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Il giorno dei politici, dalle parole si passi ai fatti

Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno rubato la scena ieri al Congresso mondiale delle Famiglie: discorsi infiammati, promesse di impegno, ma ad indicare la strada è il ministro ungherese per la Famiglia....

Famiglia 31_03_2019
Il ministro Salvini

E a Verona venne il giorno dei politici, per la gioia dei tanti giornalisti accorsi che dopo settimane di menzogne sul Congresso mondiale delle Famiglie, sui suoi organizzatori e sui suoi partecipanti, si sono potuti finalmente sfogare con gli altrettanto odiati politici di centrodestra: il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni anzitutto, a cui hanno fatto da contorno i ministri per la Famiglia Lorenzo Fontana e dell’Istruzione Marco Bussetti, leghisti come Salvini. Discorso a parte poi per Elisabetta Gardini, capogruppo di Forza Italia al Parlamento Europeo, in chiara rotta di collisione con i vertici del suo partito, soprattutto il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani. E infine, a concludere l’intervento di Massimo Gandolfini, presidente dell’associazione Family Day.

Gli interventi dei politici hanno riempito il pomeriggio del Congresso e le edizioni online dei principali giornali: un passaggio necessario, perché le istanze di una parte così importante della società devono anche trovare un interlocutore politico, ma che ha avuto una attenzione e una rappresentazione sproporzionata rispetto ai contenuti veri del Congresso, sia nelle settimane precedenti l’evento sia ieri (vedi l’intervento di don Fortunato Di Noto). Non per colpa degli organizzatori, ovviamente: i principali giornali e radio tv, i partiti di sinistra e le organizzazioni Lgbt hanno puntato forte su questa giornata per le loro contestazioni. Un corteo di arrabbiati ha attraversato Verona nel primo pomeriggio, mentre un centinaio di persone, altrettanto arrabbiate, hanno aspettato gli odiati politici davanti al Palazzo della Gran Guardia, sede del Congresso delle Famiglie, per gridare il loro sdegno.

Esaurita la formalità delle contestazioni, è iniziato il confronto con il pubblico del Congresso. E qui bisogna rifuggire dalle semplificazioni. In queste occasioni è facile oscillare tra due sentimenti opposti: l’entusiasmo acritico per il politico che sembra darti ascolto e ti assicura di far proprie le tue istanze, oppure la critica dura e senza appello per posizioni che non sono totalmente coincidenti con la tua. Entrambe le posizioni sono poco realistiche: certi politici, certi partiti vengono da storie e mondi culturali non omologabili all’associazionismo pro-life e pro-family, non si può pretendere convinzioni perfettamente “ortodosse”; ciò che ci si può legittimamente aspettare è almeno l’ascolto di certe istanze, la disponibilità a farsene carico e garantirne la libera espressione. Cose che tutti quanti sono passati da Verona hanno dimostrato, anche se finora i fatti hanno a volte contraddetto le buone intenzioni manifestate.

Il pomeriggio dunque ha vissuto sul confronto a distanza tra i due politici più rappresentativi: la Meloni e Salvini, Roma e Milano, la “borgatara” e il bauscia. L’accoglienza è stata certamente più calda per Salvini, ma la Meloni si è rifatta durante il discorso, generando più entusiasmo nel pubblico rispetto al suo antagonista, grazie a una abilità oratoria e a una energia moltiplicata dalle contestazioni. Ha iniziato immediatamente con brio: giunta sul palco con l’affanno, si prende subito l’assemblea: «Scusate, sono appena arrivata, stavo stirando…». E poi giù legnate a chi ha coperto di menzogne questo appuntamento, a chi ha chiamato “sfigati” i suoi partecipanti, ai «sacerdoti del pensiero unico». E poi una domanda importante: «Perché la famiglia è un nemico?» si chiede la Meloni. «Perché è la nostra identità», si risponde. Non per niente, procede, «sotto attacco è qualsiasi identità. Perché quando l’identità delle persone viene meno, allora si ha il consumatore perfetto, schiavo del potere economico-finanziario». 

Sul piano dei contenuti non molto diverso è stato Salvini, subito all’attacco contro i giornalisti che hanno trasformato il Congresso delle famiglie in una adunata di mostri: «Mi vergogno di essere giornalista», e poi: «A chi dà fastidio la parola mamma e papà, il problema è suo».
Una delle parole più usate è libertà: «Ognuno faccia quel che vuole, non voglio certo lo Stato in camera da letto, ma devo difendere i più deboli, i bambini». E poi: «libertà alle donne di decidere», «qui dentro si respira libertà; il razzismo, il bigottismo, la mancanza di democrazia è fuori di qui»; «fare figli non è mancanza di libertà». E poi alcuni impegni: contro l’utero in affitto, colpire, dopo il business dell’accoglienza, quello delle case famiglia, quelle che mettono i bastoni tra le ruote alle famiglie in attesa di poter adottare un bambino.

Sia Salvini che la Meloni hanno messo in relazione la difesa della famiglia al grave problema della denatalità, e c’è già qualcosa di positivo in questa crescente consapevolezza che quello demografico è davvero «il problema dell’Italia». Certo è che le proposte concrete latitano: il ministro ungherese per la Famiglia, Katalin Novak, ha spiegato cosa fa l’Ungheria: 35mila euro a fondo perduto a ogni coppia che si sposa, e altri 35mila per l’acquisto della casa; dal 2020 anche i nonni potranno stare a casa con i nipoti; e con 4 figli non si pagherà più la tassa che corrisponde alla nostra Irpef. «Perché Orban (primo ministro, ndr) non parla soltanto, agisce per la famiglia», ha sottolineato, e qualcuno ha fatto subito un paragone con l’Italia. Perché in effetti le parole sono belle, l’attenzione alle esigenze delle famiglie è positiva e l’essere venuti a Verona, con il clima che è stato creato, è stato anche un gesto coraggioso, ma si fa fatica a vedere qualche segnale che indichi in Italia una reale e concreta inversione di tendenza. Un piccolo esempio: il ministro Salvini ha usato parole di fuoco contro l’utero in affitto e nessuno può mettere in discussione la sua sincerità. Ma in attesa di una moratoria universale, come ministro dell’Interno può impegnarsi a bloccare la registrazione dei figli che alcune coppie italiane acquistano all’estero con questa pratica: sarebbe già un segnale importante.

E poi c’è il tema aborto e Legge 194: nei discorsi dal palco l’argomento è stato appena sfiorato dalla Meloni, che nell’elenco dei suoi impegni ci ha inserito anche «la piena attuazione della 194». Mentre Salvini ha voluto ricordare quando nel 2012 diede un contributo alla nascita del Centro aiuto alla Vita della clinica Buzzi di Milano, cosa che ha significato mille vite salvate in questi anni.

Ma ai giornalisti sembra solo interessare il giudizio sulla 194, è l’argomento che poi inevitabilmente fa titolo: Salvini e Meloni tranquillizzano, nessuno vuole toccare la legge 194, così come la legge sul divorzio, e questo fa storcere il naso, comprensibilmente, a tanti congressisti. Tanto più che parlano di «diritti sociali acquisiti», espressione che fa inorridire. Forse questa insistenza dei media si spiega con la volontà di mettere in difficoltà i leader del centro-destra con il pubblico da cui sono venuti a prendere applausi; ma bisogna ammettere che quella è più o meno la stessa risposta che darebbero la gran parte dei vescovi italiani. Non è una giustificazione, ma questa è oggi la condizione del nostro Paese.