Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Espedito a cura di Ermes Dovico
SCHEGGE DI VANGELO

Il giudizio

Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». Lc 16,19-31

Schegge di vangelo 29_09_2013

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». Lc 16,19-31 

Un Vangelo dai vivi colori: le vesti e il banchetto del ricco, la fame e le piaghe del povero; le fiamme dell’inferno e la pace del seno di Abramo. Una contrapposizione netta, un giudizio preciso. Gesù ci conduce all’ultima sponda della vita, fino al premio e al castigo. Sono questioni alle quali evitiamo accuratamente di pensare. Eppure aprono un panorama inconsueto e prezioso: le nostre azioni hanno un peso di eternità. I nostri atti ci seguono, non solo perché continuano a pesarci addosso nel bene e nel male, con una memoria che ci opprime o ci rilancia. I nostri atti hanno un destino eterno, perché la nostra persona non si spegne con la morte. Morte, giudizio, inferno, paradiso: sono i quattro ‘novissimi’, le quattro ultime cose della vita, gli estremi avvenimenti della nostra condizione umana. E tuttavia, vivere per l’eternità, vivere sotto il giudizio supremo di Dio, non è una condanna, ma una possibilità, un incentivo, uno stimolo a fare il bene. Don Giussani, come tanti altri cristiani, diceva che non voleva vivere inutilmente o banalmente. Questo gli ha fatto scoprire la Bellezza del cristianesimo: 'L'Infinito unico Amore personale'. Conviene seguire quel Mosè e quei profeti che ci sono già dati e che ci richiamano il valore infinito delle nostre azioni.