l’iniziativa militare per la prima volta dalla caduta del regime del Colonnello. Il tentativo dei “gheddafiani” di prendere il controllo della grande base aerea di Sebha avrebbe indotto il governo a scatenare l’offensiva. 

Il “debole” Zeidan sembra avere però il “grilletto facile” e lunedì ha ordinato un altro attacco militare diretto questa volta contro le milizie auto definitesi “polizia petrolifera” che hanno assunto il controllo di pozzi e terminal petroliferi della Cirenaica bloccando l’export di greggio, sceso da 1,5 milioni di barili al giorno a meno di 600 mila. Il premier ha respinto ogni ipotesi di negoziato con i ribelli che hanno proclamato l’autonomia della regione da Tripoli.  "Non riconosco loro alcuna legittimità" ha detto Zeidan. L’ordine di intervenire con le armi per liberare gli impianti petroliferi era stato emanato anche nei giorni scorsi ma questa volta sembra che Zeidan faccia sul serio. 

Nei giorni scorsi sono infine emerse conferme circa la presenza di personale militare statunitense nell’estremo Sud della Libia con compiti di rilevanza strategica del tutto inaspettati. Mentre il mondo si preoccupa per la sorte degli arsenali chimici siriani specialisti statunitensi e libici addestrati in Svezia e Germania hanno distrutto in segreto quanto restava delle armi chimiche di Gheddafi, munizioni caricate all’yprite trovate in due depositi militari e neutralizzate grazie a tecnologia portata in Libia da Washington in un’area desertica attrezzata a oltre 700 chilometri a Sud di Tripoli, non lontano da Sebha.    

L’obiettivo era distruggere queste armi prima che cadessero nelle mani di ribelli o forze qaediste ben presenti nel Sud libico anche se in passato alcune fonti avevano riferito che i ribelli siriani erano venuti in possesso di armi chimiche provenienti proprio dagli arsenali libici. Ufficialmente Gheddafi si disfò delle sue armi chimiche nel 2004 quando fece “outing” ammettendo di possedere armi di distruzione di massa e annunciando che le avrebbe consegnate agli anglo-americani. Allo scoppio della guerra civile, nel 2011, Tripoli aveva distrutto metà delle sue riserve chimiche sotto il monitoraggio delle agenzie internazionali e dell’intelligence anglo-americano. Il governo Zeidan aveva reso noto di voler portare a termine il lavoro dopo aver annunciato il ritrovamento di altre due tonnellate di aggressivi chimici che non erano stati dichiarati da Gheddafi. 

Se il New York Times ha dato la notizia dell’operazione segreta per smantellare le bombe all’yprite libiche è stato il francese Le Figaro a raccontare che da oltre un mese unità della Delta Force (forze speciali anti terrorismo statunitensi) travestite da nomadi sono schierate nel sud della Libia e affiancano le truppe di Tripoli nella caccia ai miliziani di al-Qaeda nel Magrehb Islamico, branca nordafricana della rete fondata da Osama bin Laden che aveva le sue basi principali nel Nord del Malì prima dell’intervento militare francese. Secondo il quotidiano parigino, che cita fonti militari francesi, le pattuglie miste di Delta Force e truppe libiche sono sostenute da droni e satelliti che localizzano i convogli sospetti che attraversano la frontiera meridionale libica e li intercettano impiegando colonne motorizzate di fuoristrada. Il coinvolgimento di Parigi in queste operazioni congiunte contro i qaedisti non è certo irrisorio e pochi giorni or sono il Capo di stato maggiore della Difesa francese, ammiraglio Edouard Guillaud, aveva detto che “il Sud libico sta diventando un nuovo baricentro del terrorismo e ci vorrebbe un intervento internazionale, in accordo con Tripoli”. 

L’intervento sembra essere già in atto, a quanto sembra senza il coinvolgimento dell’Italia. Della questione forse hanno parlato ieri a Roma i ministri degli Interni Angelino Alfano e Sadiq Abdulkarim. Nel corso dei colloqui, riferisce il Viminale in una nota, è stata esaminata l'attuale situazione politica della Libia con particolare riferimento alla sicurezza e al contrasto alla immigrazione clandestina. Abdulkarim ha risposto confermando la volontà di rafforzare ulteriormente la cooperazione con Roma alla richiesta di Alfano di un maggior impegno nel contrasto alla tratta di esseri umani. C’è da credergli?